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martedì 9 luglio 2024

"Cuore nero" Silvia Avallone (2024)


 


LA TRAMA:
L’unico modo per raggiungere Sassaia, minuscolo borgo incastonato tra le montagne, è una strada sterrata, ripidissima, nascosta tra i faggi. È da lì che un giorno compare Emilia, capelli rossi e crespi, magra come uno stecco, un’adolescente di trent’anni con gli anfibi viola e il giaccone verde fluo. Dalla casa accanto, Bruno assiste al suo arrivo come si assiste a un’invasione. Quella donna ha l’accento “foresto” e un mucchio di borse e valigie: cosa ci fa lassù, lontana dal resto del mondo? Quando finalmente s’incontrano, ciascuno con la propria solitudine, negli occhi di Emilia ,“privi di luce, come due stelle morte”, Bruno intuisce un abisso simile al suo, ma di segno opposto. Entrambi hanno conosciuto il male: lui perché l’ha subito, lei perché l’ha compiuto...un male di cui ha pagato il prezzo con molti anni di carcere, ma che non si può riparare. Sassaia è il loro punto di fuga, l’unica soluzione per sottrarsi a un futuro in cui entrambi hanno smesso di credere. Ma il futuro arriva e segue leggi proprie; che tu sia colpevole o innocente, vittima o carnefice, il tempo passa e ci rivela per ciò che tutti siamo: infinitamente fragili, fatalmente umani.


IL MIO GIUDIZIO:
Silvia Avallone, che a mio avviso si configura fra le migliori autrici degli ultimi anni, la consiglio sempre a scatola chiusa perché i suoi romanzi si contraddistinguono per i personaggi intensi ed umani, per le storie mai banali che racconta, per lo stile scorrevole e coinvolgente. 
Ho letto tutte le sue opere (mi manca solo "Marina Bellezza" che è in "lista di attesa sul Kindle) e, questo suo ultimo lavoro, per alcuni versi e in certi passaggi, mi ha ricordato un po' la sua precedente "Un'amicizia". 

Le figure di spicco di "Cuore nero"sono Bruno, 36 anni, maestro elementare ed Emilia, trentenne laureata in Belle Arti e restauratrice. Bruno è nato ed ha sempre vissuto (tranne una breve parentesi a Torino per frequentare l'università) a Sassaia, un minuscolo agglomerato di case che conta solo 2 abitanti, abbarbicato sui monti della Valle Cervo (fra il Piemonte e la Val d'Aosta), raggiungibile esclusivamente a piedi, tramite una mulattiera in mezzo ai boschi e totalmente isolato d'inverno,con la neve. Lì trascorre i suoi giorni come cristallizzato, ibernato, quasi avulso dalla vita dopo che, proprio la vita, quando aveva solo 11 anni, in una frazione di secondo, ha beffardamente giocato con il suo destino decidendo le sue sorti e quelle di tutta la sua famiglia. 
Emilia, invece, è nata a Ravenna ma ha trascorso metà della sua esistenza a Bologna, in carcere, per un efferato delitto di cui si è resa protagonista quando era poco più che adolescente. Adesso, finalmente donna libera e "recuperata", si è rintanata in questo buco di paese, nella casa che era stata di una sua prozia, per fuggire dal passato e dal resto del mondo che, nonostante lei abbia scontato per intero la sua pena, continua a definirla un "mostro" e ad organizzare manifestazioni per contestare la sua scarcerazione. 
Bruno ed Emilia, inevitabilmente, si conoscono e si innamorano, come due ragazzini alla prima cotta perché, nonostante la loro età adulta, per differenti motivi (lui non ha voluto, lei non ha potuto) non hanno mai vissuto una vera relazione sentimentale. A gravare su di loro, però, le ombre di ciò che è stato che ha reso nero il loro cuore, in special modo quello di Emilia.
La trama si dipana su due piani temporali diversi ma paralleli: il presente ed il passato e, elemento che rende particolare il romanzo, la voce narrante è quella di Bruno. La "vittima" che racconta la carnefice. Come sostiene egli stesso, lui deve scrivere, in quanto "le parole servono proprio a vivere, a ricordare, a capire. A lasciare una traccia per non morire del tutto, per non fare morire chi amiamo".

Prendendo spunto da dei fatti di cronaca realmente accaduti (che qui non dico per non fare spoiler),  "Cuore nero" è un romanzo che inneggia alla forza dell'amore, alla speranza, al fatto che, qualunque evento tragico ci sia accaduto, si debba trovare il coraggio di vivere, a qualunque costo, come la Fenice che rinasce dalle proprie ceneri. Ma è, soprattutto, un romanzo che inneggia alla "redenzione" e al mettersi sempre nei panni degli altri, a non giudicare a priori, a non condannare, perché "dentro di noi non c'è una sola persona" e nessuno è esente dal poter diventare, in un attimo di smarrimento o di perdita di equilibrio, un orribile criminale.


IL MIO VOTO:
Personaggi intensi e molto "umani", storia non banale e avvincente, stile fresco e scorrevole. Silvia Avallone non delude mai e ci regala sempre degli ottimi romanzi. Consigliato!



LA SCRITTRICE:



Frasi dal libro "Cuore nero" di Silvia Avallone

La vita era una trama fragile, sospesa su un abisso, e lei rischiava di continuo di scivolarci dentro.

Il male è caldo, ti brucia alla radice e ti annienta.

"Sono senza TV, questa notte è stata un inferno"
"La notte sarà sempre un inferno per noi. Prenditi delle pasticche, oppure un uomo che sappia scopare come si deve"

Perché evitavo certe situazioni? Per non dovermi sentire così: frainteso. Un coglione.

Perché qui siamo tutte sulla stessa barca ma ognuna ha il suo buco nero e se lo deve sucare.

Di sicuro era una prostituta, una malata di mente, una balorda, una strega. Perché io lo sapevo, no? Che le donne con i capelli rossi erano streghe.

Posso dirti una cosa? Ora ti  sembrerà impossibile ma io ti garantisco che tutto passa. E, se non può passare, cambia.

Era la cosa che lei voleva di più da anni: scopare con un uomo. E io con una donna, provando sentimento. Ci eravamo capitati. Però adesso eravamo vivi e io ero innamorato di lei senza sapere niente.

Qui nessuna si fa pregare. Nessuna aspetta, senza fare un cazzo, di essere salvata. Se non lo hai capito, le principesse non esistono. Siamo tutte stronze, troie e regine allo stesso modo.

Cosa potrebbe rivelarmi di te, il tuo nome? Non siamo nomi, cognomi, relazioni più o meno dettagliate redatte da psichiatri, assistenti sociali, periti. Siamo chiaroscuri. Buchi pieni di buio da cui escono, a volte, fortuiti tagli di luce. 

Perché, anche se ce l'hanno in molti, quel nome designa solo te su tutta la Terra. Che sei un'autolesionista, che ti serve qualcuno per addormentarti. Ma non ti ripetersi, non capiterai una seconda volta.

L'arte è sempre un tentativo di luce, uno scarto rispetto al buio che c'è nella vita.

Intendevo fare il possibile perché capissero che leggere poteva liberarli dalla solitudine enorme di questo posto e dalle sue leggi di merda.

Quello che deve accadere accade, nonostante tutte le accortezze e gli sforzi per evitarlo.

Potevo amarla senza sapere chi era?

Con i "non" non si va avanti.

Era come se fossimo sempre sul punto di perderci, minacciati da un ricordo, da una domanda, dalle persone che eravamo state e, forse, incontrandoci, non eravamo più.

Il mondo è sterminato, come le opportunità che hai ancora.

È incredibile come i genitori s'intestardiscano a non voler vedere i figli per quello che sono. Patetica la loro volontà di non arrendersi, di pretendere che siano un prolungamento dei loro sogni anziché schegge impazzire e, sovente, fallimentari.

Era la loro forza segreta: toccare il fondo, piangere e, con la faccia bagnata di lacrime, farsi una risata.

Anziché continuare a scavare in basso, potremmo tentare un tunnel laterale e vedere dove porta.


Tu non hai nessuna colpa ma adesso capisco che anche l'innocenza può avere un peso 

Chi è sopravvissuto è intoccabile: il dolore forma come un'aura.

L'indicibile non è mai il mentre, l'attimo sconvolgente. È il lento, uniforme, inesorabile dopo.

Non siamo i nostri traumi. Il risultato di quello che abbiamo commesso o subito. Il passato non coincide con il punto in cui ci troviamo adesso. Siamo altrove.

Sembrava pura ragione, mentre tu eri un fascio di nervi. E il suo lavoro era ficcarti gli aghi nel punto più abissale di quel groviglio.

Perché non è che se una cosa non la dici, non esiste. Esiste di più. Esiste così tanto che respiri con un polmone solo perché l'altro è schiacciato, la gola è ostruita, il cuore è un buco 

Tutto passa. E se non passa, cambia.

La vita non chiede permesso, non si lascia programmare. Anzi, adora prenderti per il culo .

Puttana, detto da un'altra femmina, non si può sentire. Ti sei mai chiesta che insulto è? Oppure ripeti tutto a pappagallo come le bambine cretine? Fai il gioco dei maschi che ci hanno sempre inculate? Ne hai da studiare, stronzetta! Il rispetto, ragazze, il rispetto è la prima cosa. Non puoi dire "puttana" a un' altra donna. Credi che una donna si prostituirebbe se avesse un' alternativa? Ci saranno anche donne che si prostituiscono per libera scelta, però sono una minoranza. E, comunque, bisognerebbe capire fino a che punto è libera, questa scelta. Perché tu permetteresti a uno sconosciuto, brutto, vecchio, bavoso, con la panza, che magari è sporco e puzza, di entrare nel tuo corpo, se potessi evitarlo? Tu rischieresti di rimanere incinta perché uno stronzo ha voglia di usarti come userebbe il water per pisciare? No, "puttana" a un' altra donna non lo puoi dire.

Ero gravato da quel sentimento a cui non volevo dare un nome. Che non volevo provare e tuttavia provavo. Insieme alla rabbia, al rancore e alla delusione. Un sentimento che mi rendeva insicuro. Che doveva essere il fine di una vita, così dicevano, la sua parte migliore. Invece era una malattia che ti intaccava lì, alla radice, nell' identità, e la annientava.

Futuro un cazzo, c'era solo il passato. Nella vita, era tutto un passato che non potevo aggiustare, modificare, salvare.

Quel sentimento era più forte di tutto. Della dignità, del rancore, di qualsiasi idea e opinione. Mi rintronava nella testa, mi si scioglieva caldo nelle vene: ti amo.

Se anche fosse stato il nostro ultimo ballo, dovevo ballare. Se anche fosse stato il nostro ultimo istante, lo dovevo vivere. Tanto, tutto finiva. Era inevitabile, il futuro.

Il corpo sa sempre tutto prima ma la testa no, non vuole.

La peggior pena che si può infliggere a un essere umano non sono le bruciature, i tagli, il dolore. È la solitudine: nessun volto in cui riconoscerti, nessuna voce a ricordarti che sì, sei una persona anche tu.

Cos'altro puoi fare quando non riesci a pensare e sei solo sconvolto, se non avere una paura fottuta e provare a difenderti?

Nessuno vuole il male vicino perché ha paura di contaminarsi.

Non esistono quasi mai, nelle storie di cronaca, i parenti delle vittime. Il loro dolore non lo vuole nessuno. Non siamo interessanti come i carnefici, ma siamo troppo vivi per essere santificati. Siamo condannati a vivere con una voragine vicino, nello stesso identico mondo dove continuano a respirare,a pensare, a guardare la televisione, a mangiare e magari anche a ridere, a scherzare, a fare l'amore, gli assassini. Dopo cinque anni gli assassini erano fuori e noi eravamo ancora dentro, incapaci a una vita normale, a relazioni normali.

Se era stato Dio a mettermela davanti, o non esisteva, o era crudele.

E come le redimiamo, queste, sennò? Senza la storia, senza Pascoli, Manzoni, Dante? Fatte non foste a viver come brute! Avanti, a studiare!

Quella donna si porta dentro l'inferno e nessuno glielo toglierà mai. Chi sei tu per condannarla un'altra volta? È già stata giudicata, condannata, ha scontato la sua pena. Nessuno di noi contiene una persona soltanto.

Cambiare è la nostra natura. Il linguaggio è la prima possibilità di cambiamento. Perché sì: se le chiamate in un modo diverso, le cose cambiano.

Nell' abbandono sei più libero di trasgredire, rinascere oppure finire di perderti.

Alcune persone ce l'hanno quella forza: una sorta di feroce attaccamento alla vita per cui, qualunque cosa succeda, anche la più orrenda, la più irreparabile, finché sei viva devi vivere, andare. Come Ulisse.

Tra anime perse ci si riconosce e non sì temono giudizi.

Perché ognuno aveva la propria storia. E poteva pure andare a capo, scrivere capitoli nuovi, stravolgere la trama, aumentare i colpi di scena. Ma i capitoli vecchi non li potevi riscrivere. Né cancellare.

Nella sua infanzia c'era stata solo una cosa bella, una biblioteca semideserta, frequentata solo da vecchi. Ma a lei piaceva. Perché qui non aveva intorno compagne spensierate e senza un cazzo di problema. E nessuno la braccava. Era come evadere, evadere dalla sua vita.

Cosa è davvero ingiusta? La causa o la conseguenza?

Quando sei stato felice è molto difficile non esserlo più.

La lingua è viva, disobbidisce. Quello che era scorretto 50 anni fa, ora è giusto. "Essa" non si usa più per indicare persone di genere femminile perché la donna non è più considerabile in oggetto. Lo smartphone che vi piace tanto è entrato nel vocabolario. Alcune parole muoiono, altre nascono. Dipende dall'uso, dal tempo.

Ma perché ci vuole sempre un progetto? Non può essere un cazzo di "giorno per giorno" e vediamo come va? Che poi si sa già, come va: a puttane.

Pensai che se c'era qualcosa che non potevo più aggiustare in me, questo non significava che non potessi aggiustarlo negli altri.

Un carcere per minorenni è un controsenso. La stragrande maggioranza di chi finisce qui non andrebbe neanche punita. Per cosa? Per la sfiga di nascere in certi quartieri dimenticati da Cristo o in certe famiglie dove volano schiaffi e basta? Se la società ti permette di arrivare a rubare, a rapinare, a picchiare, a spacciare a 15 anni, chi ha la responsabilità di questo schifo? Dove erano la scuola, i servizi sociali, l'Italia e l'Europa prima dell' arresto? Dopo è troppo facile.

Anche il bene lo è: ostinato.



Non glielo so dire cosa sia una famiglia ma sono convinto che sia un posto dove non si prendono le mazzate, dove non c'è uno più forte che se la rifà con i più deboli. Cosa è una famiglia? Non te lo so dire. Non so un emerito cazzo. Però...la famiglia è una fune. Un caco d'acciaio che ti tiene, qualunque cosa accada. Ti impedisce di perderti e dissolverti perché tu, in quell' aggancio, sei stato amato.


Se non finisci prima di morire non puoi pretendere di rinascere.

Perché la vita è viva, e basta. Vuole andare, e del resto se ne fotte.

Avevo veramente rinunciato al futuro per il mio passato?

Ho pensato che la vita non mi aveva solo tolto, in realtà. Mi aveva anche dato. Dato un casino. Di giornate belle. Di estati. Di bagni nel torrente. Di libri che mi avevano fatto innamorare. Mi aveva dato amore, un mucchio di volte. E adesso toccava a me restituirlo.

Indipendentemente dalle botte che hai preso, dalle cose brutte che hai visto e sentito, fai problemi che ti stanno scavando dentro un buco (e io lo conosco alla perfezione quel buco) la verità è che né tu né io, né nessuno è veramente fogtuto finché è vivo.

È vero che non si poteva aggiustare, riparare. Però, e se ne rendevano conto solo ora, il passato era anche una cosa finita.

La verità è che non ti puoi sciogliere da te stessa, che non c'è modo di tornare indietro, sistemare le cose, tirare un sospiro di sollievo e, finalmente, andare avanti.

L'amore non serve a ottenere e neppure a risolvere.

Tutto il male del mondo non può nulla contro una gemma ostinata, contro la sua piccola ma tenace volontà.

Non mi sono mai nascosto perché non ti puoi nascondere da te stesso. Puoi illuderti, ma non risolvi nulla.

Lo sai quanto possono essere cattive le persone, specialmente quando sono spaventate da una cosa così brutta, che non comprendono.

Nessuno può darmi il permesso di esistere.

Normale. Che nessuno lo sa quanto sia bella questa parola, quanto rara.

L'importante era vivere, a qualsiasi costo: trovarne il coraggio.

Mentre la spogliavo e lei mi spogliava, non solo dei vestiti ma di tutto il passato e il futuro, e i nomi e le apparenze e le leggi e le convenzioni e il giusto e lo sbagliato, la mia bocca si staccò dalla sua per dirle l'unica cosa che ancora non le avevo detto, l'unica che per me contava: ti amo.

Non puoi amare qualcuno senza conoscere tutta la storia, specialmente il nero.

Cos'è il male? È un errore che fai tu? Una scelta? Oppure è una falla nel tuo sistema, una colpa che c'è in ogni essere umano? È la follia? È un più, una cellula impazzita con cui nasci? Oppure un meno? Io penso che sia un meno. Che sia come un vuoto che si genera da una crepa interiore e poi ti scava, ti scava e ti annienta.

È giusto che il.buio.dia consegnato unicamente a chi ci ama.


Non lo so chi sono, chi voglio essere. Lo deciderò un passo per volta, ascoltando cosa mi dice la vita.

È l'amore la risposta. Se ami una persona, non puoi prescindere da quello che è ed è stata. Non puoi suddividerla in parti e scegliere solo quelle che ti fanno comodo. Devi accettarla intera.

E io dovevo scrivere perché le parole servono proprio a vivere, a ricordare, a capire. A lasciare una traccia per non morire del tutto, per non fare morire chi amiamo.













martedì 23 novembre 2021

Frasi dal libro "Un'amicizia" di Silvia Avallone

 Mi sono tenuta questo vuoto nell'anima per tanto di quel tempo che adesso non me ne frega nulla se sono all'altezza oppure no. Non voglio raccontare niente, solo raccontare.

Aveva un dono: sapeva leggere. Non in superficie e neppure all'interno, ma al cuore. Sapeva che la verità di una persona, come di un libro, è in ciò che rimane muto e segreto.

Non avevo mai pensato che la bellezza potesse fare male.

Parlare non ci mette a nostro agio. Invece, scrivendo, sarebbe diverso. Potremmo prenderci il tempo che ci serve per scegliere le parole, aggiustarle, cambiarle se necessario.

Ero, evidentemente, una disadattata. Ma nella mia famiglia, con sfumature diverse, lo erano tutti.

Sperimentai l'enorme potere che hanno gli oggetti di rilasciare gli odori e le voci che hanno assorbito. Di rendere presenti i ricordi.

Sembra una calamità ma la faremo diventare un'occasione.

Il panico, o meglio la solitudine, è uno stato primitivo e molto semplice, in cui da una parte c'è il mondo smisurato, minaccioso, ignoto, e dall'altra ci sei tu, un nonnulla. Senza una madre nessuno può sopravvivere. E'una verità che ho sperimentato assai bene, di cui porterò sempre in ciascun organo vitale le cicatrici.

Non stringevo amicizia con nessuno ma con centinaia di personaggi immaginari, sì. Avevo un'esistenza spettrale e una fantasia incandescente. Solo l'invisibile accadeva sul serio, solo dietro le parole qualcuno era disposto a parlarmi.

La letteratura fu, in fondo, il solo modo che mi capitò per colmare il suo vuoto. Potrà mai esistere una passione senza prima un vuoto?

Una tachicardia meravigliosa mi afferrò il cuore: la possibilità.

La vergogna è un sentimento che ho provato spesso per la mia famiglia. Me la sono portata dietro come un masso, come se fosse colpa mia. Per anni.

A stare dentro l'attenzione di qualcuno non ero pronta: goffa, sbagliata e troppo esistente.

"Ma parli?"
No, preferivo ascoltare.

Aveva mani grandi. Io guardavo il suo corpo e, nel mentre, sentivo esistere il mio.

Ci stavamo solo guardando, ma non era vero. Le asole dei bottoni, le stringhe, le cerniere, tutto sciolto. Eravamo nudi. Così affini. E credo che riuscissimo a sentirci i cuori, l'uno nell'altra, battere.

Sfiorò la mia bocca. Le nostre labbra si toccarono. Si aprirono. Si richiusero una nell'altra. Era come se tutta la mia vita fosse lì, tutta me, in quel punto caldo e strano.

Rimasi lì a ripensare alla sconosciuta che avevo dentro, così spudorata, diversa da come mi credevo.

Erano così male assortiti, così felici.

Quando la lezione non mi interessava o gli altri mi prendevano in giro, mi assentavo con lui che era entrato nella mia vita, occupando un vuoto, dando forma all'abbandono che avevo cucito qui, tra lo sterno e il cuore.

Per lui come uno andava in giro vestito, pettinato, su quale mezzo di trasporto, non aveva rilevanza. Solo l'intelligenza contava, solo quel che uno sapeva e aveva da dire.

"Cosa sai fare?"
Non lo sapevo.
"Cosa ti piace?"
Provai a pensarci.
"Non cosa sei, come pensi di essere, come ti vedono gli altri, ma tu, nella vita, cosa vuoi?"

Inchiodata alla scrivania, il foglio bianco davanti. Vergai una sola parola, "Lorenzo", e fu come rompere un argine. Credevo di averlo rimosso, invece era rimasto. Latente, in incubazione. Lui, forse, oppure il bisogno di scrivere, di avere, mio e solo mio, un destinatario a cui raccontare ogni cosa.

Gli scrissi di cosa erano fatte le mie giornate: di silenzio.

Volevo morire. Con lucidità e ragione. Nessuno può farcela senza una famiglia e io non ce l'avevo, non la meritavo. Non vedevo alcun futuro davanti a me, eccetto il mare. Immergermi come Virginia Woolf, fu questo il pensiero. Tornare indietro, non camminare, non parlare più, a ritroso, non respirare, non nascere, rimanere dentro, incagliata sul fondo dell'acqua.

"Però, se in pubblico non litigano, è già qualcosa"
"Perchè, io e i miei fratelli non siamo un pubblico? Davanti a noi si dicono troia, puttaniere, si graffiano, e non gli importa niente che li vediamo. Ma degli altri, oh, gliene importa da morire".

Darsi un tono, nascondere le burrasche che si hanno dentro. Sembrare migliori e chi se ne frega della verità.

Variabile: incerta, lunatica, capricciosa. No, stronza.
La stella variabile è tale perchè è nera. Ha un lato opaco, spento. E' già morta, sta per collassare. Ma intanto brilla. Perchè l'altro lato è così luminoso che abbaglia, raggira. E io li conosco bene, entrambi i lati.

Vivevano nel futuro, non avevano paura dei cambiamenti. Mentre io, con i miei libri di poesia, mi ero già nascosta dietro le parole, dietro la carta. Restavo indietro a spiarli da una fessura. Era il mio destino.

Io e la realtà eravamo due categorie troppo impari.

Riconoscevo lo stesso terrore di sbagliare, di respingere anzichè sedurre.

Pensai che lo amavo. E non mi importava se questo verbo era eccessivo, se non conoscevo il significato. Il corpo non c'entrava più, almeno non solo. C'entravano le parole, quell'idea di eternità che chiamiamo anima, per cui si scrivono poesie, si compiono gesta. Lo amavo per sempre con tutta me, non avevo bisogno di sapere altro, che mi promettesse niente, che mi tornasse indietro qualcosa. Io lo amavo.

Perchè le parole a questo servono: a sperare, ingannare, abbellire e migliorare, ma la realtà è un'altra e se frega dei nostri desideri.

Le avrei impedito di cadere, sarei precipitata insieme a lei. Le promisi in silenzio che avrei fatto di tutto per rivederla felice,  un giorno, e forse l'amicizia è questa promessa.

Il futuro è un tempo che toglie e non aggiunge.

Se c'è qualcosa che brilla a portata di mano, perchè non dovremmo afferrarlo?

Vivevo con l'ossessione che tutti fossero lì a esaminarmi ogni minuto. Non capisco come riuscissi a conciliare una tale egocentrismo con la convinzione di non valere niente.

L'altrove per me era il passato, non il futuro.

Sarò una sfigata ma lasciatemelo dire: alla vita serve la letteratura.

Rimasi. Non sapevo fare altro che rimanere.

Perchè è vero che se ti volti indietro non trovi più niente. Ma davanti hai tutto. Tutta la vita da prendere.

La realtà adora infrangere i sogni.

Perchè si legge? Perchè non rimane altro.

Per leggere occorrono necessità e disperazione. E' una cosa che si fa quando nè la tv nè internet riescono a distrarti dal fatto che nella vita si perde, e si perde tutto. E chi conosci ti sembra felice e tu ti consumi d'invidia, quando l'unica soluzione è farla finita e diventare un altro.

Si accontentano dello scintillio in superficie mentre a me rimane tutto il buio.

I nostri ricordi è il caso che restino qui, nell'unico posto sicuro che conosco: un libro. Perchè questa non è una favola, è la nostra vita.

Per me era la norma passare le estati in quel modo: tutti al mare, nudi, a esibirsi e io rintanata a chiedere aiuto all'arte.

L'imperativo era scoprire, non mostrarsi.

La verità si compie all'interno, senza testimoni.

La verità è che il lutto per un'amicizia finita non si risolve. Non c'è modo di curarlo, rielaborarlo, chiudere e andare avanti. Rimane lì, piantato in gola, a metà tra il rancore e la nostalgia.

Ho accettato che passiamo la vita a decifrare chi dovremmo conoscere meglio: i genitori, i figli, restando gli uni per gli altri un mistero.

La amavo e la rifiutavo. Mi faceva pena e rabbia.

Non so vivere in altro modo, ho bisogno di fare follie ogni tanto, sennò mi sento soffocare.

Bisogna ascoltare la musica italiana. Nessun paese può vantare i cantautori e i poeti che abbiamo noi.

Non riuscivo a mettere a fuoco perchè dovessi impegnarmi a renderla felice dal momento che lei mi aveva dato in eredità solo problemi.

In realtà non mi doveva nulla: la sua vita non mi apparteneva.

Non era bella però si è sempre comportata come se lo fosse e noi abbiamo sempre abboccato.

Fu la prova che il centro del mondo, se vuoi, lo puoi spostare.

Il lusso di scrivere è salvare.

Tra me e lei restava un differenza: lei si vedeva e io no.
Lei si materializzava in un luogo e ne modificava la temperatura. Io volevo solo essere diversa da quel che ero, mentre lei era l'abbaglio che tutte le ragazze del mondo, eccetto me, avrebbero desiderato ostentare. Quale abbaglio? Sbrigativamente mi verrebbe da dire: piacere, irradiare bellezza. Ma Bea non ha mai mietuto consensi, anzi: ha sempre diviso. Era bella come potrebbero esserlo in tante, coprendo i brufoli e con qualche ritocco. Ma dove risiedeva davvero il suo potere? Perchè è di questo che stiamo parlando: del fatto che a lei non fregava nulla del giudizio degli altri, che teneva tutti per le palle, che incuriosiva e attraeva perchè conteneva un irresolubile enigma.

"Ti giudicheranno male"
"Oh, con sta storia dei giudizi, basta! Sempre lì a pensare agli altri. Ma chi sono questi altri? Te lo sei mai chiesta? Tu pensi che siano tutti felici, amati, filosofi pieni di cultura con famiglie favolose? Pensi veramente che stiano meglio di te? Stiamo tutti male, tutti, allo stesso modo! Diranno che sono scema? Pace. Che sono troia? E lasciaglielo dire. Se gli fa comodo, che male c'è? Hanno paura della mia libertà, me la invidiano, questa è la verità.

Io la vedevo nitida e chiara, la sua infelicità. Tutto quello che avrebbe fatto nella vita sarebbe stato confondere le acque. Restare al sicuro dietro la percezione degli altri. Rendersi inconoscibile.

Eravamo orfane e ci eravamo adottate.

Sogni e realtà non coincidono mai perchè non possono.

Muore perchè si era data in precedenza una meravigliosa opportunità: compiere errori.
Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando.

La realtà si sbriciola, le immagini no.

Raccontare serve a questo: a rendersi conto.

La vita vera comincia solo quando tradisci chi ami per non tradire te stesso, quando te ne vai per diventare chi sei. Ma a lei questa scissione ha sempre terrorizzato. Ancora oggi prova una vertigine abissale nei confronti della sua libertà.

Se non hai un'occupazione, una passione, non sei libero, non sei niente.

La mia vita è finita. Sono libera. Sono nata.

Il destino è rivivere il trauma, ripetere gli errori, a meno che non ci si ribelli.

Mi domandai cosa resta di noi nei luoghi che amiamo, cosa sopravvive di tutti i baci, le confessioni, la gioia, perchè da qualche parte la nostra vita deve pur rimanere, no? Sarebbe uno spreco tale, se morisse insieme a noi. Il fatto è che niente muore davvero, nei luoghi.

Anche se dopo la realtà si è rivelata non all'altezza, però non si può lasciare mai, un sogno.

Devi studiare, ti devi laureare e prenderti sia pure il resto di tutti i resti di felicità.

Da tempo mi sono arresa a me stessa, e concessa la libertà di non piacere.

Più di una decina di anni fa, una persona mi aveva detto che la letteratura avrebbe fatto presto il suo tempo,  perchè cosa te ne fai di un libro se hai la vita degli altri visibile e a portata di mano?
Altri veri, mica immaginari, che conosci e ti sembra di poter spiare da vicino. Puoi invidiare la collezione di momenti felici che mostrano, impegnarti a fabbricarne una altrettanto invidiabile, chiuderti in una stanza e scattarti foto da sola, scrivere lettere d'amore a te stessa. Sono certa che quella persona avesse ragione, però, vedete...nè lei nè nessuno riuscirà mai a convincermi che le foto su internet delle mie vicine di casa siano più interessanti di tutti i giorni, mesi e anni della loro vita in cui non sembrano niente, non vogliono assomigliare a nessuno nè vincere nulla. Perchè quelle immagini io non le riesco ad amare, ma la presenza i quelle persone, la loro verità, sì.

Siccome io ci sono già passata e conosco le disastrose conseguenze di un'amicizia sbagliata, vorrei evitarle a mio figlio. Ma non si vive e non si cresce senza passare attraverso un'amicizia sbagliata.

Ricordiamoci che il caldo abbraccio della letteratura è pur sempre una droga.

Mi sono chiesta se un silenzio possa costruire una notizia, la più importante.

Quanta menzogna e quanto sortilegio ci sono nell'atto stesso di raccontarci, scrivendo e fotografandoci. E quanto dolore indichi sdoppiarci, guardarci da fuori, come un'obiettività anche minima sia impossibile.

Ho difeso bene la mia esistenza che, sarà pure normale e scialba, ma ci ho messo parecchia fatica a costruirla.

Tutti quei libri che abbiamo letto devono pur migliorarci la vita.

Lo vedo, sono stanchi. Stanchi di cosa, se non lavorano e non mettono neanche troppo in ordine? Credo di alzarsi al mattino, di vivere questi giorni.

Possibile, mi chiedo, che il meglio sia già passato? Che abbia un figlio adolescente che tra poco andrà per la sua strada, e rimarrò a casa sola la sera a pensare a un amore chiuso nel 2006, a un'amicizia perduta nello stesso anno, alle poesie e ai romanzi che non ho scritto, con una carriera di ripiego che chissà se avanzerà mai?

Non è stata colpa tu, penso anni dopo. E nemmeno mia. Non è stata colpa di nessuno se eravamo così sole.

Siamo tre stranieri che si sono intralciati, fatti del male, ma siamo qui adesso e mi rendo conto che non abbiamo niente da perdonarci. Lo decido io cosa conta di più, alla fine, dentro questa storia. E conta il bene che ci siamo dati.

Mi prometto che non giudicherò mai più nessuno dall'apparenza, non prima di aver ascoltato tutta la storia.

Basta fingere. Chi è che ha recitato di più fra noi due in questi anni? Non me ne importa, non è una gara.

Non sono mai diventata una scrittrice, è vero Ma, forse, lo sai? Forse qualcosa ho scritto. Romanzo è una parola grossa. Diciamo che mi sono sfogata, questo sì, e che scrivere è stata una liberazione.

Maledico questo discorso della moda perchè a me gli abiti non mi svelano e non mi spiegano. Io dovrei solo scrivermi, ecco, non svestirmi.

La bellezza è una menzogna che non dà scampo.

Vorrei dirti che tutti abbiamo paura delle novità, ma mi mordo le labbra. Perchè in effetti io ci spero, ogni primo gennaio, di cambiare. E che il futuro sia migliore del passato. Di non assomigliarmi più.

Tu cosa vuoi? Non cosa pensi che si aspettino gli altri da te, come ti piacerebbe essere giudicata. Ma tu, nella vita, cosa desideri?

Lo deciderai col tempo, no? Chi sei. Puoi procedere per tentativi ed errori, sbagliare come sbagliano tutti. Puoi cambiare idea, rimetterti in discussione.

Chi siamo è infinitamente più interessante e commovente di quel che vorremmo a tutti i costi sembrare.

Tutto quello che avevamo vissuto fin qui era solo una delle amicizie possibili. Una declinazione acerba e per giunta zeppa di errori. Ma potevamo sperimentarne altre.

L'unica cosa che abbia il potere di restare e di durare, alla fine, sono le parole con dentro un significato. Non c'è altro modo di trattenere la vita. Ma la vita, ha davvero bisogno di essere raccontata, per esistere?







"Un'amicizia" Silvia Avallone (2020)


 

LA TRAMA:
Se le chiedessero di indicare il punto preciso in cui è cominciata la loro amicizia, Elisa non saprebbe rispondere. E'stata la notte in cui Beatrice è comparsa sulla spiaggia, improvvisa, come una stella cadente, con gli occhi verde smeraldo che scintillavano nel buio? O è stato dopo, quando hanno rubato un paio di jeans in una boutique elegante e sono scappate sfrecciando sui motorini? 
La fine, quella è certa: sono passati tredici anni, ma il ricordo le fa ancora male.
Perchè adesso tutti credono di conoscerla, Beatrice: sanno cosa indossa, cosa mangia, dove va in vacanza. La ammirano, la invidiano, la odiano, la adorano. Ma nessuno indovina il segreto che si nasconde dietro il suo sorriso sempre uguale; nessuno immagina un tempo in cui la Rossetti era soltanto Bea, la sua migliore amica.


IL MIO GIUDIZIO:
Come esordirebbe la De Filippi, presentando una puntata di "C'è posta per te":
"Questa è la storia di un'amicizia interrotta".

Un'amicizia, con l'articolo indeterminativo davanti perchè, come spiega la stessa autrice, con un concetto che racchiude un importante principio buddista,  quello che le protagoniste hanno vissuto è stata solo una delle amicizie possibili, c'è sempre la possibilità di sperimentarne altre o di ricominciare da capo in maniera diversa.

A pochi giorni dal Natale 2019, Elisa Cerruti, trentatrenne ricercatrice che insegna letteratura italiana all'università di Bologna, dopo aver ripreso in mano dei vecchi diari, realizza il sogno di una vita, scrivendo un romanzo che racconta della sua amicizia con Beatrice, oggi influencer di fama mondiale.
Un'amicizia iniziata nel 2000, quando entrambe avevano quattordici anni e frequentavano il ginnasio, 
e conclusasi intorno ai venti anni, il 9 Luglio 2006, subito  dopo la vittoria dell'Italia ai mondiali: la sera in cui la nostra nazione vinse tutto ciò che poteva vincere, Elisa perse tutto ciò che poteva perdere.

Un rapporto viscerale, il loro, totale, simbiotico che, per certi versi, ricorda quello di Lila e Lenù ne "L'amica geniale" (libro che viene anche citato nell'opera, fra l'altro).
E' soprattutto in questo passaggio che Bea ed Elisa mi hanno portato a fare il paragone con le due amiche napoletane:
"Tra me e lei restava un differenza: lei si vedeva e io no.
Lei si materializzava in un luogo e ne modificava la temperatura. Io volevo solo essere diversa da quel che ero, mentre lei era l'abbaglio che tutte le ragazze del mondo, eccetto me, avrebbero desiderato ostentare. Quale abbaglio? Sbrigativamente mi verrebbe da dire: piacere, irradiare bellezza. Ma Bea non ha mai mietuto consensi, anzi: ha sempre diviso. Era bella come potrebbero esserlo in tante, coprendo i brufoli e con qualche ritocco. Ma dove risiedeva davvero il suo potere? Perchè è di questo che stiamo parlando: del fatto che a lei non fregava nulla del giudizio degli altri, che teneva tutti per le palle, che incuriosiva e attraeva perchè conteneva un irresolubile enigma."

Perchè Bea ed Elisa non possono essere più diverse: una concreta, ma frivola e superficiale, l'altra sognatrice, con un immenso mondo interiore, ma introversa e insicura; una amante dei vestiti e del make up, una Chiara Ferragni antelitteram, che ha sdoganato il concetto di influencer ancora prima che nascessero i social, l'altra tutta libri e scrittura per evadere da una realtà che non le appartiene; una tutta apparenza, l'altra un abisso di profondità.
Questo ambiguo rapporto di amore e odio, che a tratti sembra sfociare nel saffico, rivela in realtà due facce della stessa medaglia: ognuna di loro vorrebbe avere le caratteristiche che l'altra ha e che invece non ritrova in sè. Allo stesso modo, il lettore si identifica un pò nell'una e un pò nell'altra, anche se io, onestamente, l'unica cosa che mi trovo a condividere con Beatrice, è la data di nascita, visto che l'autrice ha deciso di farla nascere il 22 Febbraio, proprio come me. Per il resto, sono Elisa fatta e finita, a partire dal colore dei capelli, passando per l'amore per i libri, fino ad arrivare al carattere mite e solitario.

Personaggi secondari, ma non meno importanti, sono i genitori di Elisa, Annabella e Paolo.
Lei, originaria di Biella, un passato da bassista in un gruppo rock, che ha dovuto, di malavoglia, mettere da parte le velleità artistiche per fare la madre. Una donna stravagante, eccentrica, poco presente, tanto distratta ed immatura da risultare egoista ma che, nel momento del bisogno, sa prendere in mano le redini della situazione.
Lui, nativo di T., piccola cittadina toscana bagnata dal mare, serio, metodico e posato docente universitario, tutto dedito all'informatica e alla passione per il bird watching che si trova all'improvviso a doversi inventare padre di un'adolescente riottosa, silenziosa e decisamente outsider.
Perchè Annabella, separata da anni dal marito, decide di raggiungerlo e di provare a ricostruire il matrimonio.
Quando, però, il tentativo fallisce, torna a Biella con il figlio maggiore, lasciando Elisa insieme al padre, affinchè possa frequentare il liceo e vivere una vita più stabile e regolare rispetto a quella che avrebbe condotto nella città piemontese.

Ed è proprio a T. che si svolge buona parte della narrazione.
E' a T. che vediamo nascere e crescere l'amicizia fra Eli e Bea .
Il nome di T. non viene mai svelato per intero ma, da dei dettagli (la terrazza a picco sul mare, edificata sulle rocce con le panchine di pietra e l'arcipelago toscano davanti) ho dedotto che si tratti di Piombino, in provincia di Livorno; località nella quale la Avallone ha ambientato anche il suo (bellissimo!) romanzo d'esordio, "Acciaio".

"Un'amicizia" è una storia intensa che, oltre ad analizzare il chiaroscuro che si cela dietro, appunto, un'amicizia, pone l'accento sulla sostanziale differenza fra la triste, insopportabile e spesso sciapa realtà e la finzione social dove possiamo prendere la nostra rivincita, immortalando e condividendo i nostri momenti migliori, millantando una felicità che siamo lungi dal provare, solo per farci invidiare dagli altri. Come ci insegna Bea, cosa ci importa della realtà, se possiamo dare l'idea di essere qualcos'altro? Se lei, adolescente "wannabe" di inizio 2000, quasi venti anni dopo, si trova ad essere la divina, osannata e irraggiungibile Beatrice Rossetti è perchè, per prima si è sentita bella e invincibile...e il resto del mondo le ha creduto.
Pensiero discutibile? Ognuno tragga le sue conclusioni.
Io mi sento decisamente più vicina a Elisa, donna comune dalla vita comune, convinta che "chi siamo è infinitamente più interessante e commovente di quel che vorremmo a tutti i costi sembrare".

Anche con questa ultima opera, ben scritta e coinvolgente, Silvia Avallone si conferma una delle migliori autrici di narrativa contemporanea.




IL MIO VOTO:
I romanzi di Silvia li compro a scatola chiusa perchè sono sempre sinonimo di qualità e anche stavolta non si è smentita. 
Sulla scia de "L'amica geniale", una storia che ci spiega quanto siano meravigliosi ma al tempo stesso complessi e talvolta ambigui i rapporti di amicizia a maggior ragione quando si è completamente diverse. Ma, sicuramente, c'è un pò di Eli e un pò di Bea in ognuno di noi.
Consigliato!


LA SCRITTRICE:



domenica 1 luglio 2018

"Acciaio" Silvia Avallone (2010)




LA TRAMA:
Nei casermoni di Via Stalingrado a Piombino avere 14 anni è difficile.
E se tuo padre è un buono a nulla o si spezza la schiena nelle acciaierie che danno pane e disperazione a mezza città, il massimo che puoi desiderare è una serata al pattinodromo, o avere un fratello che comandi il branco, o trovare il tuo nome scritto su una panchina.
Lo sanno bene Anna e Francesca, amiche inseparabili che tra quelle case popolari si sono trovate e scelte.
Quando il corpo adolescente inizia a cambiare, a esplodere sotto i vestiti, in un posto così non hai alternative:
o ti nascondi e resti tagliata fuori, oppuri sbatti in faccia agli altri la tua bellezza, la usi con violenza e speri che ti aiuti a essere qualcuno.
Loro ci provano, convinte che per sopravvivere basti lottare.
Ma la vita è feroce e non si piega.
Scorre immobile senza vie d'uscita.
Poi, un giorno, arriva l'amore.
Però arriva male.
Le poche certezze vanno in frantumi e anche l'amicizia invicibile fra Anna e Francesca si incrina, sanguina e comincia a far male.





IL MIO GIUDIZIO:
Nell'estate che precede il giorno che cambierà per sempre il corso della Storia, l'11 Settembre 2001, 
in una piccola e squallida cittadina di periferia della Val di Cornia,
fra la tossica acciaieria "Lucchini S.P.A." e il mare inquinato di Piombino,
sbocciano due fiori: Anna e Francesca.

Anna e Francesca, una mora e l'altra bionda.
Due tredicenni belle da togliere il fiato.
Belle di una bellezza tanto delicata quanto aggressiva, che usano con strafottenza, come arma per raggiungere i propri scopi.
Come se essere avvenenti fosse un merito e non un casuale dono di madre natura.
Una bellezza che sbattono in faccia a chiunque, forse perchè non hanno nient'altro da offrire se non la loro esteriorità.

Anna e Francesca, cresciute entrambe in un contesto familiare difficile,
formano un microcosmo a sè stante.
Narcisiste, egocentriche, anaffettive, superficiali, materialiste ed esibizioniste, 
si sono trovate, riconosciute e scelte, lasciando fuori il resto del mondo.
Un'amicizia intima e totalizzante, ai limiti del morboso.
Un'amicizia che trascende nell'amore.
Amore che solo l'una per l'altra sanno provare.

E, intorno a loro, ma lontani da loro, le loro famiglie, i vicini di casa, i compaesani,
tutti alle prese con un'esistenza da portare in qualche modo avanti, alla meno peggio, 
fra botte ed umiliazioni; sfiancandosi di fatica in fabbrica o dedicandosi ad attività al limite della legalità, per non dire proprio illegali;
fra una canna e un tiro di coca;
una corsa sfrenata in macchina, con la musica a palla, o una serata trasgressiva al "Gilda" di Follonica.

Un romanzo crudo,che racconta con estremo realismo e senza mezzi termini, il degrado e la miseria di chi vive ai margini della società.

Ma anche una storia di amicizia,amore e morte.

Scritto con uno stile semplice e fresco, opera prima di un'autrice all'epoca poco più che ventenne, 
"Acciaio" è una lettura piacevole, che coinvolge ed avvince,
che ti porta a calarti completamente nelle vicende di Via Stalingrado,
ad emozionarti, a soffrire e a gioire, ma anche ad arrabbiarti, insieme ai protagonisti della storia.

Con un finale al cardiopalma, dove si intuisce che qualcosa sta per accadere,
ma non si sa cosa e soprattutto a chi.

Ed un epilogo dolce e amaro, proprio come lo è la vita.


IL MIO VOTO:
Un romanzo crudo ma avvincente.
Una storia di amicizia,amore e morte.
Assolutamente consigliato.

LA SCRITTRICE:



domenica 13 agosto 2017

Frasi dal libro "Da dove la vita è perfetta" di Silvia Avallone

Le avrebbe fermato il cuore,come tutte le cose che non potevano guarire.

Il dolore era l'unica verità vera.

Il loro volto era sempre strano quando la guardavano.
Come se non riuscissero a metterla a fuoco.
Come si fa con le imperfezioni,con le cose scadenti.
Forse era solo una sua impressione,ma le sembrava glielo rinfacciassero tutti,che aveva sbagliato.
Che non sarebbe mai stata perdonata per questo.

Eppure doveva esserci ancora il sole da qualche parte.

Mentre il corpo la dilaniava per aprirsi,lei si chiudeva.

Avvertiva il peso dell'esistenza a ogni passo.

Non riusciva più a sostenerla,la felicità altrui.

Nonostante la tenacia e la testardaggine,era nata per perdere.

Era arrivato,punto.
Era al capolinea.
Si arrendeva.
E per la prima volta,ammettendolo,si sentiva umano.

"La vita è una cosa lieve",pensò,"deve esserlo".

Non pensare,non ricordare.
Resisti solamente.

Era esausta.
Di aspettare,di precipitare dalla fiducia alla delusione.
Era così tenace in lei la speranza.
Ma più speranza era qualcos'altro.
Era ostinazione,era un suicidio.

Il dolore di quel niente era diventato un fuoco.

Stava tutta lì la differenza:
nell'accanirsi in quello che non ti riesce.
Nell'ostinarcisi giorno e notte.
Nello scegliere il difficile anzichè il facile e ammazzarcisi sopra.
La differenza fra chi se ne andava e chi rimaneva,nonostante tutto.

L'aveva chiamata Bianca.
Come le cose bianche.
Le cose pulite e piene di luce.

Aveva imparato a conoscerlo.
Ad aspettare.
Tonnellate di pazienza ci volevano con lui.
Anche quando sembrava disposto a concederle un pò di fiducia,bastava una parola storta perchè si trincerasse di nuovo dietro quel suo silenzio.
Che era adulto e insieme infantile.
Era una causa persa.
Eppure...
Non sapeva nemmeno lei perchè ci si ostinava così tanto.
Un'utopia.
Però faceva tenerezza quando diventava protettivo.
Perchè lo era in modo goffo,come se si vergognasse di provare qualcosa di diverso da un senso sterminato di rivalsa.

Scrivi!
Altrimenti macerati in silenzio finchè muori.

Era una con molti libri e poca vita.

Non era stato un errore,nè una scopata nè una distrazione.
"Metà me e metà te".

"Lo vedi questo? E'un certificato di nascita. La riconosci o non la riconosci?"
"Non la riconosco".
Ecco,lo aveva detto.
Ricorrendo a una volontà disumana.
Che nessuno doveva azzardarsi a giudicare,a immaginare o a capire.

Quando è che uno diventa genitore?
Quando lo desidera,quando partorisce,quando lo esige e lo pretende?
Uno diventa genitore quando accetti che tuo figlio sia un altro.
Quando lo ami chiunque sia.

Ci sia:congiuntivo.
Non una realtà,solo una possibilità vaga,inquinata dalle speranze.
Resa infida dalle fantasie nella tua testa.

La sua voce era come fosse l'elemento chimico base di cui era composta la sua esistenza.

L'infanzia era un lusso che non poteva permettersi.

Il dolore non li rendeva persone migliori però li univa.

"Cosa farai questa estate?"
"Leggerò.E basta"

Lo diresti che siamo già in paradiso,anche se non riusciamo a comprenderlo?

Le aveva spaccato il cuore.
Glielo aveva crepato e mandato in frantumi così piccoli da non poterli aggiustare.

L'irreparabile non si ripara,punto e basta.
Perchè esistono sul serio cose così rotte,così impossibili da aggiustare,che è come morire.

Non le occorreva neppure la compassione degli altri,lo sguardo comprensivo di chi non ne sapeva un accidente e sotto sotto era pure contento che non fosse toccato a lui.

Il suo utero,evidentemente, era un posto troppo inospitale.
Lei era una persona troppo sbagliata.
Ma cosa provavano le altre donne?
Quelle che pisciavano,aspettavano 3 minuti e si trovavano di fronte un bel "+"?
Come esultavano,se esultavano?
Quali parole dicevano quelle per cui bastava una scopata?
Quelle a cui capitava,e manco lo avevano voluto.
Le odiava,una per una.
Le odiava di un odio folle.
Era così tremendo?
Così diabolicamente contro natura desiderare un figlio?
Lei non avrebbe mai visto un "+" nella sua vita.
Era una donna inutile,riarsa.
Era solo un vuoto enorme.

Si chiese se fosse un destino,quello di farsi umiliare.

C'era qualcosa conficcato nel suo corpo che le diceva di non poterne fare a meno.
Che le imponeva di averne bisogno.
Dove la parola "bisogno" stava a significare una mancanza totale,un'astinenza assoluta.
Svegliarsi la mattina e non avere un senso.

Rimanendo insieme potevano essere più forti del mondo là fuori.

Lei che sogni aveva?
Non voleva diventare qualcuno nè niente.
Voleva solo appartenergli.

Continuarono a tenersi stretti,come se fossero diventati le 2 metà di una stessa cosa.

Però quanto è dolce farsi fregare.

C'era una puzza insormontabile di umanità.

Nascere in un posto o in un altro non fa nessuna differenza,se hai un cervello.

Si chiese fino a che punto fosse lecito accanirsi,lasciare che la speranza ti distruggesse la vita.

Per troppo tempo era rimasta lassù,prigioniera di una confine.
Aveva disimparato a vivere.
Aveva aspettato.
Qualcosa che non si sarebbe mai potuto avverare.

Perchè continuava a ferire gli altri,se voleva punire solo se stessa?

Doveva fare qualcosa,non poteva passare la vita a una finestra a guardare.
Doveva farlo:andare fino in fondo,sbattere la testa al muro.
Cambiare.

A lei le cose sconsigliabili erano sempre piaciute.

Volevo rimediare e ho peggiorato le cose.
Mi succede di continuo.

"Siamo,come si dice,arrivati a un punto di non ritorno"
"E allora non ritorni.Non ritorni dove già sa che non troverà niente.Cambi strada.Vada altrove"

Sine causa.
Ma una causa c'è sempre,per tutte le cose.

Non si sentiva speciale per il fatto di chiudersi là dentro con il computer acceso.
Anzi,si sentiva un insetto imbozzolato.
Uno che non è più capace di scendere in cortile a sudare e sgolarsi.
E allora scrive.

Il dolore degli altri lo poteva raccontare,ma la felicità no.
Da quella poteva solo venire escluso.

Anche dalla felicità del passato si rimaneva esclusi,dai giorni in cui era stato vivo.

Si chiese perchè.
Perchè era così fragile e diverso da tutti gli altri.

Ma lei cos'era?
Si era mai preoccupato qualcuno di quello che poteva diventare lei?

"Io ti voglio bene",
E "io ti voglio bene",nel suo cuore,era un insulto.

Che ne sapeva lui,di cos'era un'amicizia femminile?
C'era sempre una quota di amore viscerale tra 2 donne,altrimenti si trattava solo di conoscenti.

"Possibile che devi sempre comportarti da vittima e far pesare sempre tutto?"
"Perchè pesa"

Cosa vuol dire nostro?
Nessuna persona è di qualcun altro.

E venne fuori che il dolore le sarebbe servito.

Tutte le cose importanti non lo avevano mai,un perchè.

Difendeva l'indifendibile e l'aveva capito di essersi giocata tutto per un cretino.

Finchè non le metti nero su bianco,le cose,non le vedi.

La faceva sentire nuda quello sguardo e allo stesso tempo in un luogo in cui era già stata.

Solo lei lo conosceva.
In tutta la terra,solo lei sapeva com'era davvero:
sensibile e generoso.

"Non sei più sola".
Invece lo era in un modo sterminato.
Assoluto e totale.

Iniziare era sempre difficile perchè un poco occorreva morire.

Non l'avrebbe indovinato nessuno,dall'esterno,a che livelli riusciva ad odiare.
Perchè lei lo sapeva che il male non ti rende migliore.

Non credeva alle persone nuove.
A 30 anni sei quello che sei,con il tuo carico di ruggine e di difetti.

Non esiste una persona a cui puoi dire tutto.

Non aveva mai compreso la sua ossessione di diventare madre.
C'era così tanto da conoscere a questo mondo,da cambiare.

Un atto di fede come crescere ed educare un bambino,accettare la sfida del suo futuro,era diventato un gesto coraggioso.
Quasi rivoluzionario.

Ancora non lo sapeva che,tra amiche,la felicità è veleno.

Edificare un'anima:questo sì che significava riscatto.

..con la solita urgenza insaziabile di essere la migliore,ineccepibile,la numero uno.
Sì!Sì!Sì! Voglio affrontare tutto!

Dalla miseria si poteva solo migliorare.

Aveva una dolcezza nel volto.
Un indizio di comprensione per le debolezze altrui.

...l'idea che qualcuno vivesse per renderti felice.

Era un casino,un cataclisma.
Ma,forse,era anche una cosa troppo bella.

Si alzò e si vedeva da un km che era triste.
Che lo pensava.
Che non si era arresa.
Ogni giorno si svegliava e per prima cosa accendeva il cellulare ma non trovava alcun messaggio.

Cosa te ne frega,si disse,di cosa pensano gli altri.

Un bambino non è una cosa.
Non dovresti mettere al mondo una persona solo perchè ne vuoi un'altra.

Non ti puoi fidare di lui.
Perchè nemmeno lui si fida di se stesso.

Era un narratore,non un protagonista.
Non poteva vivere una vita sua,solo quelle degli altri.

Mi basta le cose di me che non so da dove vengono per capire che non è una bella persona.

Avvertì il suo sguardo dentro il corpo.
Si sentì esistere in quello sguardo.
E avrebbe continuato così per sempre:a farle domande e a rispondere alle sue.

Lei non lo voleva un bambino.
Non l'aveva mai voluto.
Però quello lì,che ora nuotava sul lato sinistro dello schermo e compiva una capriola,non era affatto un bambino: era suo figlio.

La felicità è un frammento.
La durata è nel dolore.

E'possibile,secondo voi,imparare i sentimenti?
No,era impossibile.
Di più:era inutile.

Nella vita era una persona sbagliata.

Non ti punire:se c'è qualcosa che desideri,non difenderti.
Non cercarti delle scuse per evitare di raggiungerla.

La felicità,si disse,era una cosa destinata agli altri.

Non riusciva a vivere,ma lo voleva.
Non c'era altro che desiderasse se non rinascere.
Con lei.
Nello stesso luogo.

Il dolore che rimane.
I vuoti che lasciano le persone quando se ne vanno.
La memoria del loro odore.
Il lembo di un vestito impigliato dove le avevamo viste l'ultima volta.

Prendere coscienza non serve nè a farti cambiare nè a impedirti di ricordare.

Io ci provo sempre a insegnarti qualcosa.
Solo che tu sei una di quelle persone che non imparano mai.
Hai l'anima cieca.
Vedi solo te stesso.

...una passione straordinaria che decide al posto tuo.

Perchè lui era tutta la sua debolezza.

Lei non lo sapeva cos'erano state tutte quelle notti.
Il desiderio di parlarle,di toccarla,che lo afferrava alla gola e sbatteva contro la realtà delle cose.

Mi basta una possibilità.
Una sola.

Era nato per deludere.
Per vergognarsi.
E si sentì in tutto e per tutto sbagliato.

"Lei è molto intelligente.
Ha una sensibilità straordinaria e sa sempre mettersi nei panni degli altri.
Eppure,quando toccano i suoi,comincia a difendersi,ad accusare.
Ogni volta è come se rivendicasse un risarcimento.
Per la sua sterilità.
Per la sua sofferenza.

Ma non può reclamare una maternità che non le spetta."
Infatti.
Spettava alle ragazzine che avevano bevuto troppo.
Alle tossicodipendenti.
Alle prostitute.
Spettava a quelle che abortivano,che abbandonavano,che maltrattavano.
Ma che avevano l'utero e le tube in funzione.
A queste spettava,sì?

Quel "senza"ha contato di più di ciò che avrei potuto avere.
E'grazie a quel "senza" se sono qui e non cedo.
E voglio prendere in braccio mio figlio e aiutarlo a fare i conti con tutti i "senza" che si troverà davanti.
Con tutti i "senza" che lo hanno già segnato.

Perchè ci siamo lasciati?
Perchè ti ho vista per quello che eri:banale.

"Ci sai fare con i bambini"
"Mi piacciono.Come ti guardano,come si affidano.Ti fanno sentire amato in un modo in cui nessuno ama".

Erano storti,difettosi e non sarebbero mai guariti.
Però lui la amava e avrebbe fatto qualunque cosa per renderla felice.
Le sarebbe stato sempre accanto.
Perchè era lei,la famiglia migliore.

Ti sei affezionata a un'idea,va bene,può succedere...ma adesso basta.

Non sapeva se aspettarla o se morire.

Era lo stesso bambino che diceva:
"E tu,che cazzo vuoi?".
E lo diceva con gli occhi prepotenti,ma pieni di dolore.

Le andò incontro e lei provò di nuovo quel desiderio terribile di rintanarsi con lui in una caldaia,in una buca sotto terra.
Di togliersi i vestiti e appiccicarsi al suo corpo fino a perdere i contorni.

Lei voleva continuare a ricordare:
ogni singola umiliazione,il disamore e il male che lui e tutti gli altri le avevano fatto.

Tu non lo sai,quanto ti amo io.
Quanto ti ho pensato e ti penserò ogni giorno.
Mi mancherai e non potrò farci niente.

L'aveva distrutta,l'Adele di prima.
Era stato lui a rovinarla e imbruttirla.
L'aveva rovinata,sì,ma non fino in fondo.
Le era rimasto lo sguardo pulito e una cieca ostinazione al bene.

Voglio stare con te perchè sei l'unica cosa che ha senso.

Cos'è l'inferno?
E'la sofferenza di non poter più amare.

Il male era un meno.
Un vuoto che ti portavi appresso per sempre perchè qualcuno non ti aveva amato.
Non ti aveva sorriso.
Non ti aveva insegnato a parlare.
Se metti al mondo una persona,la devi amare.
La devi guardare negli occhi e le devi dire:
"Sei al sicuro".
Sennò la fai vivere,ma non nascere.
Sennò la uccidi.
Sennò le inietti nell'anima una sottrazione di cui non si potrà mai liberare.
E' che se da bambino non sei amato,poi non esisti.

Perché ti assaliva una tale disperazione,a volte,che non guardavi più in faccia nessuno.

L'amore furioso,furibondo e cieco.
Non esiste limite,a questo amore.
Non esiste accettazione.
Né giusto né sbagliato,quando soffri così tanto.

Lui non poteva capirlo:
una volta al mese,sentirsi dire dal tuo stesso corpo che non servi a niente.

Avevo fame.
Una fame che non so spiegare a parole.
Come un vuoto enorme che non sarebbe stato riempito nemmeno da un supermercato.

Ero solo.
Il più solo al mondo.
Eppure mi davo un obiettivo e lo realizzavo.
Senza sgarrare,con una disciplina pazzesca,dimostrando a me stesso che valevo qualcosa.

Aveva tutti quei capelli che le spiovevano sul viso,anarchici e anticonformisti,com'era lei.

La guardava e non gli mancava niente:né il passato né il futuro.
Era qui che voleva stare.
Con lei in un pomeriggio qualunque.
E adesso la sentiva la felicità lieve di stare al mondo.
E questa cosa qui che rimaneva,risaltava e li legava,era più forte di tutto.
Era amore.

Ma come si può provare così schifo per la propria vita?

E loro 2 nel buio,gettati fuori,a cercarsi come randagi.


"Che cosa vuol dire?"
"Quello che ho detto:le parole coincidono con le cose".

Ogni mattina mi svegliavo e pensavo che era un buongiorno perché tu esistevi.
Facevo tutto veloce per vederti presto.
Eri la mia unica certezza.

Gli aveva voluto tanto di quel bene che era stato come perderci la testa.
Aveva le farfalle nello stomaco ogni volta che lo rivedeva.

Ti avrei dato tutto,cazzo.
Ti sarei stato accanto ogni minuto.
E invece ti ho aspettato,aspettato e aspettato.

Io non voglio più entrarci nelle tue ferite.

Quelle erano solo parole e qui c'era un pezzo di carne viva,che non era più un sentimento.
Era una condanna.

Era salva,sì.
Anche se non c'era più niente da salvare.


Non ragionarci,altrimenti non funziona.
Usa l'istinto e rispondimi:
cosa desideri,più di tutto?

Si era data della stupida per averci creduto,di poter ambire a una vita normale.

Lo amava e lo detestava.

Quando qualcuno ti abbandona ti lascia in eredità un vuoto.
Che rimane lì,fra le costole,e non c'è modo di mandarlo via.
Però avrai una vita intera per costruirci intorno delle cose belle.

Era così frustrante aspettare.

Avvertì tornare quel mostro,che non era lei,ma si era annidato dentro le sue viscere,in un posto così buio da non poterlo nominare.
Perché lri aveva studiato,sofferto,capito.
Aveva letto,pensato,amato.
Era adulta e consapevole.
Però era prigioniera del mostro.


L'unica domanda che le girava in testa era:
"Perché lei sì e io no?Perché questa incosciente troietta sì e io no,no,NO?"

I passanti rallentavano e la guardavano e lei doveva trattenersi dal gridare loro:
"Cosa avete da scandalizzarvi?Non l'avete mai vista una donna incazzata?"

Solo i legami che non si scelgono non si possono spezzare.
Tutti gli altri sono labili,precari.

"Lo sai quanto sto lavorando..."
"Certo.Solo tu lavori a questo mondo!"

Cercava lo scontro.
Lo voleva.
Perché se niente avevo senso,allora tanto valeva distruggere tutto.

Tu mi hai reso infelice.
Ogni giorno me lo hai rovinato.
Perché sai solo logorare te e chi ti sta accanto.

Aveva la certezza che,comunque,ormai era tardi per diventare qualsiasi cosa.

Il suo sogno più grande,il più innominabile,era diventare scrittore.
Era che la gente vedesse il suo romanzo in vetrina e lo comprasse.

Non poteva farci niente: né salvarla né ribaltare il destino.

"A volte mi sembri il più figo del mondo e a volte il più sfigato"
"È perché non so chi sono. Perché mi manca una metà. Perché quando sono ovunque vorrei essere qui. E quando sono qui,non riesco a starci"

Fanculo mondo,io vado vis.

La notte entrava gelida,nella stanza.
Li assediava da ogni parete.
E loro dentro,asserragliati.

Quella cosa che credeva impossibile,d'improvviso gli venne naturale.

È il modo della possibilità,il congiuntivo.
Del desiderio,del dubbio,dell'alternativa.
Se non lo usi,non riesci a immaginare.

Lo frugava,in cerca della frazione infinitesimale di lui che non era stata ancora rovinata.

Ce l'hai un motivo,uno solo per tirarti su le maniche e tornare là fuori?
Una ragione per cambiare?

Fuori era un covo di ricordi.
E lui viveva qui e adesso,come un animale in una fossa.

Sai cosa ho pensato quando l'ho scoperto?
"Non sono pronta,non ho la testa."
Ma poi mi sono detta:
"Esiste.È lamiglior occasione che mi sia capitata"

Pensò che era una delusione,dopo.
Dopo aver sognato,voluto,desiderato.
La realtà era sempre diversa.

Stava rinunciando a tutto per lei.
Non l'aveva presa in giro.

Io invece ho pensato sempre a te,mille volte.
A te e nessun altra.
E adesso ci sei.


Fottitene e vai avanti.

Perché i luoghi sono persone.
Di più: è dove rimangono per sempre le persone.

Ho una vita di merda...fammi essere felice un po',no?
Fammi sbagliare fino in fondo.

C'era solo il presente.
Che era presente e quindi vivo,come nell' "Infinito" di Leopardi.

Non era più solo smania adesso.
Era volontà di esistere,di vincere.
Era disperazione.

Lo aveva deciso:voleva essere vivo e non avere più difese,più il controllo su niente.
Affidarsi,fare cazzate,perdersi.
Insieme a lei.

Non te la vorrei raccontare questa storia.
Però,se non lo faccio,non riesco ad andare avanti.
Né con te né con me stesso.

Non si può vivere,dopo.
Dopo,è impossibile.

Guardarti mi salvava.

Quello che non era mai riuscito a scrivere,a immaginare,stava accadendo.

Vattene,io non esisto!

Mi sento come te.Ma ce la faremo.

Io dentro avevo un vuoto e cel'ho ancora.
Che mi fa dire che qualsiasi cosa faccia,qualsiasi traguardo raggiunga io sarò sempre nessuno.

Nessuna vittoria è senza resto.

Sei una fregatura.Sei una balla colossale.

Si sedette di fronte a lei e si giurò che glielo avrebbe detto.
Anche se era pesante.
E sarebbe stata l'ultima volta che provava a cambiare la vita di una persona.

Tu cosa scegliresti al posto suo?
Ti sei mai messa nei suoi panni?
Cosa sceglieresti:una vita di merda con te o uns vita favolosa con un'altra madre?
Cosa è più giusto: che si debba portare addosso il peso di non sapere chi l'ha messa al mondo?

Allora eri tu.
Ls clinica in Svizzera,la gamba,le Fivet andate male,le Beta negative...era tutto giusto.
Ne valeva la pena.

Sai che c'è?
Che sono ome sono e non come mi vogliono gli altri.

Con il terrore di deludere e la rabbia di provarci.