A volte ho la sensazione di non trovarmi qui e di essere un frammento della mia immaginazione. Ci sono giorni in cui i miei legami con la terra mi sembrano così labili che i fili che mi tengono fissata al pianeta sono sottili come una ragnatela, come zucchero filato. Una violenta folata di vento potrebbe staccarmi del tutto, sollevandomi e facendomi volare via, come un seme di tarassaco.
La vita mi sorrideva attraverso le gocce di pioggia sul vetro e scintillava fragrante al di sopra del tanfo di vestiti zuppi e piedi bagnati.
Sono sempre stata orgogliosa di cavarmela da sola nella vita. Sono l'unica sopravvissuta, sono Eleanor Oliphant. Non ho bisogno di nessun altro: non c'è una grande voragine nella mia esistenza, nel mio puzzle privato non manca alcun tassello. Sono un'entità autosufficiente.
La bellezza, dal momento in cui la possiedi, ti sfugge via, effimera. Deve essere difficile dover sempre dimostrare che c'è qualcosa in più, desiderare che la gente veda sotto la superficie, che ti ami per te stesso e non per il tuo corpo mozzafiato, per due occhi scintillanti o per una capigliatura volta e lucente.
Sono stata al centro di fin troppa attenzione in vita mia. Ignoratemi, passate oltre, non c'è nulla da vedere qui.
Di regola, non mi guardo spesso allo specchio. Questo non ha assolutamente nulla a che fare con le mie cicatrici. È per via del miscuglio genetico che risponde al mio sguardo. Ci vedo troppo del volto della mamma.
Non smettono mai di sorprendermi gli argomenti che trovano interessanti. L'unica cosa che mi viene da pensare è che abbiano vissuto vite molto protette.
Se sei il padrone di casa sei sicuramente responsabile delle libagioni dei tuoi ospiti, no? E' il principio basilare dell'ospitalità in tutte le società e in tutte le civiltà, e lo è dal tempo dei tempi.
Quando il silenzio e la solitudine gravano su di me e attorno a me, schiacciandomi, incidendo mi come ghiaccio, talvolta ho bisogno di parlare ad alta voce, se non altro per dimostrare a me stessa di essere viva.
Facebook, Twitter, Instagram: finestre aperte su un mondo di meraviglie.
Leggera, sfavillante, veloce: immaginai che ci si dovesse sentire così a essere felici.
Tutto sembra peggiore nelle ore più buie della notte.
Gli occhi sono sempre accesi, guardano sempre. Non è un pensiero consolante. In effetti, se ci pensassi abbastanza a lungo, probabilmente vorrei strapparmi gli occhi per smettere di guardare, per smettere di vedere tutto il tempo. Le cose che ho visto non possono essere "non viste" e le cose che ho fatto non possono essere disfatte.
Non sono bruciata, ho attraversato il fuoco e sono sopravvissuta. Sul mio cuore ci sono cicatrici altrettanto spesse e deturpanti di quelle che ho in viso. So che ci sono. Spero che resti un po' di tessuto integro, una chiazza attraverso la quale l'amore possa penetrare e defluire. Lo spero.
L'uomo perfetto appare quando meno te lo aspetti. Il destino lo butta sulla tua strada e poi la provvidenza fa in modo che vi mettiate insieme.
Alle elementari, la giornata dello sport era l'unico giorno in cui gli studenti con il minore talento accademico potevano trionfare. Come se una medaglia fosse una specie di compensazione per non sapere usare un apostrofo.
Ero abituata ad aspettare e la vita mi ha insegnato ad essere molto paziente.
Pur non essendo né elegante né alla moda, sono sempre pulita e così, almeno, posso tenere la testa alta quando, per quanto senza esaltazione, occupo il mio posto nel mondo.
Nella vita, quello che conta, è agire con decisione. Qualunque cosa tu voglia fare, falla. Qualunque cosa tu voglia prendere, allunga la mano e prendila. Qualunque cosa tu voglia fare finire, finiscila. E sopportane le conseguenze.
I deboli hanno paura della solitudine. Ciò che non riescono a comprendere è che una volta che ti rendi conto di non avere bisogno di nessuno, puoi prenderti cura di te stesso. Ed è meglio prendersi cura solo di se stessi. Non puoi proteggere gli altri, per quanto ci provi. Ci provi e fallisci, il tuo mondo ti crolla addosso, brucia e si riduce in cenere.
Trovo i ritardatari estremamente maleducati. Sono irrispettosi, perché sottintendono che considerano se stessi più preziosi dell'altro.
Ero felice di essere da sola. L'unica sopravvissuta: eccomi!
Parlare fa bene e aiuta a dare alle preoccupazioni la giusta prospettiva.
Rimpiangevo ancora tutti i soldi che ero stata costretta a versare negli anni per passare dei momenti orribili, in posti orribili, con gente orribile.
Gli amici li puoi scegliere, ma non puoi scegliere i parenti.
Lasciai che la mia mente vagasse. Questo è un modo molto efficace di passare il tempo: si prende una situazione o una persona e si incomincia a immaginare qualcosa di bello che potrebbe accadere. Si può fare succedere di tutto, quando si sogna ad occhi aperti.
Anche se è bello provare cose nuove e tenere la mente aperta, quello che conta è solo rimanere fedeli a ciò che si è veramente.
Sentii un calore dentro di me, una sensazione piacevole, come un the caldo in una mattina fredda.
Suppongo che una delle ragioni per cui siamo in grado di continuare a esistere nell'arco di tempo assegnatoci in questa valle verde e azzurra di lacrime è che c'è sempre la speranza di un cambiamento.
Mi sentivo come un uovo appena deposto, tutto scivoloso e viscoso all' interno, e così fragile che la minima pressione avrebbe potuto rompermi.
Il tempo non fa che smussare il dolore della perdita, ma non lo cancella.
Non ero brava a fingere, ecco qual era il punto. Spesso, il successo sociale si basa sulla finzione. A volte le persone devono ridere di cose che non trovano divertenti, devono fare cose a cui non tengono particolarmente, con gente di cui non apprezzano la compagnia. Io no. Anni prima avevo deciso che se la scelta fosse stata tra fare così o volare in solitaria, allora avrei volato in solitaria.
Il dolore è il prezzo che paghiamo per l'amore, dicono. E questo prezzo è troppo alto.
Avevo bevuto troppo perché soffrivo troppo e la mia sofferenza non poteva andare da nessuna parte, se non affogare nella vodka.
Ci deve essere qualche nesso cerebrale sopravvissuto dai nostri antenati, qualcosa che ci costringe a fissare un fuoco, a vederlo muoversi e danzare, per tenere lontani gli spiriti maligni e gli animali pericolosi. È questo che il fuoco deve fare, no? Anche se può fare altre cose.
Ero ben consapevole che le persone della mia età avevano almeno uno o due amici. Io non avevo tentato di evitarli, ma nemmeno ero andata a cercarmeli, solo che era sempre stato molto difficile conoscere gente con una mentalità affine alla mia.
Una volta che ci si abitua a stare soli, diventa normale. Come lo età diventato per me.
È bello e brutto allo stesso tempo il modo in cui gli esseri umani imparano a tollerare quasi tutto, se vi sono costretti.
Non amata, non voluta, irreparabilmente danneggiata.
Dovevo fare succedere qualcosa, qualsiasi cosa. Non potevo continuare a passare accanto alla vita, sopra, sotto, attorno. Non potevo continuare a vagare per il mondo come uno spettro.
La folla non riusciva a penetrare lo stato di solitudine che mi imprigionata e mi imprigiona.
Ero una donna adulta che si era presa una cotta adolescenziale per un uomo che non conosceva e che non avrebbe mai conosciuto. Mi ero convinta che fosse quello giusto, che mi avrebbe aiutato a diventare normale, ad aggiustare le cose sbagliate della mia vita. Qualcuno che mi avrebbe aiutato ad affrontare la mamma, a respingere la sua voce quando mi sussurrava all'orecchio che ero cattiva, che ero sbagliata, che non ero abbastanza brava. Perché l'avevo creduto? Chi era questo sconosciuto e perché avevo scelto lui, fra tutti gli uomini nel mondo, per fare di lui il mio redentore? Non conoscevo quest'uomo, non sapevo nulla su di lui. Era tutto solo una fantasia. Poteva esserci qualcosa di più patetico? Io, una donna adulta? Mi ero raccontata una favoletta triste, pensando di poter aggiustare tutto, disfare il passato. Credevo che lui e io saremmo vissuti felici e contenti e la mamma non si sarebbe più arrabbiata. Invece non c'è speranza, le cose non si potevano riparare. Io non potevo essere riparata. Al passato non si poteva sfuggire, né lo si poteva disfare. Un'illusione durata settimane, ecco la verità nuda e cruda.
Questa era la mia anima: un vuoto esistenziale dove un tempo c'era stata una persona.
A cosa servivo io? Non avevo dato nessun contributo al mondo e non ne avevo nemmeno ricavato nulla. Quando avessi smesso di esistere, non sarebbe cambiato nulla per nessuno. L'assenza della maggior parte della gente sarebbe stata avvertita da almeno una manciata di persone. Io, invece, non avevo nessuno. Non illumino una stanza quando entro. Nessuno spasima per vedermi o sentire la mia voce. Non provo la benché minima pena per me stessa. È semplicemente la constatazione di un dato di fatto.
Ci sono stati momenti in cui avevo l'impressione che sarei morta di solitudine. E non è un'iperbole. Quando mi sento così, mi si accascia la testa, mi cadono le spalle e soffro per il desiderio di un contatto umano. Mi sembra davvero che potrei crollare a terra e venire a mancare se qualcuno non mi tiene.
Se qualcuno ti chiede come stai, si aspetta che tu risponda "bene". Non devo dire che la sera prima ti sei addormentata piangendo perché erano giorni che non parlavi con un'altra persona. Devi dire "bene".
Ai giorni nostri, la solitudine è il nuovo cancro. Una cosa vergognosa e imbarazzante, così spaventosa che non si osa nominarla: gli altri non vogliono sentire pronunciare questa parola, per timore di esserne contagiati o che ciò possa indurre il destino a infliggere loro il medesimo orrore.
Mi resi conto che la mia vita era andata storta. Non era così che avrei dovuto vivere. Il problema era che semplicemente non sapevo come raddrizzarla. Nessuno mi aveva mai mostrato il modo corretto di vivere la vita e, sebbene nel corso degli anni avessi fatto del mio meglio, non sapevo proprio come migliorare le cose. Non ero in grado di risolvere l'enigma di me stessa.
Provavo un sollievo travolgente per il fatto che qualcuno si prendesse cura di me.
Com'è possibile che raccontare a qualcuno quanto stai male ti faccia stare meglio? Non è che gli altri possano aggiustare le cose...
Ci sono delle persone per cui un comportamento difficile non è una ragione per cui tagliare ogni rapporto con te. Se gli piaci, allora, pare che siano disposte a mantenere i contatti, anche se sei triste o agitata, o ti comporti in modo molto problematico. È una specie di rivelazione. Mi chiesi se era così che funzionava una famiglia: se ci sono dei genitori, o dei fratelli, che sarebbero stati presenti qualunque cosa fosse accaduta. Di regola, non sono incline all' invidia, ma devo confessare che avvertii una fitta, pensandoci. Tuttavia, l'invidia è un'emozione minore in confronto al dolore che provavo per non aver mai conosciuto questo amore incondizionato. Ma era inutile piangere sul latte versato. Raymond mi aveva in parte mostrato come doveva essere e mi ritenni fortunata di averne avuto l'opportunità.
Era bello notare i dettagli. Piccole schegge di vita che si sommavano e mi aiutavano a sentire che anche io potevo essere un frammento, un pezzetto di umanità che riempiva utilmente uno spazio, per quanto minuscolo.
Era difficile parlare di cose che stavano bene esattamente lì dove erano: nascoste e sepolte.
Non ti manca quello che non hai mai avuto.
Se finalmente entravo in contatto con la mia rabbia, allora cominciavo a compiere un lavoro importante, districando e affrontando cose che avevo seppellito troppo in profondità.
L'oscenità è il segno distintivo di un vocabolario tristemente limitato.
Sembrava che avesse una vita, non soltanto un'esistenza. Sembrava felice. Era possibile, quindi.
Mi resi conto di essere felice. Era una sensazione strana e insolita. Mi sentivo leggera e calma, come se avessi mangiato i raggi del sole.
Nella mia ansia di cambiare e di legarmi a qualcuno mi ero concentrata sulla cosa sbagliata e sulla persona sbagliata.
Sapere è sempre meglio di non sapere? Discutiamone.
"Che cosa faccio?", dissi, improvvisamente bramosa di andare avanti, di stare meglio, di vivere. "Come faccio a riparare a tutto questo? Come faccio a riparare me stessa?".
Quando fatichi a gestire le tue emozioni, diventa intollerabile essere testimone di quelle degli altri e cercare di gestire anche le loro.
Era un segno di pazzia anche il solo pensare di essere pazza?
La voce nella mia testa era in realtà molto ragionevole, iniziavo a rendermene conto. Era la voce della mamma a giudicare e a incoraggiarmi a fare lo stesso. La mia voce e i miei pensieri cominciavano a piacermi davvero. Ne volevo di più. Mi facevano sentire bene, calma, persino. Mi facevano sentire me stessa.
Posso dire con certezza che il mio nome non apparirà mai su un cartellone e neppure lo vorrei. Sono più felice sullo sfondo a farmi i fatti miei.
Mi sono resa conto che mia mamma è soltanto cattiva. È lei quella cattiva. Non sono io cattiva e non è colpa mia. Non l', ho,fatta diventare cattiva io e non sono cattiva perché non voglio avere niente a che fare con lei, perché mi sento triste e arrabbiata...anzi, furiosa...per quello che ha fatto.
Tu eri la bambina e lei l'adulta. Era responsabilità sua badare a te. Invece ci sono stati negligenza, violenza e abuso emotivo, con conseguenze terribili. Ma niente di tutto questo è colpa tua. Non so se devi perdonare tua madre, ma di una cosa sono certa: devi perdonare te stessa.
Sente il calore delicato di qualcosa che si apriva, nello stesso modo in cui o fiori si schiudono la mattina alla vista del sole. Sapevo che cosa stava accadendo. Era la parte priva di cicatrici del mio cuore. Era abbastanza estesa da lasciare entrare un po' di affetto. C'era ancora un minuscolo spazio libero.
"Sì, certo, se un po' pazza ma in senso buono. Mi fai ridere. Non te ne frega un cazzo di certe scemenze. Non so, essere fica, la politica dell'ufficio o quelle cacate che dovrebbero importare alla gente. Ti fai le tue cose e stop".
Il passato si nascondeva da me, o io da lui, eppure era ancora lì, immobile, in agguato nell'oscurità. Era ora di fare entrare un po' di luce.
La voce cambia quando si sorride e, in qualche modo, ne altera il suono.
Sprofondai nell'abbraccio. Lui non disse nulla, intuendo forse che ciò di cui avevo più bisogno in quel momento era ciò che mi stava già dando, niente di più.
"Addio, mamma". La mia voce era ferma, misurata, determinata. Non ero triste. Ero sicura. E, sotto tutto ciò, come un embrione che si stava formando, minuscolo, tanto minuscolo, a malapena un grappolo di cellule, il battito cardiaco piccolo come la capocchia di uno spillo, c'ero io.
A volte basta una persona gentile seduta al tuo fianco, mentre affronti le cose.
Alla fine, quel che importa è questo: sono sopravvissuta.