domenica 8 giugno 2025

"Eleanor Oliphant sta benissimo" Gail Honeyman (2017)


 LA TRAMA: 
Mi chiamo Eleanor Oliphant e sto bene, anzi: benissimo. Non bado agli altri. So che spesso mi fissano, sussurrano, girano la testa quando passo. Forse è perché io dico sempre quello che penso. Ma io sorrido, perché sto bene così. Ho quasi trent'anni e da nove lavoro nello stesso ufficio. In pausa pranzo faccio le parole crociate, la mia passione. Poi torno alla mia scrivania e mi prendo cura di Polly, la mia piantina: lei ha bisogno di me, e io non ho bisogno di nient'altro. Perché da sola sto bene. Solo il mercoledì mi inquieta, perché è il giorno in cui arriva la telefonata dalla prigione. Da mia madre. Dopo, quando chiudo la chiamata, mi accorgo di sfiorare la cicatrice che ho sul volto e ogni cosa mi sembra diversa. Ma non dura molto, perché io non lo permetto. E se me lo chiedete, infatti, io sto bene. Anzi, benissimo. O così credevo, fino a oggi. Perché oggi è successa una cosa nuova. Qualcuno mi ha rivolto un gesto gentile. Il primo della mia vita. E questo ha cambiato ogni cosa. D'improvviso, ho scoperto che il mondo segue delle regole che non conosco. Che gli altri non hanno le mie stesse paure, e non cercano a ogni istante di dimenticare il passato. Forse il «tutto» che credevo di avere è precisamente tutto ciò che mi manca. E forse è ora di imparare davvero a stare bene.

IL MIO GIUDIZIO:
Ho scoperto questo romanzo, opera prima dell'autrice, grazie a un gruppo facebook di letture a cui sono iscritta: i commenti erano entusiastici e sono rimasta colpita dalla trama, in cui mi sono riconosciuta, la storia di una giovane donna estremamente riservata e solitaria, vittima di un passato familiare non proprio edificante. 

Siamo nel 2017; Eleaonor Oliphant, Eleonora Elefante in italiano, è una ragazza di 30 anni che vive a Glasgow e lavora come impiegata. Conduce la sua esistenza soltanto in compagnia di se stessa, bastandosi e facendo affidamento unicamente su di sé: in ufficio non ha legato con i suoi colleghi, che la considerano "strana", tanto che trascorrere le pause pranzo appartata per i fatti suoi e, nel tempo libero, sta a casa a leggere, ad ascoltare la radio, a guardare la TV, a fare i cruciverba e a bere grappa, palliativo che la aiuta a tenere a bada i fantasmi del passato.

Eleaonor è una sopravvissuta, la sua infanzia, infatti, è stata estremamente dolorosa: nata da uno stupro, non ha mai conosciuto suo padre ed è cresciuta in mezzo ad abusi fisici ed emotivi, nelle grinfie di una madre psicopatica, narcisista, manipolatrice, tossica e maligna. Dopo essere scampata, all'età di 10 anni, ad un incendio di natura dolosa che le ha minato l'anima ed il fisico (ha le mani ustionate e una cicatrice che le deturpa il volto), è stata affidata a varie famiglie che le hanno dato un sostentamento materiale ma non affettivo e, quel calore umano mai ricevuto, lei lo ricerca nell'abuso di alcool. 

Un'altra cosa che salta all'occhio riguardo Eleaonor, anche se nel testo non se ne fa menzione, è che, molto probabilmente, sia nello spettro autistico: è esasperatamente maniacale, piena di idiosincrasie, non sopporta la confusione ed i rumori troppo forti, non ha filtri e non riesce a non dire altro se non la verità, anche quando significa uscirsene con frasi imbarazzanti e fuori luogo, ignora le convenzioni sociali, non è capace di interpretare il linguaggio non verbale dei suoi interlocutori, non comprende i sottintesi delle conversazioni, e si fissa sulle cose. 

Una delle sue "fissazioni" è Johnnie, un cantante di una band della città. Eleaonor, pur non conoscendolo se non attraverso i social, lo idealizza al punto tale da vedere in lui l'uomo della sua vita, colui che la salverà dal suo passato, che farà di lei una donna nuova e felice. Immagina con lui un futuro di amore e una vita sociale ricca e piena, quella che non ha mai avuto, ma il suo castello di carte e illusioni è destinato miseramente a crollare, perché la realtà dei fatti è ben diversa dalla fantasia. 

Per fortuna, però, c'è Raymond, il nuovo tecnico dei computer della ditta in cui Eleaonor lavora, che accorre un giorno in suo soccorso per sistemarle il PC e, piano piano, per varie vicissitudini che scoprirete leggendo il libro, entra a fare parte della sua routine quotidiana. Raymond è un ragazzo semplice, un po' goffo e trasandato, ben diverso dal cantante di cui si è invaghita, ma è sensibile e buono e, con delicatezza e spontaneità, saprà fare breccia nel cuore della protagonista,dimostrandole che chi tiene veramente a te non ti abbandona né si lascia intimorire dai tuoi comportamenti bizzarri. Raymond saprà farle comprendere che con un supporto psicologico e guardando il mondo da un'altra prospettiva, aprendosi a nuovi orizzonti, tutto può cambiare, in quanto il mondo è pieno di infinite possibilità, i fantasmi del passato si possono affrontare, si può "risolvere l'enigma di se stessi" e magari, perché no, si può anche arrivare ad essere felici. Il finale aperto lascia infatti spazio a qualsiasi interpretazione e speranza.

"Eleonor Oliphant sta benissimo" è un'opera coinvolgente e delicata allo stesso tempo, ricca di suspance che tiene viva l'attenzione e con un colpo di scena finale che mi ha ricordato molto "La verità sul caso Harry Quebert" di Joel Dicker . 

Inoltre, a differenza dei suoi colleghi, che ne vedono solo la "facciata", il lettore ha una visione completa della protagonista, un mix fra Amelie Poulain e Bridget Jones, ne conosce l'excursus, i pensieri e le fragilità, cosicché è portato a provare tenerezza e simpatia nei suoi confronti, per la sua stravaganza, per le sue manie e quel suo eterno ottimismo nonostante tutte le difficoltà che ha dovuto superare.

La storia si può configurare come una sorta di "romanzo di formazione" in cui la protagonista, passo dopo passo, giorno dopo giorno, prende coscienza di sé e del suo potenziale, chiudendo i conti col passato.  Illuminante è il momento in cui la psicologa dice ad Eleonor che "non sa se debba perdonare sua madre per ciò che le ha fatto ma, senza dubbio, deve perdonare se stessa".



IL MIO VOTO:
Un romanzo solo a prima vista "leggero" ma che, in realtà, affronta tematiche assai delicate e importanti.  Eleaonor Oliphant sta benissimo e anche noi staremo altrettanto, dopo averlo letto. Consigliato!


LA SCRITTRICE: 



Frasi dal libro "Eleanor Oliphant sta benissimo" di Gail Honeyman

 A volte ho la sensazione di non trovarmi qui e di essere un frammento della mia immaginazione. Ci sono giorni in cui i miei legami con la terra mi sembrano così labili che i fili che mi tengono fissata al pianeta sono sottili come una ragnatela, come zucchero filato. Una violenta folata di vento potrebbe staccarmi del tutto, sollevandomi e facendomi volare via, come un seme di tarassaco.

La vita mi sorrideva attraverso le gocce di pioggia sul vetro e scintillava fragrante al di sopra del tanfo di vestiti zuppi e piedi bagnati. 

Sono sempre stata orgogliosa di cavarmela da sola nella vita. Sono l'unica sopravvissuta, sono Eleanor Oliphant. Non ho bisogno di nessun altro: non c'è una grande voragine nella mia esistenza, nel mio puzzle privato non manca alcun tassello. Sono un'entità autosufficiente.

La bellezza, dal momento in cui la possiedi, ti sfugge via, effimera. Deve essere difficile dover sempre dimostrare che c'è qualcosa in più, desiderare che la gente veda sotto la superficie, che ti ami per te stesso e non per il tuo corpo mozzafiato, per due occhi scintillanti o per una capigliatura volta e lucente.

Sono stata al centro di fin troppa attenzione in vita mia. Ignoratemi, passate oltre, non c'è nulla da vedere qui.

Di regola, non mi guardo spesso allo specchio. Questo non ha assolutamente nulla a che fare con le mie cicatrici. È per via del miscuglio genetico che risponde al mio sguardo. Ci vedo troppo del volto della mamma.

Non smettono mai di sorprendermi gli argomenti che trovano interessanti. L'unica cosa che mi viene da pensare è che abbiano vissuto vite molto protette.

Se sei il padrone di casa sei sicuramente responsabile delle libagioni dei tuoi ospiti, no? E' il principio basilare dell'ospitalità in tutte le società e in tutte le civiltà, e lo è dal tempo dei tempi.

Quando il silenzio e la solitudine gravano su di me e attorno a me, schiacciandomi, incidendo mi come ghiaccio, talvolta ho bisogno di parlare ad alta voce, se non altro per dimostrare a me stessa di essere viva.

Facebook, Twitter, Instagram: finestre aperte su un mondo di meraviglie.

Leggera, sfavillante, veloce: immaginai che ci si dovesse sentire così a essere felici.

Tutto sembra peggiore nelle ore più buie della notte.

Gli occhi sono sempre accesi, guardano sempre. Non è un pensiero consolante. In effetti, se ci pensassi abbastanza a lungo, probabilmente vorrei strapparmi gli occhi per smettere di guardare, per smettere di vedere tutto il tempo. Le cose che ho visto non possono essere "non viste" e le cose che ho fatto non possono essere disfatte.

Non sono bruciata, ho attraversato il fuoco e sono sopravvissuta. Sul mio cuore ci sono cicatrici altrettanto spesse e deturpanti di quelle che ho in viso. So che ci sono. Spero che resti un po' di tessuto integro, una chiazza attraverso la quale l'amore possa penetrare e defluire. Lo spero.

L'uomo perfetto appare quando meno te lo aspetti. Il destino lo butta sulla tua strada e poi la provvidenza fa in modo che vi mettiate insieme.

Alle elementari, la giornata dello sport era l'unico giorno in cui gli studenti con il minore talento accademico potevano trionfare. Come se una medaglia fosse una specie di compensazione per non sapere usare un apostrofo.

Ero abituata ad aspettare e la vita mi ha insegnato ad essere molto paziente.

Pur non essendo né elegante né alla moda, sono sempre pulita e così, almeno, posso tenere la testa alta quando, per quanto senza esaltazione, occupo il mio posto nel mondo.

Nella vita, quello che conta, è agire con decisione. Qualunque cosa tu voglia fare, falla. Qualunque cosa tu voglia prendere, allunga la mano e prendila. Qualunque cosa tu voglia fare finire, finiscila. E sopportane le conseguenze.

I deboli hanno paura della solitudine. Ciò che non riescono a comprendere è che una volta che ti rendi conto di non avere bisogno di nessuno, puoi prenderti cura di te stesso. Ed è meglio prendersi cura solo di se stessi. Non puoi proteggere gli altri, per quanto ci provi. Ci provi e fallisci, il tuo mondo ti crolla addosso, brucia e si riduce in cenere.

Trovo i ritardatari estremamente maleducati. Sono irrispettosi, perché sottintendono che considerano se stessi più preziosi dell'altro.

Ero felice di essere da sola. L'unica sopravvissuta: eccomi!

Parlare fa bene e aiuta a dare alle preoccupazioni la giusta prospettiva.

Rimpiangevo ancora tutti i soldi che ero stata costretta a versare negli anni per passare dei momenti orribili, in posti orribili, con gente orribile.

Gli amici li puoi scegliere, ma non puoi scegliere i parenti.

Lasciai che la mia mente vagasse. Questo è un modo molto efficace di passare il tempo: si prende una situazione o una persona e si incomincia a immaginare qualcosa di bello che potrebbe accadere. Si può fare succedere di tutto, quando si sogna ad occhi aperti.

Anche se è bello provare cose nuove e tenere la mente aperta, quello che conta è solo rimanere fedeli a ciò che si è veramente.

Sentii un calore dentro di me, una sensazione piacevole, come un the caldo in una mattina fredda.

Suppongo che una delle ragioni per cui siamo in grado di continuare a esistere nell'arco di tempo assegnatoci in questa valle verde e azzurra di lacrime è che c'è sempre la speranza di un cambiamento.

Mi sentivo come un uovo appena deposto, tutto scivoloso e viscoso all' interno, e così fragile che la minima pressione avrebbe potuto rompermi.

Il tempo non fa che smussare il dolore della perdita, ma non lo cancella.

Non ero brava a fingere, ecco qual era il punto. Spesso, il successo sociale si basa sulla finzione. A volte le persone devono ridere di cose che non trovano divertenti, devono fare cose a cui non tengono particolarmente, con gente di cui non apprezzano la compagnia. Io no. Anni prima avevo deciso che se la scelta fosse stata tra fare così o volare in solitaria, allora avrei volato in solitaria.

Il dolore è il prezzo che paghiamo per l'amore, dicono. E questo prezzo è troppo alto.

Avevo bevuto troppo perché soffrivo troppo e la mia sofferenza non poteva andare da nessuna parte, se non affogare nella vodka.

Ci deve essere qualche nesso cerebrale sopravvissuto dai nostri antenati, qualcosa che ci costringe a fissare un fuoco, a vederlo muoversi e danzare, per tenere lontani gli spiriti maligni e gli animali pericolosi. È questo che il fuoco deve fare, no? Anche se può fare altre cose.

Ero ben consapevole che le persone della mia età avevano almeno uno o due amici. Io non avevo tentato di evitarli, ma nemmeno ero andata a cercarmeli, solo che era sempre stato molto difficile conoscere gente con una mentalità affine alla mia.

Una volta che ci si abitua a stare soli, diventa normale. Come lo età diventato per me.

È bello e brutto allo stesso tempo il modo in cui gli esseri umani imparano a tollerare quasi tutto, se vi sono costretti.

Non amata, non voluta, irreparabilmente danneggiata.

Dovevo fare succedere qualcosa, qualsiasi cosa. Non potevo continuare a passare accanto alla vita, sopra, sotto, attorno. Non potevo continuare a vagare per il mondo come uno spettro.

La folla non riusciva a penetrare lo stato di solitudine che mi imprigionata e mi imprigiona.

Ero una donna adulta che si era presa una cotta adolescenziale per un uomo che non conosceva e che non avrebbe mai conosciuto. Mi ero convinta che fosse quello giusto, che mi avrebbe aiutato a diventare normale, ad aggiustare le cose sbagliate della mia vita. Qualcuno che mi avrebbe aiutato ad affrontare la mamma, a respingere la sua voce quando mi sussurrava all'orecchio che ero cattiva, che ero sbagliata, che non ero abbastanza brava. Perché l'avevo creduto? Chi era questo sconosciuto e perché avevo scelto lui, fra tutti gli uomini nel mondo, per fare di lui il mio redentore? Non conoscevo quest'uomo, non sapevo nulla su di lui. Era tutto solo una fantasia. Poteva esserci qualcosa di più patetico? Io, una donna adulta? Mi ero raccontata una favoletta triste, pensando di poter aggiustare tutto, disfare il passato. Credevo che lui e io saremmo vissuti felici e contenti e la mamma non si sarebbe più arrabbiata. Invece non c'è speranza, le cose non si potevano riparare. Io non potevo essere riparata. Al passato non si poteva sfuggire, né lo si poteva disfare. Un'illusione durata settimane, ecco la verità nuda e cruda.

Questa era la mia anima: un vuoto esistenziale dove un tempo c'era stata una persona.

A cosa servivo io? Non avevo dato nessun contributo al mondo e non ne avevo nemmeno ricavato nulla. Quando avessi smesso di esistere, non sarebbe cambiato nulla per nessuno. L'assenza della maggior parte della gente sarebbe stata avvertita da almeno una manciata di persone. Io, invece, non avevo nessuno. Non illumino una stanza quando entro. Nessuno spasima per vedermi o sentire la mia voce. Non provo la benché minima pena per me stessa. È semplicemente la constatazione di un dato di fatto.

Ci sono stati momenti in cui avevo l'impressione che sarei morta di solitudine. E non è un'iperbole. Quando mi sento così, mi si accascia la testa, mi cadono le spalle e soffro per il desiderio di un contatto umano. Mi sembra davvero che potrei crollare a terra e venire a mancare se qualcuno non mi tiene.

Se qualcuno ti chiede come stai, si aspetta che tu risponda "bene". Non devo dire che la sera prima ti sei addormentata piangendo perché erano giorni che non parlavi con un'altra persona. Devi dire "bene".

Ai giorni nostri, la solitudine è il nuovo cancro. Una cosa vergognosa e imbarazzante, così spaventosa che non si osa nominarla: gli altri non vogliono sentire pronunciare questa parola, per timore di esserne contagiati o che ciò possa indurre il destino a infliggere loro il medesimo orrore.

Mi resi conto che la mia vita era andata storta. Non era così che avrei dovuto vivere. Il problema era che semplicemente non sapevo come raddrizzarla. Nessuno mi aveva mai mostrato il modo corretto di vivere la vita e, sebbene nel corso degli anni avessi fatto del mio meglio, non sapevo proprio come migliorare le cose. Non ero in grado di risolvere l'enigma di me stessa.

Provavo un sollievo travolgente per il fatto che qualcuno si prendesse cura di me.

Com'è possibile che raccontare a qualcuno quanto stai male ti faccia stare meglio? Non è che gli altri possano aggiustare le cose...

Ci sono delle persone per cui un comportamento difficile non è una ragione per cui tagliare ogni rapporto con te. Se gli piaci, allora, pare che siano disposte a mantenere i contatti, anche se sei triste o agitata, o ti comporti in modo molto problematico. È una specie di rivelazione. Mi chiesi se era così che funzionava una famiglia: se ci sono dei genitori, o dei fratelli, che sarebbero stati presenti qualunque cosa fosse accaduta. Di regola, non sono incline all' invidia, ma devo confessare che avvertii una fitta, pensandoci. Tuttavia, l'invidia è un'emozione minore in confronto al dolore che provavo per non aver mai conosciuto questo amore incondizionato. Ma era inutile piangere sul latte versato. Raymond mi aveva in parte mostrato come doveva essere e mi ritenni fortunata di averne avuto l'opportunità.

Era bello notare i dettagli. Piccole schegge di vita che si sommavano e mi aiutavano a sentire che anche io potevo essere un frammento, un pezzetto di umanità che riempiva utilmente uno spazio, per quanto minuscolo.

Era difficile parlare di cose che stavano bene esattamente lì dove erano: nascoste e sepolte.

Non ti manca quello che non hai mai avuto.

Se finalmente entravo in contatto con la mia rabbia, allora cominciavo a compiere un lavoro importante, districando e affrontando cose che avevo seppellito troppo in profondità.

L'oscenità è il segno distintivo di un vocabolario tristemente limitato.

Sembrava che avesse una vita, non soltanto un'esistenza. Sembrava felice. Era possibile, quindi.

Mi resi conto di essere felice. Era una sensazione strana e insolita. Mi sentivo leggera e calma, come se avessi mangiato i raggi del sole.

Nella mia ansia di cambiare e di legarmi a qualcuno mi ero concentrata sulla cosa sbagliata e sulla persona sbagliata.

Sapere è sempre meglio di non sapere? Discutiamone.

"Che cosa faccio?", dissi, improvvisamente bramosa di andare avanti, di stare meglio, di vivere. "Come faccio a riparare a tutto questo? Come faccio a riparare me stessa?".

Quando fatichi a gestire le tue emozioni, diventa intollerabile essere testimone di quelle degli altri e cercare di gestire anche le loro.

Era un segno di pazzia anche il solo pensare di essere pazza?

La voce nella mia testa era in realtà molto ragionevole, iniziavo a rendermene conto. Era la voce della mamma a giudicare e a incoraggiarmi a fare lo stesso. La mia voce e i miei pensieri cominciavano a piacermi davvero. Ne volevo di più. Mi facevano sentire bene, calma, persino. Mi facevano sentire me stessa.

Posso dire con certezza che il mio nome non apparirà mai su un cartellone e neppure lo vorrei. Sono più felice sullo sfondo a farmi i fatti miei.

Mi sono resa conto che mia mamma è soltanto cattiva. È lei quella cattiva. Non sono io cattiva e non è colpa mia. Non l', ho,fatta diventare cattiva io e non sono cattiva perché non voglio avere niente a che fare con lei, perché mi sento triste e arrabbiata...anzi, furiosa...per quello che ha fatto.


Tu eri la bambina e lei l'adulta. Era responsabilità sua badare a te. Invece ci sono stati negligenza, violenza e abuso emotivo, con conseguenze terribili. Ma niente di tutto questo è colpa tua. Non so se devi perdonare tua madre, ma di una cosa sono certa: devi perdonare te stessa.


Sente il calore delicato di qualcosa che si apriva, nello stesso modo in cui o fiori si schiudono la mattina alla vista del sole. Sapevo che cosa stava accadendo. Era la parte priva di cicatrici del mio cuore. Era abbastanza estesa da lasciare entrare un po' di affetto. C'era ancora un minuscolo spazio libero.

"Sì, certo, se un po' pazza ma in senso buono. Mi fai ridere. Non te ne frega un cazzo di certe scemenze. Non so, essere fica, la politica dell'ufficio o quelle cacate che dovrebbero importare alla gente. Ti fai le tue cose e stop".

Il passato si nascondeva da me, o io da lui, eppure era ancora lì, immobile, in agguato nell'oscurità. Era ora di fare entrare un po' di luce.

La voce cambia quando si sorride e, in qualche modo, ne altera il suono.

Sprofondai nell'abbraccio. Lui non disse nulla, intuendo forse che ciò di cui avevo più bisogno in quel momento era ciò che mi stava già dando, niente di più.


"Addio, mamma". La mia voce era ferma, misurata, determinata. Non ero triste. Ero sicura. E, sotto tutto ciò, come un embrione che si stava formando, minuscolo, tanto minuscolo, a malapena un grappolo di cellule, il battito cardiaco piccolo come la capocchia di uno spillo, c'ero io.

A volte basta una persona gentile seduta al tuo fianco, mentre affronti le cose.

Alla fine, quel che importa è questo: sono sopravvissuta.








sabato 22 marzo 2025

"La simmetria dei desideri" Eshkol Nevo (2010)


 LA TRAMA:
Quattro amici guardano in televisione la finale dei Mondiali di calcio del 1998. Non hanno ancora trent’anni e hanno condiviso gli studi e l’esercito, le speranze e le disillusioni, gli amori e le avventure della giovinezza.
Amichai vende polizze mediche ai malati di cuore, è sposato con Liana la piagnona, ha due gemelli e riversa tutta la sua vitalità sugli amici. Ofir invece spreca talmente la sua inventiva per le agenzie pubblicitarie con cui lavora che, quando la compagnia si riunisce, tace e parla poco. Churchill è un avvocato brillante e di successo, capace di sedurre chiunque gli capiti a tiro. Yuval, il narratore, ha un’educazione umanistica ed è affascinato dalle parole. Durante la partita, Amichai ha un’idea: perché non scrivere i propri desideri, i propri sogni per il futuro su dei foglietti e poi nasconderli aspettando la prossima finale dei Mondiali per vedere se si sono realizzati?
Yuval ha da poco incontrato Yaara. L’ha vista alla mensa dell’università. Leggeva un libro e ogni volta che voltava pagina si toccava leggermente la lingua con un dito. Un gesto da bibliotecaria, ma irresistibilmente sexy. E poi uno scambio di chiacchiere, di numeri di telefono, una chiamata notturna e un bacio. Nel bigliettino Yuval scrive: “Ai prossimi Mondiali voglio stare ancora con Yaara. Ai prossimi Mondiali voglio essere sposato con Yaara. Ai prossimi Mondiali voglio avere un figlio con Yaara, magari una femmina”.
Qualche settimana dopo Yaara lo lascia, lo tradisce con Churchill, l’amico carismatico.
Ma la compagnia non si scioglierà, l’amicizia di Amichai, Ofir, Churchill e Yuval non finirà.
Sullo sfondo, Israele è alle prese con la seconda intifada, dopo aver rimosso la prima e aver fatto della repressione una norma. I quattro protagonisti non possono fare a meno di interrogarsi sul proprio futuro. In una società così tesa ed esausta, in una realtà simile, è davvero possibile realizzare i propri desideri?


IL MIO GIUDIZIO:
Ho scoperto questo libro per caso: tempo fa, vidi in televisione un film diretto da Nanni Moretti, interpretato da un bel caleidoscopio di attori italiani, intitolato "Tre piani", tratto dall'omonima opera di Eshkol Nevo. Andai così a cercare questo autore, di origine israeliana, e fui colpita da quest'altro romanzo sempre da lui scritto:"La simmetria dei desideri". 

Un gruppo di 4 amici, non ancora trentenni e molto affiatati fra di loro, durante la finale del campionato mondiale di calcio del 1998, decide di fare un gioco: scriveranno su un bigliettino dei desideri che vorrebbero vedere realizzati ai prossimi mondiali, quelli del 2002 e, soltanto in quella data, sveleranno agli altri cosa avevano scritto e se i desideri si sono realizzati. Uno di loro, Yuval, scrive che vorrebbe essere ancora insieme a Yaara, una ragazza che frequenta da poco e di cui è perdutamente innamorato, che vorrebbe averla sposata ed avere un figlio con lei. Poche settimane dopo, però, Yaara lo lascia per mettersi proprio con un altro ragazzo della compagnia, lo scaltro e affascinante Alimi, detto Churchill. 

Non sarà però una donna, a differenza dei Beatles, a porre fine all'amicizia dei ragazzi e il loro rapporto proseguirà, nonostante la delusione e il grave torto perpetrato da Churchill ai danni di Yuval, trovandoli uniti ad affrontare gli eventi non sempre gioiosi che la vita pone davanti; perché tutti e quattro sentono di appartenere a qualcosa solo quando sono insieme. E, siccome, "gli amici sono un'oasi nel deserto che ti fa dimenticare il deserto", tutto il resto sparisce di fronte alla loro amicizia, persino la seconda intifada a cui, nel romanzo, si fanno sporadicamente solo brevi, rari, accenni.

La storia, sottoforma di opera letteraria, è scritta e raccontata proprio da Yuval ma, essendo  impossibilitato a farlo (da come ne parlano, si ha l'impressione che sia morto), sarà proprio il suo "amico/rivale" Churchill a revisionarla, nonostante sia ben consapevole che, per ovvie ragioni, Yuval non ha sempre parlato bene di lui.

Oltre a Churchill, spregiudicato procuratore legale, e Yuval, ragazzo pessimista, malinconico e senza grosse ambizioni, ci sono Ofir, pubblicitario che, dopo l'incontro con Maria, si dedica alle pratiche olistiche ed Amichai, che vende polizze mediche, è sposato con Liana "la piagnona" ed è padre di due gemelli.

L'opera, inizialmente corale, si focalizza in seconda battuta proprio sulla figura di Yuval, il narratore,  come dicevo prima ragazzo molto fragile e insicuro, a partire dalla sua bassa statura che gli crea non pochi complessi, con una tendenza alla drammatizzazione e a somatizzare gli eventi, tanto è vero che soffre di asma psicosomatica, e che non ha veri scopi da realizzare. Il punto focale della sua vita è Yaara ma, dal momento in cui realizza di averla persa definitivamente e che, mentre i suoi amici hanno trovato il loro posto nel mondo, si stanno realizzando e  mettendo su famiglia, lui è irrimediabilmente solo, cade in uno stato di prostrazione profonda, in un imbuto cosmico da cui non riesce a riemergere, portandolo a meditare l'idea del suicidio. Non escludo che, anche lo stesso Nevo, abbia sofferto del male dell'anima perché descrive perfettamente lo stato di abbattimento ed il senso di inutilità in cui ti fa piombare la depressione, la stanchezza perenne e la fatica a svolgere anche le seppur basilari attività.

Nonostante sia a tratti un po' lento e non sempre sia facile immergersi in una realtà così diversa dalla nostra come quella israeliana, ho trovato questo libro intenso e delicato. Gli scrittori israeliani, c'è da riconoscerlo (e mi riferisco anche a David Grossman, di cui ho letto diverse opere), forse per il particolare contesto in cui si trovano a vivere, hanno un'introspezione e una sensibilità assai marcata, che non è alla portata di tutti; solamente chi ha un'indole profonda può apprezzarli come merita, altrimenti il rischio che questo romanzo venga abbandonato dopo poche pagine è alto.

Io, personalmente, ne sono rimasta entusiasta: mi è piaciuta la storia, mi sono affezionata ai protagonisti e, nonostante Yuval sia la persona a cui mi senta più affine, ho ritrovato qualcosa di mio anche in tutti gli altri personaggi. 

Mi sono piaciuti i riferimenti e gli agganci alla filosofia e, soprattutto, mi è piaciuta l'importanza che viene data alla scrittura. Le parole, vergate nero su bianco, infatti, hanno la capacità di cristallizzare gli eventi ma anche quella di rendere lo scrittore sceneggiatore e regista della propria realtà: Churchill, nelle sue note a margine, ci tiene a specificare come, molti dei dialoghi presenti nel libro, non siano mai avvenuti perché, di fatto, Yuval era un ragazzo estremamente silenzioso e taciturno e come, se ognuno di loro avesse potuto scrivere un suo libro sugli stessi eventi, sarebbero uscite 4 opere differenti, perché ognuno avrebbe raccontato gli episodi in base alla propria percezione.

L'unico appunto che mi sento di fare è a livello stilistico, ma non è colpa di  Nevo, bensì di chi si è occupato della traduzione, in quanto ci sono purtroppo molti errori ortografici e refusi, i nomi dei personaggi vengono confusi più volte, i dialoghi non sono virgolettati e, avendolo letto in formato Kindle, le note a margine sono poste in mezzo al capitolo, rendendo la lettura complicata.


*** SPOILER ALERT ***
Perché si intitola "La simmetria dei desideri"?
Perché nessuno riesce a realizzare il desiderio che ha scritto sui bigliettini ma, per ironia della sorte, ognuno realizzerà il desiderio di un amico:
- Yuval voleva sposare Yaara e avere una figlia con lei. Sarà Churchill a sposare Yaara e ad avere una figlia con lei
- Churchill voleva essere parte attiva in un importante cambiamento sociale. Sarà Amichai a dare vita alla significativa associazione in memoria di Liana.
- Amichai voleva aprire una scuola di massaggi shiatsu. Sarà Ofir a dedicarsi alle pratiche olistiche.
- Ofir voleva scrivere un libro sulle vicende dei suoi amici. Sarà Yuval a farlo.



IL MIO VOTO:
Opera intensa e originale, a tratti lenta ma coinvolgente. Soprattutto molto delicata e introspettiva, come gli autori israeliani sanno essere. A me è piaciuta tantissimo ma credo possa essere compresa e apprezzata solo da chi ha un animo sensibile e profondo.


LO SCRITTORE:




Frasi dal libro "La simmetria dei desideri" di Eshkol Nevo

Sapete qual è la vera fortuna? Esserci l'uno per l'altro.

Definire accuratamente l'obiettivo significa già essere a metà strada per raggiungerlo.

Io non voglio niente. Sono privo di sprone. Sono un cavallo che resta nel box, che preferisce osservare gli altri cavalli che competono, piuttosto che partire al galoppo.

Qualcosa fondamentalmente è sballato in ognuno di noi, no? Per il semplice fatto che siamo esseri umani.

Solo immersi nella natura è possibile cogliere il vero ritmo del mondo e assumerlo in sé.

La massima chiarezza interiore si raggiunge dedicandosi totalmente al prossimo.

Ci poniamo delle mete e ne diventiamo schiavi. Siamo talmente impegnati a realizzarle che non ci rendiamo conto che nel frattempo sono cambiate.

Quando ti succedono casi come questo, capisci che è meglio accettare quello che la vita ti porta, inserirsi nel suo flusso naturale, invece di importi alla realtà. Perché, comunque...tutto è possibile.

Se pensa che il cambiamento la renderà felice, vale la pena di farlo, perché le cose che ci rendono felici non sempre hanno una spiegazione e non devono per forza essere ragionevoli.

Bisogna ricordare, ricordare sempre, che alla fine la primavera arriva.

"Ci vuole molto coraggio per fare quello che hai fatto tu", le ho detto.
"Alla fine non è più coraggio, è mancanza di scelta", ha detto lei.
Forse nella vita va così: bisogna soffrire, arrivare fino in fondo, per trovare la forza di cambiare.

Questa è proprio la definizione dell'amicizia: un'oasi che ci permette di dimenticare il deserto...o una zattera le cui assi di tengono unire.

È più facile fantasticare sugli amori del passato che non cercare di amare veramente.

Il buio era pericoloso per lei: aveva paura che il buio le strisciasse dentro, riempiendola tutta.

Nel settore pubblico funziona così: il malato è un impiccio e gli accompagnatori che lo seguono sono un ostacolo.

Un medico studia per 12 anni per ricevere l'abilitazione, e per tutto quel tempo non riceve alcuna preparazione sull'atteggiamento da tenere con i pazienti. Perciò ci sono quelli che hanno una capacità istintiva di trattarli umanamente e altri che non lo sanno fare. Di conseguenza, invece che essere un principio basilare, diventa una roulette...che dottore ti capiterà stavolta e se questa notte ha dormito abbastanza.

Bisogna considerare l'uomo olisticamente, non come un insieme di sintomi.

Nimrod se la cava. Piange. Dice che ha nostalgia della madre. Come deve essere. Chi mi preoccupa è Noam. Lui è troppo tranquillo, si tiene tutto dentro. È very bad per un bambino. Ma è very bad anche per un adulto.

L'animo umano è infinitamente solo nel dolore. L'unico modo per penetrare questa solitudine privata e toccarla è un amore incondizionato.

Sei arrivato al momento giusto. Sei arrivato un attimo prima della disperazione. E per fortuna che sei arrivato tu, fra tutti. Perché nessuno è capace più di te di ricordarmi che al mondo esiste il bene.

"Hai voglia di parlare?"
"Vorrei...ma fa male"

La prima telefonata dopo che ti è successo qualcosa di molto allegro o di tremendamente triste ti viene dalla pancia, non dal cervello, e la fai alla persona che senti più vicina e amica.

Ciascuno riscrive la sua vita quando la racconta a se stesso, no?

Io ero piccolo e non capivo niente ma sentivo solamente che mi mancava l'ossigeno, soprattutto quando erano presenti entrambi i miei genitori.

L'importante era che, alla fine della giornata, ci infilassimo nello stesso letto, a parlare. Che la sua saggezza illuminasse di luce nuova tutto quello che mi era capitato nel corso della giornata. E adesso? Adesso mi infilo nel letto da solo. E nulla ha senso. Nulla.

Qualsiasi domanda avessimo posto e qualsiasi risposta avessimo dato, sarebbe stata soffiata dal vento fino a Bob Dylan.

Se una persona è in grado di ridere di sé stessa, allora ha ancora qualche speranza.

Quando ero piccolo, mio padre mi chiamava "aquilone". Ogni volta che mi immergevo nei miei pensieri, lui tirava un filo sottile e invisibile per radicarmi a terra.

Se c'è una cosa che detesto sono le cover: mi lasciano sempre un senso di nostalgia per l'originale.

"L'ego non porta alla felicità, solo alla frustrazione. Perché l'ego non è mai soddisfatto, pretende sempre di più. E io non voglio vivere così, sempre sul bordo dell' abisso."
"E allora cosa vuoi?"
"Esserci per gli altri. Dare. Ascoltare il corpo. Curare."

Tu non hai uno scopo. Tutto quello che hai raccontato di te fino a ora, mi ha convinto che procedi nella tua vita alla cieca, senza mappare i tuoi desideri e le tue possibilità.

Il mio scopo è trovare un compagno serio e quanto non porta in quella direzione è una perdita di tempo.

Sei un caso paradigmatico di modello del treno di fronte. Quando il tuo treno è fermo in stazione e il treno di fronte inizia a muoversi, ti sembra che il tuo treno si muova. In realtà però non si muove, è solo un'illusione ottica. Quello che sto cercando di dirti è che, forse, vivi la vita degli altri invece che la tua.

Quando un pessimista ha ragione non gioisce. Una minuscola gocciolina amara gli tocca la lingua. Niente di più.

Non ero felice. Non ero tranquilla con lui. Discutevamo di continuo e non per questioni di principio. Per stupidaggini. Una cosa spossante perché ogni litigio ti inietta altro veleno nel sangue. Non voglio più piangere. Ho pianto troppe volte. Troppe volte mi sono sentita sola. Troppe volte ho sentito la nostra casa una prigione. E troppe volte sono rimasta distesa accanto a lui senza riuscire a dormire. Non dovrebbe essere così. L'amore dovrebbe essere una cosa bella, no?

"Sono sballata. C'è qualcosa di essenzialmente sbagliato in me"
"Siamo tutti sballati per il semplice fatto che siamo esseri umani"
"Ma io di più. Tutte le persone con le quali mi sono rapportata mi hanno sempre fatto male. Evidentemente in me c'è qualcosa che attira il male, che vuole il male"

Non è successo niente in questi anni. Tranne te. Mi alzavo la mattina, incontravo gente, compravo la frutta e non sentivo niente, oltre la nostalgia per te.

Le parole possono ingannare, i pensieri possono sconvolgere ma il corpo...il corpo sa.

Io non potevo farla soffrire come lei ne aveva bisogno e lei, anche se forse voleva crederci, non avrebbe resistito più di qualche ora con l'amore inequivocabile che io ho da dare. Perché dopo qualche ora lei comincia a sentirsi inquieta. Cerca di nasconderlo ma io, con i miei sensi troppo acuti, colgo lo sguardo sfuggente. E questo mi svigorisce, mi porta a temere di perderla. E allora diventa più inequivocabile. La amo ancora di più. Non sono così con nessun altra donna, solo con lei. Ma lei non riesce ad accettarlo. Non a lungo. E neanche io posso, a lungo, svigorirmi. Questo è il nostro cerchio. Un cerchio che, comunque lo rigiriamo, resterà sempre chiuso, tenendoci prigionieri finché non saremo costretti a sfondarlo. Per scappare.

Se a ciascuno di noi amici venisse chiesto di raccontare la storia degli ultimi 4 anni, con tutta probabilità ne risulterebbero 4 libri totalmente differenti.

È l'amore. È stato l'amore di lei a cambiarlo. È stata lei a tranquillizzarlo. A dargli una famiglia. L'ha abbracciato talmente forte che lui non ha avuto altra scelta che smettere di agitarsi dentro quell'abbraccio.

Il tumulto della città che mi invadente riduce al silenzio il mio tumulto interiore.

Gli amici vanno e vengono, sono gli amori che restano.

Lei era la musica verso cui dirigermi, tornavo sempre nella sua direzione, ogni volta che calavano le tenebre. La speranza che sarebbe tornata da me aveva risuonato tutto quel tempo, a basso volume, ma costantemente. Ora la musica taceva. Intorno a me, l'oscurità. Era come se mi andassi riducendo di giorno in giorno. Era come se le tapparelle alle finestre delle stanze del mio cuore si fossero rotte. Impossibile alzarle. Era come se stessi bruciando dentro, ma con un fuoco freddo. Era più smog che nebbia. Era come se il letto dormisse dentro di me e non io dentro il letto. Erano peso di piombo. Catene di ferro. Fiori di plastica.

Durante quelle settimane ho dormito molto e quando non dormivo avrei voluto dormire. Erano anni che aspettavo quella caduta, che combattevo contro la forza di gravità e forse per una volta dovevo semplicemente lasciarmi andare.

Ho perso la capacità fondamentale di guardare la mia vita dall'esterno e riderci sopra.

È impossibile cancellare davvero le macchie del passato, si riesce solo ad attenuarle e i peccati sono come un virus, aspettano un tuo momento di debolezza per attaccare e pretendere il castigo.

Proprio tipico portare avanti un'intera relazione con una ragazza senza che lei nemmeno lo sappia, coltivare in cuore tuo il pensiero che un giorno, quando tu sarai disponibile, lo sarà anche lei. Senza prenderti il fastidio di controllare se la realtà ha qualcosa da aggiungere.

Ogni piccola azione: andare in bagno, versare un bicchiere d'acqua, spegnere la televisione, mi costava fatica quanto spingere un masso su per un pendio di montagna. Nonostante fossi tentato non ho chiamato i miei amici perché avevo la sensazione che da quell'abisso dovessi uscirci da solo. Cretinate. È una spiegazione boriosa che invento a posteriori. Non li ho chiamati perché non me la sentivo di farmi vedere in quelle condizioni. No, anche questa è una copertura. Non li ho chiamati perché sono una persona sola a un livello che stento a spiegare anche a me stesso. Sono una persona sola che ha molti amici. Una persona sola che ha imparato a stare al mondo come se fosse socievole, ma nei momenti dolorosi si ritrae sempre nella sua posizione di partenza.

Hai gli occhi che pensano, lo sai?

Può un uomo vedere se stesso? Vedere se stesso veramente?

Ero io a scrivere. Ero io a tirare i fili trasparenti, ero io a spostarli da un posto all'altro, a decidere che aspetto avevano, quando avrebbero parlato e quando invece si sarebbero morsi le labbra. Ho attribuito a me stesso le righe più belle, le più intelligenti, per compensare il fatto che, in realtà, durante la maggior parte dei nostri incontri, facevo tenendo nascosti i miei piccoli pensieri amari o i miei piccoli pensieri generosi. Ora tutti quei pensieri si erano liberati dalle manette dell'autocontrollo, erano evasi dalla loro prigione e ballavano
 la danza della libertà nell' enorme spazio bianco del foglio.

Emanava una serenità interiore, come se ben conoscesse il nucleo della sua essenza e non avesse bisogno di conferme a riguardo.

A volte, tenersi le cose per sé da forza, non credi?

È molto più facile perdere un cliente che acquistarne uno nuovo.



Proprio nel fatto che, per tutta la conversazione, non avesse tentato in alcun modo di affascinarmi e di impressionarmi, c'era qualcosa di affascinante e di impressionante.

Ho capito che stavo sprecando tempo, e di tempo da sprecare non ne avevo.

Ha molte capacità, ma la capacità di essere felice non è fra quelle.

Scrivere un libro non è facile, ma ce l'ho fatta. Sono uscito dal mio recinto e sono andato avanti a galoppare senza che mi finisse l'ossigeno. E se l'ho fatto una volta significa che posso farlo di nuovo. Posso liberarmi dalle mie catene. Dal pessimismo paludoso. Posso cambiare. Rivelarmi. Trovate uno scopo.

Gli amici sono un'oasi nel deserto che permette di dimenticare il deserto.

Dopo quanti cambiamenti un testo perde la sua essenza originaria? Non lo so.







lunedì 3 febbraio 2025

"La non mamma" Susanna Tartaro (2021)

LA TRAMA:
Susanna è una donna, una figlia, una compagna, un'amante. Ha un lavoro che l'appassiona, un'allegria semplicissima, il talento di scoprire sorprese in ogni dove. Come ciascuno di noi, "non è" un'infinità di cose, e naturalmente è tante altre. Eppure nella sua vita c'è uno spartiacque: è una non mamma, appunto. Perché essere o non essere madri, che sia per scelta o per caso, per desiderio o per impossibilità, nel nostro mondo definisce le donne come persone. Questo libro racconta la libertà, che non è certo una cosa semplice. La donna che dice "io" in queste pagine è libera di gestire il proprio tempo, racchiuso in un perimetro del tutto personale. Libera di investire su se stessa, di divertirsi e immalinconirsi, di fare programmi e poi cambiarli. Libera di sentirsi sola, di osservare a fondo, di interrogarsi, di comporre. Allora sale a bordo del suo motorino e si muove per le strade di Roma, catturando epifanie, piccoli momenti luminosi. Come gli scatti fotografici che si fanno d'istinto con il cellulare, quando una cosa ci colpisce così tanto da volerla avere sempre in tasca. Ed è proprio questa libertà che in punta di penna si fa poesia, permettendo alle parole di adagiarsi lievi ma mai spensierate sulle cose. Susanna Tartaro ci mostra la bellezza e la meraviglia di accogliere la vita, scrivendo prima di tutto con gli occhi. Perché, in fondo, si può essere genitori in tanti modi, a volte basta solo guardarsi intorno. La non mamma ha un "non" davanti, che sta acceso come un faro. Ci sarà sempre qualcuno che le dice:"Tu non puoi capire".a quante cose vedono i suoi occhi liberi e leggeri, mentre attraversa Roma in motorino, coi capelli al vento e il dono raro di trasformare ogni angolo, ogni faccia, in poesia.




IL MIO GIUDIZIO:
Ho deciso di leggere questo libro, attratta dal titolo, in cui mi sono riconosciuta: anche io sono una childfree, una "non mamma" per scelta, e anche io ho dedicato un capitolo del mio secondo libro "A briglia sciolta" alla mancata maternità. Per cui credevo di ritrovare in questa opera le tematiche che avevo affrontato pure io, ovvero i motivi che mi avevano portato a questa scelta, i vantaggi del non avere figli e, soprattutto, le continue e ripetute ingerenze da parte degli altri, chi per criticare e giudicare la mia sacrosanta decisione, chi per dare consigli non richiesti, partendo dal presupposto che 'sti benedetti bambini non fossi riuscita ad averli... perché, purtroppo, nella testa dei più non è ancora entrato il concetto che una donna possa coscientemente scegliere di non partorire. 

Tutto questo, quindi, pensavo di trovare nel libro e invece, niente, nada de nada: il titolo è soltanto uno specchietto per le allodole. Nelle primissime righe, l'autrice scrive di essere una "non mamma" e quindi di poter fare ciò che vuole, dopodiché parte con una serie di pensieri, ricordi e divagazioni che con la maternità non hanno nulla a che vedere. A questo punto, credo, sarebbe stato meglio fare ciò che ho fatto io con i miei libri: un'antologia di racconti e riflessioni, ognuno col suo proprio titolo.

Al di là di ciò, i contenuti sono di una basicità disarmante, sembrano scritti da una ragazzina delle elementari...stessa critica che era stata mossa a Frank McCourt in "Le ceneri di Angela" ma lì era una cosa voluta, lì l'autore aveva voluto raccontare la sua infanzia, rivivendola con gli occhi del bambino che era stato; qui sono soltanto discorsi disconnessi, talvolta non si capisce proprio di cosa stia parlando. Potrei quasi definirla un'opera onirica incentrata sull'attenzione al dettaglio, per non volerla stroncare del tutto. 

Generalmente, quando un libro non mi convince, lo abbandono a se stesso, ma stavolta ho voluto fare un' eccezione alla regola, sia perché era piuttosto corto (poco più di 100 pagine), sia perché volevo vedere dove  volesse andare a parare e se, prima o poi, tutti questi discorsi senza capo né coda si sarebbero ricollegati in qualche modo alla sua decisione di non avere figli. Invece niente, una delusione totale. 

Per principio, non mi piace denigrare le opere altrui, scrivo anche io e so quanto lavoro, tempo e passione ci siano dietro la stesura di un libro. Preferisco sempre dire che un'opera non sia stata di mio gradimento, sottolineando che è un parere personale, non un imperativo categorico. E purtroppo "La non mamma" è uno di quei casi. 

PS: Per curiosità, ho fatto qualcosa che non faccio mai: dopo aver scritto la mia recensione, sono andata su Amazon a leggere quelle degli altri lettori e, in linea di massima, hanno espresso anche loro la propria perplessità sull'incongruenza del titolo e sulla banalità dei contenuti, privi di qualsivoglia filo conduttore.


IL MIO VOTO:
Credevo fosse un libro dedicato alle motivazioni che avevano spinto l'autrice a non fare figli e sul come vivesse il suo essere childfree in una società che ancora ci vuole madri a tutti i costi, invece mi sono trovata davanti a una serie di pensieri e riflessioni scritti in maniera basica, confusa, disconnessa e totalmente fuori dal contesto del titolo. Personalmente non mi è piaciuto. Peccato.


LA SCRITTRICE:




martedì 28 gennaio 2025

"Io viaggio da sola" Maria Perosino (2022)


 LA TRAMA:
Queste pagine sono un corso di autostima, un racconto divertente, un diario involontario, un manuale. Sono soprattutto pagine vive, effervescenti e fanno meglio di una seduta dall' analista. Se sei giù, ti fanno venire voglia di metterti in ghingheri e uscire. Ti fanno venire il sospetto che là fuori, in mezzo alla gente e alle cose che ancora non conosci, si giochi una parte importante della partita. Viaggiare da sole significa buttarsi con curiosità nei luoghi in cui capita di trovarsi per scelta o per fuga. Significa cambiare valigia, scegliere l'albergo giusto, mangiare a un tavolo per uno senza sentirsi tristi. Anche da sole si può prendere un aperitivo sulla terrazza di un bar di Istanbul, guardando il Bosforo. E dirsi che, certo, per mangiare le ostriche sarebbe meglio essere in due ma, in fondo, la scelta peggiore sarebbe non mangiarle affatto. Grazie alla forza dei pensieri e della scrittura, le pagine di questo libro trasmettono un'energia davvero contagiosa e ti spingono a partire, preoccupandoti solo di aprire le porte e non di chiudere casa.

IL MIO GIUDIZIO:
Ho scoperto questo libro, un po' di nicchia devo dire, tramite un gruppo di lettura in cui sono iscritta su Facebook e ho deciso di leggerlo, attratta dal titolo, sia perché anche io, solitaria di natura, spesso mi trovo a fare da sola cose che, generalmente, vengono fatte in coppia o in gruppo; sia perché mi ha sempre incuriosito chi viaggia da solo: sono dell'idea che chi si nutra prevalentemente della compagnia di se stesso, abbia tanto da raccontare.

L'autrice, che ho poi scoperto essere scomparsa a soli 54 anni, nel 2014, è stata un'esperta di arte e già per questo si è trovata a dover viaggiare molto. Avendo perso prematuramente il suo compagno, ha dovuto però imparare a farlo perlopiù in solitaria e, in questa sorta di vademecum, o diario di bordo, vuole spiegarci come, il fatto di essere una donna sola, non vada ad inficiare il poter viaggiare in totale autonomia, traendone il massimo beneficio. Così, la solitudine, più che uno stato d'animo, viene vista come uno stato di famiglia e, più che fare di necessità virtù, bisogna imparare a fare della solitudine un valore aggiunto, ovvero sublimare un momento difficile per trarne il massimo beneficio: quello di imparare a godere della compagnia dell'unica persona che ci resterà accanto per tutta la vita, noi stessi. Perciò, "Io viaggio da sola", più che un racconto di avventure, si può configurare come una sorta di manuale di life coaching.

Per Maria, la sua pur breve vita è stata un lungo viaggio: ha iniziato a farlo a 14 anni, inizialmente in compagnia, e non ha più smesso. Successivamente, con la prematura perdita del compagno, ha incentivato gli spostamenti, stavolta in solitaria, per fuggire dal dolore e ricostruirsi, imparando a mettere radici ovunque e a fare dell'altrove la sua casa. Del resto, come ci spiega lei stessa, non c'è nessuna limitazione nel viaggiare da soli, se non quella di avere qualcuno che ci controlli i bagagli se abbiamo necessità di andare alla toilette. Che si resti a casa o che si decida di partire, saremmo sole in ogni caso, quindi tanto vale trattarsi bene: se abbiamo voglia di fare qualcosa, anche se non abbiamo nessuno con cui condividere l'esperienza, dobbiamo comunque farla, perché non sapremo mai se quell'occasione si potrà ripresentare...ergo meglio mangiare, ad esempio, delle ostriche in solitudine che non mangiarle per niente.

Il libro spazia dai consigli su come fare e disfare il trolley (la migliore invenzione per la donna dopo la pillola, a detta dell'autrice) senza impazzire e avendo sempre a disposizione ciò che serve a come scegliere il ristorante giusto che ti sfami senza appesantirti né farti spendere un'eresia. Dispensa anche consigli amorosi su come affrontare la fine di una relazione, su come farsi compagnia da sole, invitandosi a cena o a un aperitivo, acchittate come se stessimo uscendo con qualcuno di riguardo, cosa che poi è vera, dato che persona più importante di noi stesse non esiste.

C'è poi una lunga parentesi sui treni, che sono il mezzo in cui la Perosino predilige viaggiare, dove si è soli ma non si è mai da soli veramente, e dove si può riposarsi come leggere, guardare il panorama fuori dal finestrino come ascoltare le chiacchiere degli altri viaggiatori, oppure interagire con loro. 
Avendone presi veramente tanti, anche in questo caso ci suggerisce quali siano le tratte da evitare perché perennemente in ritardo o malfunzionanti (ad esempio quelle della Liguria...e ne so qualcosa!), oppure come fare per "adescare" un tizio in stazione che ci aiuti a caricare sul vagone i nostri innumerevoli bagagli perché, si sa, ogni donna, quando viaggia, si porta dietro la casa.

Con una scrittura diretta, decisa, asciutta e a tratti ironica, quest'opera si lascia leggere bene anche se, in certi punti, la scrittrice diventa un po' troppo snob, sottolineando il fatto di essere benestante (e dando del poveraccio a chi, in hotel, arraffa il più possibile dal buffet della colazione per farci anche il pranzo) e vantandosi della sua intellettualità, paragonandosi spesso (e talvolta sminuendola), a sua sorella minore, molto più frivola e modaiola di lei.


IL MIO VOTO:
Sono finiti i tempi in cui la donna stava a casa a cucinare, rassettare e fare la calza: adesso, con un trolley in una mano e un biglietto o carta d'imbarco nell' altra, si può andare ovunque, anche da sole. E questo libro ce lo spiega assai bene. Consigliato.



LA SCRITTRICE: 



Frasi dal libro "Io viaggio da sola" di Maria Perosino

Io che ci faccio qui?
Quando ci si fa queste domande e si è da soli e non si è Chatwin, le risposte rischiano di essere un po' imbarazzanti.

Ero triste, me ne andavo in giro cercando affetto e mentre lo cercavo ne regalavo molto, di affetto.

Mi sentivo talmente sola, intimamente e continuamente, che il viaggio in solitaria non era altro che il prolungamento di uno stato d'animo che sospettavo immutabile.

Forse è meglio mangiare le ostriche in due invece che da soli, ma non mangiarle del tutto è ancora peggio.

La solitudine non è uno stato d'animo da cercare o da fuggire, è banalmente uno stato di famiglia.

Lo so che il tramonto sul Bosforo sarebbe una delle cose più romantiche al mondo e pertanto andrebbe visto mano nella mano. E so anche che sarebbe opportuno che le suddette mani non fossero la vostra destra e la vostra sinistra perché, in quel caso, non sapreste come tenere il bicchiere.

Intanto quell' aperitivo l'ho preso, respirato, inghiottito. Può darsi che mi capiti, un giorno, di tornarci con l'amore della mia vita. Così come può darsi che l'amore della mia vita soffra di vertigini e non ci voglia salire su quella terrazza e può darsi anche che non ci sarà più un amore della mia vita. Ma quell' esperienza c'è, e resta.

Viaggiare da soli può risultare un vantaggio: si può esercitare il libero arbitrio e non dover rendere conto a nessuno di come andranno le cose.

Le persone simpatiche tengono più caldo di un golfino di cachemire.

Le città sono come gli uomini: il miglior modo per sedurle è farle parlare di sé.

Una tuta infilata giusto perché "tanto non mi vede nessuno"...e i vostri occhi, quelli non contano?

Mi piace mettere le persone a loro agio perché in quell'agio ci abito anche io.

I pensieri cupi, basta vivere e ce li danno in omaggio. La malinconia, come la tristezza, l'ansia e tutte quelle robe lì, hanno la cattiva abitudine di farti delle improvvisate. Si comportano come ospiti invadenti e poco educati, che suonano alla porta mentre sei nella vasca da bagno, stai per finire un giallo o sei sul punto di scolare la pasta. Entrano, si mettono comodi e non capiscono, anzi forse capiscono ma fanno finta di niente, che sarebbe meglio se tornassero da dove sono venuti. E va a finire che siccome sei di animo gentile, alla fine li accogli, esci dalla vasca, chiudi il giallo senza sapere chi è l'assassino, e gli offri pure metà della tua pasta. Ecco, questo è proprio quello che non si dovrebbe fare: essere gentili. La visita delle emozioni può e deve essere pianificata e, prima ancora, preparata. Credere di poterla scansare è da ingenui. I sentimenti fanno capolino e, come si sa, buttarlo fuori dalla porta non servirebbe che a farli rientrare dalla finestra.

Date un nome alle sensazioni che provate: le cose iniziano ad esistere quando le nominiamo, e combattere qualcosa che esiste è più facile che combattere contro i fantasmi. Quello che voglio dire è che se riuscite a trasformare quel borbottio interiore, fatto di parole sconclusionate, in una frase di forma compiuta, soggetto, verbo e complemento, significa che avete trasformato uno stato d'animo in un oggetto, che dunque può essere maneggiato, accarezzato, messo dentro una borsa e portato a spasso, oppure lasciato chiuso in camera. Insomma, vuol dire che avete imparato a dare del tu al vostro malessere e siete pronte a elaborare una strategia per tenerlo a bada.

Imparate a farvi compagnia. Inviatevi a cena, accompagnatevi a fare shopping o un massaggio; offritevi un aperitivo al tavolino di un bar dove poter imbastire un bel monologo interiore. E prima di uscire, vestitevi, truccatevi, ingioiellatevi: non dimenticatevi che state andando a un appuntamento con una persona di riguardo.

Per quanto il vostro umore possa essere tetro, evitate di portare al guinzaglio la vostra malinconia, esibendola come se fosse un cagnolino di razza (che, tra l'altro, stanno antipatici quasi a tutti).

È solo impadronendosi di un luogo che ci si può permettere di buttare tutto all'aria e ricominciare da capo.

Ho una fede incrollabile, non in Dio, ma nell' esistenza di una alternativa.

Amo i treni perché lì non si è da soli ma si può stare da soli.

I viaggiatori depositano nelle stazioni il viaggio che stanno per fare o da cui sono appena tornati e ne lasciano lì in pezzettino, che si impila su quelli lasciati da chi è venuto prima. Le stazioni, un fondo, sono ripostigli in cui si accatastano i viaggi.

Quando si incontra una persona nuova, le possibilità che quella persona ci faccia del bene o ci faccia del male sono equamente divise al 50%. Tanto vale scommettere sulla prima opzione, perché altrimenti magari ci si protegge ma ci si priva di un'infinità serie di possibilità.

Sta incominciando a capire che deve imparare a farsi compagnia, a diventare la compagna di se stessa.

Ho intenzione di godermelo, questo viaggio, non voglio che la paura mi tolga il divertimento. Ho imparato a viaggiare, a leggere, a lavorare. A spendere e a guadagnare. A non avere paura. O almeno a non lasciarmi governare dalla paura. E poi ho imparato a congedare e a incontrare.

Anticoncezionali per non abortire, aborto libero per non morire. Non siamo macchine da riproduzione, ma donne libere per la rivoluzione. La liberazione non è un'utopia: donna, gridalo, io sono mia. Si iamo violenza quotidianamente, lo stupro è solo la forma più evidente.

Il fatto di non essere mai stata sfiorata dal pensiero di appartenere a un sesso debole. Forte di una certezza che non ho mai sentito il bisogno di rinegoziare, ho vissuto, e viaggiato, senza mai pensare che ci fossero delle cose che, in quanto donna, non potevo fare, o non avrei dovuto fare. E non ho mai sentito neanche il bisogno di dimostralo: è stato semplicemente, naturalmente, così.

Ci vuole un coraggio immenso per smettere di soffrire.

Per costruire esperienza è necessario toccare il dolore. Attraversare il dolore per costruire vita, e quanta vita.

Il dolore non fa bene, il dolore fa male. E fa perdere: luoghi, persone, tempo.

Se stare al mondo non è che un dettaglio, stare nel mondo, per me, è una questione di dettagli.