"Questa casa così sola mi mette tristezza"
"Non è sola, è piena di ricordi"
Sentì dentro, all' improvviso, una grande tranquillità. Aveva smesso di sentirsi sola, alla deriva: lui le offriva un approdo.
Quel lavoro gli stava costruendo il futuro ma intanto gli mangiava il presente.
Esplorava il mondo senza falsi pudori, quella figlia priva di ipocrisia a cui piaceva essere esattamente ciò che era: bella, sveglia, amata e felice. Perché non avrebbe dovuto essere felice, visto che la vita a lei, proprio a lei, aveva deciso di dare tutto?
Sì era svegliata sentendosi un recipiente vuoto, in cui ciò che le accadeva intorno rimbombava e la lasciava indifferente. Sembrava che la sofferenza le avesse lavorato dentro, instancabile, per scarnificare ogni sentimento. L'aveva uccisa senza che lei se ne accorgesse. Era quieta, lontana dalle cose della vita.
Aiutami, perché la mia fede vacilla e senza la mia fede ho votato l'esistenza al niente.
Chi le stava accanto non percepiva che un'assenza minima del pensiero, un momentaneo disinteresse. Lei invece l'ottava per non soccombere ai suoi demoni, ogni volta.
Restava viva perché persino la morte le faceva terrore. Avrebbe voluto sparire, non morire. E se la morte non fosse stata solo niente? Non si fidava più neppure dell'idea della morte. Non c'era rifugio. Questo era diventata: un equilibrio fragile fra vivere e morire.
Il suo bisogno di tregua, a un certo punto, sarebbe diventato più forte della paura di quello che potesse significare morire. L'avrebbe spinta giù dalla corda su cui stava in equilibrio, come il repentino tocco di un dito sulla spalla.
Lei era così: la sofferenza degli altri se la sentiva tutta addosso, anche se non gliela raccontavano. Forse perché ne aveva provata tanta.
La dolcezza, anziché confortarla, la puniva con il ricordo delle cose finite per sempre.
"Io sono così"
"Così come?"
"Così", ripeté rassegnata.
Si può essere disperatamente soli in tanti modi, in ogni momento.
Era una donna in trappola, condannata a vivere una vita a metà in cui aveva portato comunque tutta la sua incomparabile bellezza.
Aveva deciso che alle brutture della vita non voleva arrendersi. Sì era scoperta forte: più la schiacciavano, più tirava su la testa. Era convinta che, nella vita, anche le cose brutte, alla fine, un senso ce l'avessero. Perché altrimenti c'era da impazzire di disperazione e lasciarsi seccare come le piantine senza acqua.
Gli erano bastati 2 notti per convincersi che per ragioni che non comprendeva, erano giusti l'uno per l'altra. Giusti e decisamente male assortiti.
Lui riusciva a essere giusto e sbagliato nello stesso tempo.
Non sapeva alleggerire il dolore ma poteva ascoltare, comprendere.
Era convinto che lei una vita neppure ce l'avesse. Se ne stava in un buco profondo: se ti affacciavi la intravedevi, magari lasciava anche che la tirassi su un po', per respirare quanto le bastava per restare viva. Poi ripiombava nella voragine e il peggio era che rischiavi di cadere dietro, se non stavi attento.
Quando due ci tengono affrontano insieme pure i problemi. Per le brutte cose c'è un rimedio e dal male si può guarire solo stando accanto a qualcuno che ci tenga.
Prendersi cura di lei lo metteva in contatto con la parte migliore di sé stesso, lo faceva sentire vulnerabile e forte allo stesso tempo.
Lo aveva messo al centro di quel suo mondo senza punti di riferimento e restava in equilibrio solo per lui, si nutriva perché lui la nutriva.
Un adulto il dolore non lo può subire: ne deve affrontare le conseguenze, decidere, fare scelte. Fare qualcosa. E lui si sentiva morire perché era un adulto ma non sapeva cosa fare.
Devi capire com'è andata. Se non lo capisci, non la puoi aiutare.
Le cose bisogna dirsele, quando sono belle. Ma pure quando sono brutte. Perché se due scelgono di stare e, è necessario.
Non è finito niente. È che bisogna crescere. Che vuoi cancellare? Non c'è soluzione. Quello che è successo è successo. Però insieme ce la facciamo. Ci prendiamo il tempo che serve: un anno, dieci, cento...io sto qui.
Nonostante tutto, ancora una volta non l'aveva lasciata andare.
Ormai mangiavano senza piacere, senza quella complicità degli eccessi che avevano ammorbidito loro il corpo negli anni passati: il piatto di pastasciutta colmo, il pane in abbondanza sulla tavola, il dolcetto insieme al caffè dopo pranzo, gustato tra una chiacchiera e l'altra. Non lo sapevano, eppure il segno di quanto fossero felici stava in quei dettagli insignificanti che erano svaniti con la vita di prima.
I maschi sono così: il cervello, prima di migrargli nella testa, staziona a lungo nei testicoli e quando arriva alla testa è quasi sempre tardi.
Si sentì insignificante e inutile davanti alla potenza di un male così, che marca il passaggio tra una vita e un'altra, tra un prima e un dopo e poi svanisce senza lasciare alcun danno apparente.
In lui c'era un candore che le brutture della vita non avevano scalfito. Lui non era corrotto, credeva sul serio che una giornata di sole potesse farti fare pace con l'esistenza, che la pizza con la mortadella alleviasse ogni sofferenza, che essere fragili fosse bello perché la vulnerabilità rende l'amore indispensabile. Lui di amore traboccava e per stare bene a sua volta gliene serviva tanto, come se fosse tenuto in vita da quel semplice circolo virtuoso. Ma era affamato d'amore anche perché, per qualche ragione, era convinto di non meritarselo, di non essere mai all' altezza. Lui la bellezza del suo cuore non la vedeva, la tenerezza delle sue stesse parole non sapeva ascoltarla, perciò chiedeva perdono di continuo: sentiva di meritare molto meno di quel poco che riceveva.
Avrebbe voluto un consiglio, un' idea che fosse giusta, non frutto di quella testa confusa.
Avevano vissuto immersi in un'insospettata bellezza che si sarebbe rivelata solo dopo, nel tempo della nostalgia.
Stagli sempre vicino, a quelli che gli vuoi bene. Stagli vicino, non li lasciare soli. Tutto s'aggiusta, basta volersi bene e la forza si trova.
Sì era spezzata, tanto era fragile.
Sì concedeva l'illusione di lenire il freddo dell' anima con il calore del vino, perché non poteva dire al mondo che era troppo debole per sopportarlo, quel dolore. Doveva puntellarsi con quella bottiglia che era come una gruccia.
Se ne stava con la testa china, in silenzio, a scontare una pena che gli aveva inflitto per qualcosa di cui non aveva colpa. Solo perché se ferirlo poteva alleviare un minimo la sua sofferenza, per lui andava bene, si prendeva la solitudine, l'indifferenza e il rifiuto.
Cercava di dormire per avere meno tempo da occupare con gli occhi aperti.
Era necessario scavare, accettarsi con le proprie ferite, anche le più inguaribili, poi ricostruirsi e trovare la forza di guardare avanti. Il segreto è l'amore, che ti salva, sostiene con te il dolore affinché non ti schiacci, ti cura.
In fondo non era detto che la tristezza dovesse essere sempre amara.
Il dolore che li accomunava li aveva resi inadeguati a qualsiasi mondo che non fosse il loro.
Ci aveva messo il cuore, anche quando la vita glielo aveva straziato.
Possiamo chiuderci nel dolore o decidere di prendere il buono che abbiamo intorno. È difficile. Ma ho bisogno di credere che in tutto quello che è stato ci sia un senso che ora non possiamo comprendere. Che un giorno tutto sarà chiaro, che quanto è stato non è che il dettaglio di un disegno che ancora non abbiamo occhi per vedere. Arriverà mai il momento in cui sapremo che tutta l'ingiustizia, la sofferenza, non sono state che un insignificante granello nel perfetto equilibrio delle cose?
Non hai votato la tua vita al niente, l'hai votata alla speranza. Perché cosa ne è, di noi, senza la speranza?
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