Mi sono tenuta questo vuoto nell'anima per tanto di quel tempo che adesso non me ne frega nulla se sono all'altezza oppure no. Non voglio raccontare niente, solo raccontare.
Aveva un dono: sapeva leggere. Non in superficie e neppure all'interno, ma al cuore. Sapeva che la verità di una persona, come di un libro, è in ciò che rimane muto e segreto.
Non avevo mai pensato che la bellezza potesse fare male.
Parlare non ci mette a nostro agio. Invece, scrivendo, sarebbe diverso. Potremmo prenderci il tempo che ci serve per scegliere le parole, aggiustarle, cambiarle se necessario.
Ero, evidentemente, una disadattata. Ma nella mia famiglia, con sfumature diverse, lo erano tutti.
Sperimentai l'enorme potere che hanno gli oggetti di rilasciare gli odori e le voci che hanno assorbito. Di rendere presenti i ricordi.
Sembra una calamità ma la faremo diventare un'occasione.
Il panico, o meglio la solitudine, è uno stato primitivo e molto semplice, in cui da una parte c'è il mondo smisurato, minaccioso, ignoto, e dall'altra ci sei tu, un nonnulla. Senza una madre nessuno può sopravvivere. E'una verità che ho sperimentato assai bene, di cui porterò sempre in ciascun organo vitale le cicatrici.
Non stringevo amicizia con nessuno ma con centinaia di personaggi immaginari, sì. Avevo un'esistenza spettrale e una fantasia incandescente. Solo l'invisibile accadeva sul serio, solo dietro le parole qualcuno era disposto a parlarmi.
La letteratura fu, in fondo, il solo modo che mi capitò per colmare il suo vuoto. Potrà mai esistere una passione senza prima un vuoto?
Una tachicardia meravigliosa mi afferrò il cuore: la possibilità.
La vergogna è un sentimento che ho provato spesso per la mia famiglia. Me la sono portata dietro come un masso, come se fosse colpa mia. Per anni.
A stare dentro l'attenzione di qualcuno non ero pronta: goffa, sbagliata e troppo esistente.
"Ma parli?"
No, preferivo ascoltare.
Aveva mani grandi. Io guardavo il suo corpo e, nel mentre, sentivo esistere il mio.
Ci stavamo solo guardando, ma non era vero. Le asole dei bottoni, le stringhe, le cerniere, tutto sciolto. Eravamo nudi. Così affini. E credo che riuscissimo a sentirci i cuori, l'uno nell'altra, battere.
Sfiorò la mia bocca. Le nostre labbra si toccarono. Si aprirono. Si richiusero una nell'altra. Era come se tutta la mia vita fosse lì, tutta me, in quel punto caldo e strano.
Rimasi lì a ripensare alla sconosciuta che avevo dentro, così spudorata, diversa da come mi credevo.
Erano così male assortiti, così felici.
Quando la lezione non mi interessava o gli altri mi prendevano in giro, mi assentavo con lui che era entrato nella mia vita, occupando un vuoto, dando forma all'abbandono che avevo cucito qui, tra lo sterno e il cuore.
Per lui come uno andava in giro vestito, pettinato, su quale mezzo di trasporto, non aveva rilevanza. Solo l'intelligenza contava, solo quel che uno sapeva e aveva da dire.
"Cosa sai fare?"
Non lo sapevo.
"Cosa ti piace?"
Provai a pensarci.
"Non cosa sei, come pensi di essere, come ti vedono gli altri, ma tu, nella vita, cosa vuoi?"
Inchiodata alla scrivania, il foglio bianco davanti. Vergai una sola parola, "Lorenzo", e fu come rompere un argine. Credevo di averlo rimosso, invece era rimasto. Latente, in incubazione. Lui, forse, oppure il bisogno di scrivere, di avere, mio e solo mio, un destinatario a cui raccontare ogni cosa.
Gli scrissi di cosa erano fatte le mie giornate: di silenzio.
Volevo morire. Con lucidità e ragione. Nessuno può farcela senza una famiglia e io non ce l'avevo, non la meritavo. Non vedevo alcun futuro davanti a me, eccetto il mare. Immergermi come Virginia Woolf, fu questo il pensiero. Tornare indietro, non camminare, non parlare più, a ritroso, non respirare, non nascere, rimanere dentro, incagliata sul fondo dell'acqua.
"Però, se in pubblico non litigano, è già qualcosa"
"Perchè, io e i miei fratelli non siamo un pubblico? Davanti a noi si dicono troia, puttaniere, si graffiano, e non gli importa niente che li vediamo. Ma degli altri, oh, gliene importa da morire".
Darsi un tono, nascondere le burrasche che si hanno dentro. Sembrare migliori e chi se ne frega della verità.
Variabile: incerta, lunatica, capricciosa. No, stronza.
La stella variabile è tale perchè è nera. Ha un lato opaco, spento. E' già morta, sta per collassare. Ma intanto brilla. Perchè l'altro lato è così luminoso che abbaglia, raggira. E io li conosco bene, entrambi i lati.
Vivevano nel futuro, non avevano paura dei cambiamenti. Mentre io, con i miei libri di poesia, mi ero già nascosta dietro le parole, dietro la carta. Restavo indietro a spiarli da una fessura. Era il mio destino.
Io e la realtà eravamo due categorie troppo impari.
Riconoscevo lo stesso terrore di sbagliare, di respingere anzichè sedurre.
Pensai che lo amavo. E non mi importava se questo verbo era eccessivo, se non conoscevo il significato. Il corpo non c'entrava più, almeno non solo. C'entravano le parole, quell'idea di eternità che chiamiamo anima, per cui si scrivono poesie, si compiono gesta. Lo amavo per sempre con tutta me, non avevo bisogno di sapere altro, che mi promettesse niente, che mi tornasse indietro qualcosa. Io lo amavo.
Perchè le parole a questo servono: a sperare, ingannare, abbellire e migliorare, ma la realtà è un'altra e se frega dei nostri desideri.
Le avrei impedito di cadere, sarei precipitata insieme a lei. Le promisi in silenzio che avrei fatto di tutto per rivederla felice, un giorno, e forse l'amicizia è questa promessa.
Il futuro è un tempo che toglie e non aggiunge.
Se c'è qualcosa che brilla a portata di mano, perchè non dovremmo afferrarlo?
Vivevo con l'ossessione che tutti fossero lì a esaminarmi ogni minuto. Non capisco come riuscissi a conciliare una tale egocentrismo con la convinzione di non valere niente.
L'altrove per me era il passato, non il futuro.
Sarò una sfigata ma lasciatemelo dire: alla vita serve la letteratura.
Rimasi. Non sapevo fare altro che rimanere.
Perchè è vero che se ti volti indietro non trovi più niente. Ma davanti hai tutto. Tutta la vita da prendere.
La realtà adora infrangere i sogni.
Perchè si legge? Perchè non rimane altro.
Per leggere occorrono necessità e disperazione. E' una cosa che si fa quando nè la tv nè internet riescono a distrarti dal fatto che nella vita si perde, e si perde tutto. E chi conosci ti sembra felice e tu ti consumi d'invidia, quando l'unica soluzione è farla finita e diventare un altro.
Si accontentano dello scintillio in superficie mentre a me rimane tutto il buio.
I nostri ricordi è il caso che restino qui, nell'unico posto sicuro che conosco: un libro. Perchè questa non è una favola, è la nostra vita.
Per me era la norma passare le estati in quel modo: tutti al mare, nudi, a esibirsi e io rintanata a chiedere aiuto all'arte.
L'imperativo era scoprire, non mostrarsi.
La verità si compie all'interno, senza testimoni.
La verità è che il lutto per un'amicizia finita non si risolve. Non c'è modo di curarlo, rielaborarlo, chiudere e andare avanti. Rimane lì, piantato in gola, a metà tra il rancore e la nostalgia.
Ho accettato che passiamo la vita a decifrare chi dovremmo conoscere meglio: i genitori, i figli, restando gli uni per gli altri un mistero.
La amavo e la rifiutavo. Mi faceva pena e rabbia.
Non so vivere in altro modo, ho bisogno di fare follie ogni tanto, sennò mi sento soffocare.
Bisogna ascoltare la musica italiana. Nessun paese può vantare i cantautori e i poeti che abbiamo noi.
Non riuscivo a mettere a fuoco perchè dovessi impegnarmi a renderla felice dal momento che lei mi aveva dato in eredità solo problemi.
In realtà non mi doveva nulla: la sua vita non mi apparteneva.
Non era bella però si è sempre comportata come se lo fosse e noi abbiamo sempre abboccato.
Fu la prova che il centro del mondo, se vuoi, lo puoi spostare.
Il lusso di scrivere è salvare.
Tra me e lei restava un differenza: lei si vedeva e io no.
Lei si materializzava in un luogo e ne modificava la temperatura. Io volevo solo essere diversa da quel che ero, mentre lei era l'abbaglio che tutte le ragazze del mondo, eccetto me, avrebbero desiderato ostentare. Quale abbaglio? Sbrigativamente mi verrebbe da dire: piacere, irradiare bellezza. Ma Bea non ha mai mietuto consensi, anzi: ha sempre diviso. Era bella come potrebbero esserlo in tante, coprendo i brufoli e con qualche ritocco. Ma dove risiedeva davvero il suo potere? Perchè è di questo che stiamo parlando: del fatto che a lei non fregava nulla del giudizio degli altri, che teneva tutti per le palle, che incuriosiva e attraeva perchè conteneva un irresolubile enigma.
"Ti giudicheranno male"
"Oh, con sta storia dei giudizi, basta! Sempre lì a pensare agli altri. Ma chi sono questi altri? Te lo sei mai chiesta? Tu pensi che siano tutti felici, amati, filosofi pieni di cultura con famiglie favolose? Pensi veramente che stiano meglio di te? Stiamo tutti male, tutti, allo stesso modo! Diranno che sono scema? Pace. Che sono troia? E lasciaglielo dire. Se gli fa comodo, che male c'è? Hanno paura della mia libertà, me la invidiano, questa è la verità.
Io la vedevo nitida e chiara, la sua infelicità. Tutto quello che avrebbe fatto nella vita sarebbe stato confondere le acque. Restare al sicuro dietro la percezione degli altri. Rendersi inconoscibile.
Eravamo orfane e ci eravamo adottate.
Sogni e realtà non coincidono mai perchè non possono.
Muore perchè si era data in precedenza una meravigliosa opportunità: compiere errori.
Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando.
La realtà si sbriciola, le immagini no.
Raccontare serve a questo: a rendersi conto.
La vita vera comincia solo quando tradisci chi ami per non tradire te stesso, quando te ne vai per diventare chi sei. Ma a lei questa scissione ha sempre terrorizzato. Ancora oggi prova una vertigine abissale nei confronti della sua libertà.
Se non hai un'occupazione, una passione, non sei libero, non sei niente.
La mia vita è finita. Sono libera. Sono nata.
Il destino è rivivere il trauma, ripetere gli errori, a meno che non ci si ribelli.
Mi domandai cosa resta di noi nei luoghi che amiamo, cosa sopravvive di tutti i baci, le confessioni, la gioia, perchè da qualche parte la nostra vita deve pur rimanere, no? Sarebbe uno spreco tale, se morisse insieme a noi. Il fatto è che niente muore davvero, nei luoghi.
Anche se dopo la realtà si è rivelata non all'altezza, però non si può lasciare mai, un sogno.
Devi studiare, ti devi laureare e prenderti sia pure il resto di tutti i resti di felicità.
Da tempo mi sono arresa a me stessa, e concessa la libertà di non piacere.
Più di una decina di anni fa, una persona mi aveva detto che la letteratura avrebbe fatto presto il suo tempo, perchè cosa te ne fai di un libro se hai la vita degli altri visibile e a portata di mano?
Altri veri, mica immaginari, che conosci e ti sembra di poter spiare da vicino. Puoi invidiare la collezione di momenti felici che mostrano, impegnarti a fabbricarne una altrettanto invidiabile, chiuderti in una stanza e scattarti foto da sola, scrivere lettere d'amore a te stessa. Sono certa che quella persona avesse ragione, però, vedete...nè lei nè nessuno riuscirà mai a convincermi che le foto su internet delle mie vicine di casa siano più interessanti di tutti i giorni, mesi e anni della loro vita in cui non sembrano niente, non vogliono assomigliare a nessuno nè vincere nulla. Perchè quelle immagini io non le riesco ad amare, ma la presenza i quelle persone, la loro verità, sì.
Siccome io ci sono già passata e conosco le disastrose conseguenze di un'amicizia sbagliata, vorrei evitarle a mio figlio. Ma non si vive e non si cresce senza passare attraverso un'amicizia sbagliata.
Ricordiamoci che il caldo abbraccio della letteratura è pur sempre una droga.
Mi sono chiesta se un silenzio possa costruire una notizia, la più importante.
Quanta menzogna e quanto sortilegio ci sono nell'atto stesso di raccontarci, scrivendo e fotografandoci. E quanto dolore indichi sdoppiarci, guardarci da fuori, come un'obiettività anche minima sia impossibile.
Ho difeso bene la mia esistenza che, sarà pure normale e scialba, ma ci ho messo parecchia fatica a costruirla.
Tutti quei libri che abbiamo letto devono pur migliorarci la vita.
Lo vedo, sono stanchi. Stanchi di cosa, se non lavorano e non mettono neanche troppo in ordine? Credo di alzarsi al mattino, di vivere questi giorni.
Possibile, mi chiedo, che il meglio sia già passato? Che abbia un figlio adolescente che tra poco andrà per la sua strada, e rimarrò a casa sola la sera a pensare a un amore chiuso nel 2006, a un'amicizia perduta nello stesso anno, alle poesie e ai romanzi che non ho scritto, con una carriera di ripiego che chissà se avanzerà mai?
Non è stata colpa tu, penso anni dopo. E nemmeno mia. Non è stata colpa di nessuno se eravamo così sole.
Siamo tre stranieri che si sono intralciati, fatti del male, ma siamo qui adesso e mi rendo conto che non abbiamo niente da perdonarci. Lo decido io cosa conta di più, alla fine, dentro questa storia. E conta il bene che ci siamo dati.
Mi prometto che non giudicherò mai più nessuno dall'apparenza, non prima di aver ascoltato tutta la storia.
Basta fingere. Chi è che ha recitato di più fra noi due in questi anni? Non me ne importa, non è una gara.
Non sono mai diventata una scrittrice, è vero Ma, forse, lo sai? Forse qualcosa ho scritto. Romanzo è una parola grossa. Diciamo che mi sono sfogata, questo sì, e che scrivere è stata una liberazione.
Maledico questo discorso della moda perchè a me gli abiti non mi svelano e non mi spiegano. Io dovrei solo scrivermi, ecco, non svestirmi.
La bellezza è una menzogna che non dà scampo.
Vorrei dirti che tutti abbiamo paura delle novità, ma mi mordo le labbra. Perchè in effetti io ci spero, ogni primo gennaio, di cambiare. E che il futuro sia migliore del passato. Di non assomigliarmi più.
Tu cosa vuoi? Non cosa pensi che si aspettino gli altri da te, come ti piacerebbe essere giudicata. Ma tu, nella vita, cosa desideri?
Lo deciderai col tempo, no? Chi sei. Puoi procedere per tentativi ed errori, sbagliare come sbagliano tutti. Puoi cambiare idea, rimetterti in discussione.
Chi siamo è infinitamente più interessante e commovente di quel che vorremmo a tutti i costi sembrare.
Tutto quello che avevamo vissuto fin qui era solo una delle amicizie possibili. Una declinazione acerba e per giunta zeppa di errori. Ma potevamo sperimentarne altre.
L'unica cosa che abbia il potere di restare e di durare, alla fine, sono le parole con dentro un significato. Non c'è altro modo di trattenere la vita. Ma la vita, ha davvero bisogno di essere raccontata, per esistere?
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