LA TRAMA:
Hektor è un artista di candele.
La sua bottega in Via dei Martiri pare un luogo di culto,a volte tetro,a volte luminoso.
I suoi clienti non sono acquirenti qualsiasi,sono anime.
Nel covo del candelaio si illuminano vite e zone oscure,si raccontano solitudini e speranze.
A far luce sulle verità c'è Hektor,abbandonato da piccolo alla cura dei nonni.
E c'è il suo gemello mai nato:la malattia.
Hektor è un borderline.
O bianco o nero.
Come l'arte delle sue candele.
Tra "Carne" (i clienti,il presente) e "Ricordo" (il passato,la malattia) giunge zia Sara,una psicologa con un passato da farsi perdonare.
Attraverso i clienti della bottega,conoscerà Hektor e la sua malattia,tentando di ricucire una ferita lunga una vita.
IL MIO GIUDIZIO:
Come ho già detto precedentemente,conosco Tommaso grazie alla comune passione per Rino Gaetano (che,guarda caso,in quest'opera viene citato 2 volte! :) ).
Ci eravamo sentiti dopo che avevo terminato "L'abito non fa il morto" e,quando gli ho accennato il fatto che mi sarei cimentata con "Metà carne,metà ricordo" mi ha risposto dicendomi che mi sarebbe sembrato di leggere tutto un altro autore.
E in effetti....
Inizialmente,l'idea che mi ha dato è quella di un trip mentale pazzesco:
un protagonista che non si capisce se sia umano o se sia un'entità sovrannaturale;
dei comprimari dai soprannomi abbastanza inquietanti (Rigormortis,Piegapiaghe,Mezzo Piede) che,più che personaggi sono,come li definisce l'autore,delle "anime":
non hanno un volto ben definito,ma solo una caratterizzazione psicologica,
oltre che una situazione personale alquanto complessa.
Ma tutti quanti hanno qualcosa in comune,fra loro e con il protagonista stesso:
hanno subito,o temono,un abbandono.
Facciamo quindi la conoscenza con il fioraio (di cui non scopriremo mai il vero nome..la sua attività è diventata il suo nome stesso),
con il vezzo di annusare le persone e paragonarle a una pianta,
innamorato non più corrisposto di Amelia;
Rigormortis e la sua inseparabile bicicletta,
con un passato da trombettista per volere del padre,quando,in realtà,la sua vera passione è sempre stata quella di suonare i piatti.
Poi conosciamo Mezzo Piede,claudicante alla ricerca del suo malleolo mancante,
che il fedele cane Argo avrebbe sotterrato da qualche parte,non si sa dove.
E conosciamo il Piegapiaghe,con sempre indosso un camice da medico,
in balia della ricca moglie che lo mantiene economicamente,
ma i suoi sentimenti non sono rivolti a lei ma a ben altra persona.
Nome di battesimo: Ignazio,soprannominato "Piegapiaghe" dalla consorte perchè "con panni di carne riversa le ferite all'interno,le avvolge su se stesso e le mette da parte".
E poi c'è Christine,detta Pierrot,signora francese che ha fondato un istituto di previdenza per piccoli orfani e ha nell'armadio un maglione in ricordo di ogni bimbo che ha trovato una famiglia adottiva,abbandonando la struttura.
Una donna forte e fragile allo stesso tempo,che,negli anni, è arrivata ad instaurare con Hektor un rapporto di gran lunga più profondo di una semplice relazione "cliente/venditore".
E poi ci sono altri personaggi "secondari" ma non per questo meno importanti:
i nonni materni,Franco e Marta,che hanno accudito il piccolo Hektor nei primi anni della sua vita e la loro figlia, la zia Sara,di professione psicologa,che si è trasferita dal casolare di famiglia a Roma,
dove si è sposata con Antonio ed è diventata mamma di Agostino.
In un alternarsi fra passato e presente,piano piano,la trama prende forma e molti dubbi e perplessità
(che,lo ammetto,mi hanno portato più di una volta a tornare indietro di diverse pagine per rileggere alcuni passaggi e assicurarmi di aver capito bene) si dipanano,
fino alla rivelazione finale,dove tutto diventa,se non logico,almeno chiaro.
Non posso però non soffermarmi sul protagonista di questa vicenda.
Forse, in assoluto,uno dei personaggi più complessi e controversi con cui mi sia mai cimentata in tanti anni da lettrice accanita.
Una personalità particolare che,per tanti versi,ho sentito simile a me:
uno tipo strano,un outsider, "una stanza sottosopra,il ripostiglio nel quale sottacevano mille scuse e tante verità".
Già il nome,Hektor,sta a rimarcare la sua diversità:
non un nome diffuso e comune,bensì un nome straniero,come straniero si sente lui,nei confronti degli altri e della vita.
Grazie a nonna Marta,quando è poco più che bambino,scopre la passione per la creazione di candele che diventeranno,letteralmente, la sua via di fuga.
Le candele saranno le sue figlie,partorite dalla sua mente e plasmate dalle sue mani:
Hektor "crea strutture su misura,parallele allo stato d'animo".
La candela come metafora di anima,l'anima delle persone che si recano nella sua bottega,covo ora luminoso,ora cupo,dove si svolge la quasi totalità della sua esistenza.
La candela,che può in un attimo portare una piccola luce dove prima c'era il buio ma,basta un soffio,e sei di nuovo nelle tenebre.
Una vita difficile,la vita di Hektor.
Messo al mondo e subito abbandonato dai suoi genitori,fa i conti ogni giorno con il suo perenne senso di inadeguatezza e alienazione:
"Non sei il frutto migliore,sei un frutto unico.Il tuo posto non è qui.Il tuo posto è oltre ogni confine e pezzo di terra,perchè nessuno ti ha coltivato".
A ciò si aggiunge una mancanza che si porta dentro ma a cui non sa e non riesce a dare un nome.
Per gli altri è un malato,un instabile,un "borderline",come viene comunemente definita una personalità del genere:
un asociale,un dissociato "al limite"...della psicosi,della schizofrenia,della depressione.
In realtà,per come la vedo io,Hektor ha una sensibilità fuori dell'ordinario, un'intelligenza vivida e molto senso critico.
Si crea una realtà nella sua "tana",la bottega in cui svolge la sua attività di candelaio,e si prefigge lo scopo di alleviare il dolore e la solitudine dei derelitti :
"Aveva trovato la risposta.Consolazione divenne fede,la certezza che nessuno al mondo avrebbe preso le difese degli ultimi,tranne lui.E avrebbe offerto agli abbandonati l'occasione del riscatto".
(Il paragone con Fabrizio De Andrè mi è venuto spontaneo,leggendo queste parole!).
Hektor si ciba del vuoto che c'è nelle anime altrui,in modo da riempire il suo vuoto con il vuoto degli altri.
Un personaggio davvero oscuro,dalle mille sfaccettature,con cui non è facile rapportarsi ma di notevole levatura morale.
Il finale mi ha letteralmente lasciato senza parole.
Non perchè mi sia giunto inaspettato....scorrendo la trama qualcosa avevo intuito.
Ma quanto ti trovi nero su bianco (tanto per restare in tema di borderline!) un fatto particolare,
con cui è difficile fare i conti ,che hai vissuto in prima persona...
e soprattutto quando le stesse parole che ti frullano in testa da anni te le vedi,pari pari,riportate fra le pagine di un romanzo....
allora è davvero difficile non restare se non straniti,quanto meno scossi.
Ho terminato il romanzo nel pomeriggio e,da allora,il mio compagno non fa che chiedermi cosa ho e cos'è che mi preoccupa,perchè mi vede pensierosa.
Sono un libro aperto,purtroppo,non riesco a nascondere niente....ma certe esperienze è davvero difficile riuscire a raccontarle,figuriamoci a viverle.
E pensare che qualcuno le ha invece messe per iscritto,esprimendo perfettamente quello che sento,
beh...un pò mi emoziona!
A questo punto,non posso che dar ragione a Tommaso:
mi è davvero sembrato di leggere un altro autore (e sì che i suoi romanzi precedenti mi sono piaciuti tutti tantissimo!).
Con "Metà carne,metà ricordo" ha davvero fatto un salto di qualità:
una scrittura molto più matura,analitica e introspettiva.
In un mondo dove spazzatura del tipo "50 sfumature di....grigio,nero,bianco rosso e Verdone" diventano dei best seller internazionali,vorrei che chi merita avesse il successo che gli è dovuto.
Complimenti,veramente!
IL MIO VOTO: Romanzo intenso ed introspettivo,ne consiglierei la lettura davvero a tutti,ma mi rendo conto che non tutti saprebbero capirlo e apprezzarlo.
E allora,come dice anche l'autore,meglio essere un autore di nicchia,che uno scrittore da cioccolatini per San Valentino!
* ECCELLENTE! *
LO SCRITTORE:
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