venerdì 10 aprile 2020

"Che paese, l'America!" Frank McCourt (1999)



LA TRAMA:
Dopo aver raccontato, ne 'Le ceneri di Angela" la sua infanzia come il più atroce e ilare dei mondi possibili, McCourt ci trasporta nell'America del secondo dopoguerra.
Precisamente in una New York proletaria, dove fra case di mattoni rossi, pub di emigrati irlandesi e banchine ingombre di merci, Frankie si trova a percorrere, passo passo, un faticosissimo apprendistato.

IL MIO GIUDIZIO:


Con questo secondo romanzo, in cui ci racconta altri stralci della sua vita, 
(adesso è la volta della maturità), 
questo vecchietto dai capelli candidi e l'espressione timida ma scanzonata allo stesso tempo, 
entra di diritto fra i miei autori del cuore.

"Le ceneri di Angela" (sua opera precedente) termina proprio con l'arrivo di Frank a New York che, appena sbarcato, prende parte a una festa e ha una fugace avventura con una bionda americana, mentre il marito è fuori per una battuta di caccia.
Ma, di questo simpatico "intermezzo", non vi è traccia nel nuovo libro.

Siamo a fine anni '40.
Frank, ormai diciannovenne, con i denti marci e le cispe agli occhi, munito di una valigia di cartone, da buon emigrante che si rispetti, dopo una traversata di qualche settimana, arriva in America.
Dopo una prima, turbolenta, nottata, trascorsa, suo malgrado, nella stanza d'albergo con un prete poco religioso ma molto incline all'alcool e dalle tendenze omosessuali, prende alloggio in una stanzetta (scarsamente) ammobiliata e viene assunto come inserviente (ovvero spazza l'atrio e svuota i posaceneri) di un hotel di lusso.

Da qui, pagina dopo pagina, anno dopo anno, lo vediamo prima alle prese con la vita da militare, quando viene chiamato alle armi a causa della guerra in Corea, poi nei vari lavori in cui si impiega (da scaricatore di porto a impiegato bancario sezione prestiti), fino a quando decide (con il sogno di diventare scrittore), di frequentare l'università (facoltà Lettere e Magistero) e inizia poi l'attività che svolgerà per quasi trent'anni, quella di professore di scuola superiore; anche se, inizialmente, a causa del suo carattere mite, accondiscendente e poco autoritario, si trova un po'in difficoltà a dover gestire una masnada di adolescenti irruenti e irrequieti.
Ma, col passare del tempo, sa farsi benvolere, adottando con loro un metodo di insegnamento anticonformista, alla professor Keating  de "L'attimo fuggente" (ad esempio, al posto dei libri di testo inclusi nel programma, farà leggere ai ragazzi "Il giovane Holden", prendendosi una lavata di capo dal preside che reputa quel romanzo troppo peccaminoso e scurrile).
Questi aneddoti sulla sua vita scolastica sono il preludio a quello che sarà il suo terzo romanzo "Hey, prof!".

Oltre, ovviamente, ai genitori e ai fratelli Malachy, Micheal ed Alphie, ritroviamo anche, durante un breve soggiorno dell'autore a Limerick, tutti i personaggi che abbiamo già conosciuto ne "Le ceneri di Angela": l'Abate, fratello "scemo" di sua madre, che ha battuto la testa da piccolo e vive nella sporcizia e in un mondo tutto suo; zia Aggie, sorella di sua madre e suo marito, il buffo zio Pa Keating, più i vari vicini di casa.
C'è un breve accenno anche alla signora Finucane, la strozzina per cui, da ragazzino, scriveva lettere minatorie destinate ai suoi creditori e alla quale, trovandola un giorno morta in poltrona, aveva sottratto parte dei suoi averi per pagarsi il biglietto per l'America, non prima di aver fatto sparire il libro nero dei cattivi pagatori, onde evitare ripercussioni sugli stessi da parte di eventuali eredi.

Facciamo poi la conoscenza con nuovi personaggi che gravitano attorno a Frank, a partire da Alberta Small (detta Mike), che diventerà la sua prima moglie nonché madre di sua figlia Maggie (il vero grande amore della sua vita), passando per i commilitoni ai tempi del servizio di leva e i colleghi di lavoro, fino ad arrivare ai proprietari delle abitazioni in cui vive, ai vicini di casa o anche ai semplici conoscenti, tutti descritti al contempo con frizzante sagacia e poetico lirismo, mettendone in risalto le loro particolarità, le loro manie e le loro idiosincrasie.

Aldilà delle vicende narrate in questo romanzo, tutte assolutamente spassose, vorrei soffermarmi proprio sulla figura di Frank su cui c'è davvero tanto da dire.
Come accennavo prima, mi sono follemente innamorata di questo scrittore, scoperto totalmente per caso (per serendipità, oserei dire) che nutre un profondo amore per la lettura, per l'ironia che lo contraddistingue, per l'innata capacità di rendere comico qualsiasi evento, anche quello più tragico, sapendo 
però aggiungere, dove serve, un tocco di poesia; per la sua spiccata sensibilità d'animo ed empatia e per la sua  introspezione che, se da un lato lo portano a dissacrare la realtà che lo circonda, dall'altra gli consentono di fare profonde riflessioni, talvolta al limite del paranoico (le "nuvole nere", come le chiama lui).
Toccante è la scena in cui, durante il periodo del militare, trovandosi a compiere una missione al campo di concentramento di Dachau, mentre tutti mangiano con gusto il gulasch davanti ai forni crematori ormai (fortunatamente) in disuso ma ancora aperti, gli si chiude lo stomaco e rifiuta con disgusto il piatto, pensando che, da quel momento in poi, non riuscirà mai più ad assaggiare il gulasch perché gli riporterà alla mente l'orrore dei forni crematori.

McCourt ha il raro dono di farci comprendere quanto speciale possa essere la semplicità, quanta bellezza vi sia nella genuinità, quanto sia importante saper sdrammatizzare e prendere le cose con leggerezza (che, attenzione, non vuol dire superficialità), ma, soprattutto, ci mostra che non è davvero mai troppo tardi per realizzare i propri sogni.
Lui, fin da bambino, avrebbe voluto diventare uno scrittore famoso e, alla soglia dei 70 anni, grazie anche al supporto della sua terza moglie Ellen, ha scritto, uno dopo l'altro, tre romanzi sulla sua vita che sono entrati di diritto fra i best sellers della narrativa contemporanea.

McCourt si rivolge al lettore con un linguaggio semplice e colloquiale, molto diretto e colorito ma mai volgare, come se parlasse ad un amico, facendolo così entrare subito in sintonia con lui.
Talvolta (ed è l'unica piccola critica che gli posso rivolgere) salta un po' di palo in frasca: 

sta raccontando un evento e, all'improvviso, inizia a parlare di un altro, tralasciando il precedente ma, in ogni caso, tutto ha un suo filo logico e non  va mai a ingarbugliarsi o a perdere il senso della narrazione.
Inoltre, è capace di spendere 10 pagine per descrivere, non so, un suo vicino di casa eccentrico e bislacco e poi liquida in due righe il fatto che uno dei suo fratelli, che avevamo lasciato sposato e padre di una bambina, si è separato, si è risposato ed ha avuto altri due figli dalla nuova moglie.
Diciamo che è molto attento a determinati particolari che preferisce approfondire a discapito di altri, per lui forse meno importanti.

Anche qui, come in "Le ceneri di Angela" va fatto un plauso all'encomiabile traduzione dal testo originale all'italiano benché non abbia compreso come mai il "fare sesso" sia stato tradotto con un eccentrico "fare eccitazione".

Una riflessione a parte va fatta sul rapporto, o meglio sul modo in cui Frank vede i suoi genitori.
In "Le ceneri di Angela", narrando il periodo della sua infanzia, era stato bravo  nel sospendere il giudizio e nel raccontarci la sua verità con gli occhi di un bambino:
il padre, era sì un povero diavolo con poca voglia di lavorare, che preferiva le birre alla responsabilità di una famiglia, ma era anche il genitore amorevole, affettuoso e scherzoso che li faceva divertire cantando canzoni allegre e raccontando aneddoti divertenti.
La madre, invece, era una guerriera, la leonessa che con le unghie e con i denti, difendeva i suoi cuccioli, una donna piena di orgoglio e dignità che, nonostante le oggettive difficoltà, non si faceva abbattere e, sempre a testa alta, mandava avanti la baracca, barcamenarsi alla meno peggio.
Adesso, con la maturità di uomo adulto, può esprimere il suo vero pensiero su di loro e vederli per quello che realmente sono: il padre, un inetto ubriacone che ha lasciato nella miseria più totale una donna e i suoi  7 figli, di cui 3 morti praticamente in fasce e, con la scusa di trovare lavoro altrove, se n'è andato senza dare più notizie di sé, né un minimo di sostentamento economico.
Della madre (che, in seguito, si trasferisce a sua volta in America per stare vicina ai figli e ai nipoti), invece, poco o niente resta dell'Angela risoluta che avevamo conosciuto.
Ci troviamo adesso di fronte a una donnina piagnucolona, capricciosa, musona, criticona, insofferente, a tratti persino maleducata, che pensa solo a ingozzarsi di cibo, a fumare e a giocare a tombola.
Ma, mentre per il padre ha solo parole di biasimo, la madre, in un modo o nell'altro, tende sempre a giustificarla, tirando in ballo la vita difficile che ha dovuto vivere, i lutti che ha dovuto affrontare, la solitudine, i ricordi, i rimpianti e, più di una volta, arriva persino a mettersi in discussione, perché non riesce a rapportarsi con lei con la naturalezza con cui ci riusciva da piccolo e chiedendosi se non avesse potuto fare di più per la sua serenità.
Quella serenità che non ha mai avuto, lei promessa ballerina dalla voce suadente che avrebbe potuto ambire a successo e sfarzi e invece, per amore di uno scapestrato irlandese del nord, si è ritrovata a condurre un'esistenza di stenti e amarezze che prima le hanno fiaccato il fisico e poi l'animo, conducendola a una profonda depressione, lasciando di lei solo un tenue ricordo di quello che era stata.


Struggente il finale dal quale emerge non solo l'estrema sensibilità d'animo dell'autore (nonostante non perda la sua verve nemmeno in quel frangente) ma anche l'intrinseco significato del titolo della sua prima opera.


IL MIO VOTO:
Chi ha letto ed amato "Le ceneri di Angela" non potrà non apprezzare questo sequel dove si ride, ci si commuove e si riflette, innamorandosi sempre più, pagina dopo pagina di questo autore così vero e autentico che arriva dritto al cuore.
Assolutamente consigliato.

LO SCRITTORE:





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