lunedì 13 giugno 2016

Frasi dal libro "Nessun cactus da queste parti" di Mirko Tondi

Lei non ascolta davvero quello che voglio dirle.
Devo pensare che,magari,le interessa di più stare lì a bere e a compiangersi fino alla morte.
Sì,può darsi che sia quello che vuole,in fondo....

Non era mica facile amare uno come me,ve lo assicuro.
Nemmeno lasciarsi amare.
Per questo ho rovinato tutto.
Perchè io non volevo essere amato,ma solo compatito.
Aveva ragione in tutto e per tutto:
ci godevo a sbronzarmi,dando la colpa all'alcool,più forte di me,più forte di ogni essere umano sulla faccia della terra che ne avesse contratto il vizio letale.
E stavo lì a compiangermi inutilmente,contento di farlo e trovando pretesti per aver smesso di vivere.

Strano non significava impossibile.

Un clan sempre più esteso faceva passare i pochi onesti che rimanevano per dei patetici rappresentanti di minoranza.

Il sistema che governava era basato su un'unica ed elementare regola:
non doveva sussistere il dubbio,perchè c'era una sola verità possibile.
Cioè quella che volevano farti credere.

Nella mia vita ho aperto così tante parentesi che adesso non ricordo più quale fosse il discorso principale.

Lentamente,mi stavo spegnendo,dopo che tutti i diversivi si erano rivelati nient'altro che balle,misere storielle che raccontavo a me stesso per andare avanti.
Ero sempre più qualcosa anzichè qualcuno.
E quel qualcuno che ero stato,adesso aveva lasciato il mio corpo come un capitano codardo che tenti di  abbandonare la nave di fronte a un possibile naufragio.

In quanto a me,dopo aver toccato l'inferno,il mio inferno,ed essermi scottato ben bene,adesso stavo nella sospensione del limbo.
Un purgatorio di inutili recriminazioni e di domande senza significato nè tantomeno risposte.

Ma poi cos'era la vita se non il susseguirsi continuo di quelle fluttuanti condizioni,
un saliscendi snervante che ti faceva andare giù nell'abisso,doppio abisso,abisso degli abissi.
E poi,magari,se eri abbastanza forte o abbastanza fortunato,risalire a metà o fino in cima,addirittura,su una vetta che potevano calpestare in pochi.
Era un'altalena sadomaso,che una volta ti faceva atterrare con la faccia sul fango della tua depressione e un'altra,invece,ti faceva volare su,leggero leggero,spinto dalle idee maniacali che ti frullavano in mente.

Sapevo che non bere mi avrebbe ricondotto verso qualcosa che avevo smarrito da parecchio:me stesso.
E proprio questo mi terrorizzava.

Perchè?
Possibile essere così scemi?
Non conveniva spararsi una rivoltellata invece di ammazzarsi poco a poco?
Ognuna di quelle domande ti penetrava il cervello e si sedeva nell'anticamera della coscienza,
dove risiedevano gli spettri delle colpe e dei fallimenti che ancora non avevi materializzato.
Appena dopo,c'eri tu,un povero alcolizzato che ancora doveva capire come andava il mondo.
C'ero io.

Io ero il tuo sogno e tu il mio incubo.

L'inferno è vuoto e i demoni sono qui.

Rividi tutto quello che ero stato e anche quello che non ero stato ma avrei voluto essere.
Rividi ciò che avevo perso e ciò che avevo voluto perdere.
Non vidi niente di buono,insomma.

Brutto vivere nel terrore,vero?
Niente è peggiore di avere una vita che non è una vita.

Per quanto mi convincessi che si dovesse trattare di una puzza insopportabile,ancora per me era l'odore più dolce del mondo.

E allora succedeva che il mondo era popolato da questi delinquenti navigati e impuniti.
Mentre le carceri pullulavano di spioni di coppiette e di ladri di mele.

Erano stati chiari nella loro richiesta di evitarli come se avessero la peste.
Anzi,come se io avessi la peste.

Dappertutto spuntava lei.
Che dovevo fare per liberarmene?
Il solo fatto di esistere mi faceva incrociare continuamente segni del suo passaggio.

La fantasia poteva tirarti all'amo fin dove volesse,
che tanto poi arrivava lo squalo della realtà a mordicchiarti il culo e a dirti che sott'acqua non era mica come fuori.

Era l'ennesima dissonanza alla quale assistevo nel mondo.
Un mondo fatto di contrasti e contraddizioni,dove finivi per tirare avanti,accettando ogni stranezza e includendola nel dizionario della normalità.

Finchè non si hanno i fatti è di idee che si campa.

Alla fine credo che fossimo accomunati dalla stessa identica mancanza:
il sesso.
Era quello che cambiava gli umori e persino le vite intere,se era presente o no nelle tue giornate.

Volente o nolente riuscivo sempre a rovinare tutto.
A quanto pareva,ero in grado di dire ogni volta la cosa sbagliata,
quella che faceva incazzare gli altri e inaspriva la situazione.
Doveva esserci almeno un fondo di verità nel fatto che non fossi proprio portato per le relazioni sociali.

Un grosso e rimbombante "boh" mi risuonava nella cassa cranica.
E ancora un nugolo di domande a bombardarmi le cervella:
sarei mai riuscito a venirne a capo?

Era tutto quello che rimaneva,fra le macerie sparse della mia vita.

Certo,il caso poteva anche esistere o poteva tornare buono per sostituire altre parole più complicate e per semplificare le spiegazioni:
"Ma sì,sarà stato un caso"
"L'ho fatto per caso,non volevo..."
"Ci siamo incontrati per puro caso"

Ormai,che fossi sveglio oppure dormissi,
che i miei sogni fossero a occhi aperti oppure chiusi,
non faceva molta differenza.

Infilati nel caos e ne farai parte.

Non so usare espressione più banale,per rendere conto della banalità di ciò che provai:
un flutto di pura e semplice,sgorgante felicità.
Qualcosa che dagli occhi  scendeva giù al cuore e traboccava nella pancia.

Il calcio non era poi male come sport,ma faceva uno strano effetto alla gente.

A pensarci bene,se non fosse nato,si sarebbe risparmiato un sacco di sofferenze.

Ma questa è una storia piena di colpi di scena,cari miei,e non s'intende la scena di un teatro,purtroppo.
Era la realtà.
La mia balorda realtà.

In questo mio navigare confuso,
tutti sembravano chi non erano.
Oppure erano chi non sembravano.

Non ho mai voluto che tu cambiassi.
Semmai che rimanessi com'eri all'inizio...


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