giovedì 7 maggio 2015
"A un cerbiatto somiglia il mio amore" -Ishà borachat mibsorà- David Grossman (2008)
LA TRAMA:
Isreale.
Guerra dei Sei Giorni.
Avram,Orah e Ilan,sedicenni,sono ricoverati nel reparto di isolamento di un piccolo ospedale di Gerusalemme.
Il conflitto infuria e nelle lunghe e buie ore del coprifuoco i 3 ragazzi si uniscono in un'amicizia che si trasformerà,molto tempo dopo,nell'amore e nel matrimonio tra Orah e Ilan.
A distanza di parecchi anni da quel primo incontro,Orah è una donna separata,madre di 2 figli:
Adam e Ofer.
Quest'ultimo sta svolgendo il servizio di leva,accetta di partecipare a un'incursione in Cisgiordania,nonostante siano ormai i suoi ultimi giorni di ferma.
Orah,che aveva progettato una gita con il figlio,decide di partire lo stesso.
Non riesce,infatti,a vincere un oscuro presentimento che si agita dentro di lei,e d'altra parte non resiste all'idea di trascorrere altro tempo con l'incubo di essere svegliata nel cuore della notte,come da protocollo dell'esercito israeliano, e ricevere la notizia di una disgrazia.
Orah,tuttavia,non parte da sola.
L'accompagnerà Avram,l'amico degli anni di gioventù,che reca nel corpo e nell'anima le cicatrici profonde dell'incessante conflitto che lacera Israele.
Con lui Orah inizia un viaggio che diventerà via via occasione di riflessione,rimpianto,ma anche di gioia e di tenera rievocazione.
Fino a che arriverà il momento di tornare a fare i conti con la vita e con il presente che,tutt'intorno,preme inesorabile.
Illustrandoci il dramma di una madre e di una nazione,Grossman torna al suo pubblico con un romanzo mirabile che,pagina dopo pagina,si rivela una riflessione lucida e implacabile sul diaframma che divide vita e narrazione.
Un testo in cui la forza della grande letteratura trova nuovo slancio nella verità del dramma personale di uno scrittore che,suo malgrado e per destino,ormai è un simbolo.
IL MIO GIUDIZIO:
Ancora con addosso la delusione per non essere riuscita a portare a termine "Vedi alla voce:amore",
mi sono accinta alla lettura di questa "breve" opera (giusto quelle,poche,800 pagine!!!),
il cui titolo da sempre mi incuriosiva.
Per completarlo mi ci sono volute 2 settimane,per me praticamente un record storico,surclassato solo da "L'idiota" di Dostoevskij.
Non c'è niente da dire:
Grossman è un autore che spacca.
Spacca nel senso che sa essere più pesante dell'uranio impoverito,con il suo stile oltremodo analitico e cervellotico, "deliziosamente insopportabile",come lo ha definito un mio amico di Facebook.
Ma anche perchè la sua scrittura è davvero un coltello che ti squarcia l'anima e ti porta via il cuore,giusto per parafrasare un altro suo capolavoro.
Il romanzo si apre con una dedica a suo figlio Uri,caduto,a soli 21 anni,durante la guerra in Libano,nel 2006.
E proprio sul tema della morte è incentrata quasi tutta la narrazione.
Così come in "Caduto fuori dal tempo",un padre parte per andare "laggiù" a cercare il figlio deceduto,
qui è la protagonista,Orah,che si mette in viaggio per scappare da chi potrebbe portarle la notizia della morte del suo Ofer,arruolatosi volontario per una spedizione in Cisgiordania.
Come se,andandosene,scappasse dall'ansia di una tragica attesa che le attanaglia l'anima oppure come se,non facendosi trovare in casa al momento della "notifica",annullasse,di fatto,la disgrazia.
Infatti,il significato del titolo originale dell'opera è proprio "Donna in fuga dalla notizia".
Ma la sua fuga può anche essere intesa in senso scaramantico,come una sorta di voto che mette in atto per proteggere l'incolumità di suo figlio.
In realtà,questo viaggio,avrebbe dovuto farlo insieme a Ofer (nome che,in ebraico,significa "cerbiatto",da cui l'origine del titolo nella versione italiana,tratto da un verso del "Cantico dei Cantici").
Però,a causa della sua defezione,decide di portare con sè Avram,ex prigioniero della guerra nel Kippur ed amico di una vita che aveva conosciuto quando,sedicenne,era stata ricoverata in ospedale in quarantena.
Inizialmente,fra i 2 era sbocciata un'attrazione che si era trasformata in un passionale amore ma poi gli aveva preferito il suo migliore amico Ilan,adesso suo ex marito.
Durante questa "bolla temporale" Orah ragguaglierà Avram su tutto ciò che è successo nei diversi anni in cui non si sono frequentati e soprattutto gli parlerà di Ofer,a cui egli è in qualche modo indissolubilmente legato,pur non avendolo mai visto di persona.
In realtà,più che un vero e proprio dialogo,è un monologo di pensieri in libertà perchè Orah è convinta che,fino a quando parlerà di suo figlio,egli sarà salvaguardato da ogni possibile pericolo.
E,come si evince dalla postilla finale scritta dall'autore,per lui,questo romanzo,ha avuto la stessa valenza dei pensieri di Orah.
Iniziatolo nel 2003,lo ha procrastinato per anni,come se la stesura dell'opera fosse una sorta di talismano che avrebbe protetto il suo Uri ma,purtroppo,così non è stato.
Non si sa quale finale Grossman avesse originariamente in testa però,quasi sicuramente,il grave lutto che lo ha colpito lo ha portato a propendere per l'epilogo che poi ha scelto.
Epilogo che per ovvie ragioni non svelerò e che,se da un lato lascia perplessi,dall'altro fa ben intuire quale sia la motivazione che lo ha spinto in questa direzione.
Anche in questo componimento emerge l'enorme stima che l'autore ha per il mondo femminile.
Il personaggio di Orah,protagonista indiscussa della storia,appare infatti come un'indomita guerriera,ribelle,caparbia e anticonformista ma anche estremamente materna e pronta a tutto pur di difendere i suoi "cuccioli".
Lo stile narrativo è evocativo e poetico,a tratti ironico ed erotico,sicuramente molto crudo e diretto:
ci sono alcune scene agghiaccianti di inaudita violenza e forte impatto emotivo che vengono descritte minuziosamente fin nei minimi dettagli e sono dei veri e propri pugni allo stomaco che,una volta "presi",è difficile dimenticare,per lo strazio che ti lasciano dentro.
L'unico difetto di Grossman è l'eccessiva prolissità.
Soprattutto nell'ultima parte del libro ha raccontato con dovizia di particolari eventi assolutamente ininfluenti al fine della trama, che rischiano soltanto di appesantire la narrazione e rendono difficile,faticosa e dispersiva la lettura.
In ogni caso,lo stile di Grossman,se si riesce a comprenderlo ed apprezzarlo,è uno stile che cattura ed affascina.
"A un cerbiatto somiglia il mio amore" pur nella sua complessità,dà modo di comprendere meglio il conflitto arabo-israeliano (la cosiddetta "questione palestinese") ed è un romanzo che,una volta letto,si non si dimenticherà facilmente.
Perchè Grossman è così: tosto ma indimenticabile.
IL MIO VOTO:
Complesso ma intenso.
Ne consiglio la lettura ma non a chi si accinge a cimentarsi con l'autore per la prima volta.
In tal caso l'impatto sarebbe sicuramente ostico e troppo pesante.
* MOLTO BUONO *
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