martedì 6 gennaio 2015
"Applausi a scena vuota" - Suss echad nichnass lebar - David Grossman (2014)
LA TRAMA:
Il palcoscenico è deserto.
Il grido echeggia da dietro le quinte.
Il pubblico in sala a poco a poco si zittisce.
Un uomo con gli occhiali,di bassa statura e di corporatura esile,piomba sul palco da un porta laterale.
Signore e Signori,un bell'applauso a Dova'le G.!
C'è qualcosa di strano nella serata.
Tra le sedie c'è un intruso,trascinato fino a quella cittadina poco raccomandabile da una telefonata inattesa:
è l'onorevole giudice Avishai Lazar,amico d'infanzia di Dova'le.
Deve giudicare la vita intera di quello che,lo ricorda solo ora,era un ragazzino macilento e incredibilmente vivace,con l'abitudine stramba di camminare sulle mani.
Dova'le sul palco si mette a nudo,e imprigiona la sala nella terribile tentazione di sbirciare nell'inferno di qualcun altro.
Nella storia di un bambino che camminava a testa in giù e da quella posizione riusciva ad affrontare il mondo.
Un ragazzino che al campeggio paramilitare viene raggiunto dalla notizia della morte di un genitore e deve partire per arrivare in tempo al funerale.
Ma chi è morto?
Nessuno ha avuto il coraggio di dirglielo,o forse lui non ha compreso.
Il giovane Dova'le ha un viaggio intero nel deserto per torturarsi con l'angoscia di un calcolo oscuro che gli avvelena la testa:mio padre o mia madre?
Ora eccolo,quel ragazzino,ancora impigliato nell'estremo tentativo di venire a capo di quella giornata lontana,ancora incapace di camminare dritto.
Dal fondo del palcoscenico Dova'le scocca il suo sorriso più smagliante ed è pronto a consegnare al pubblico,all'onorevole giudice,tutto quello che ha:
lo spettacolo della sua storia.
IL MIO GIUDIZIO:
Grossman è un autore particolare,complesso,sicuramente non alla portata di tutti e da molti definito noioso e pedante.
Io,invece,lo apprezzo tantissimo.
Mi piace la sua profonda introspezione,velata di malinconia e,non a caso,il suo "Che tu sia per me il coltello" è in assoluto una delle migliori opere che abbia mai letto.
Di "Applausi a scena vuota",ancor prima di iniziarlo,mi ha colpito soprattutto un dettaglio:
la particolare caratteristica del protagonista Dova'le di camminare sulle mani.
Può sembrare strano,ma uno dei miei sogni (incubi?) più ricorrenti è proprio quello di camminare a testa in giù,facendo capriole in aria.
Sogno da cui,immancabilmente,mi sveglio con una sensazione di ansia e angoscia.
Ero quindi curiosa di scoprire che significato dia lo scrittore al camminare capovolti:
vuol simboleggiare il senso di precarietà e inadeguatezza del diverso che non è accettato dalla società?
Oppure proprio il privilegio di chi,non conformandosi alla massa,vede le cose da un'altra prospettiva?
Inoltre, Dova'le è un attore comico, lo stesso mestiere di una persona che è stata per me croce e delizia in un particolare periodo della mia vita...
Categoria,quindi,che non mi sarà mai del tutto indifferente e ciò è stato sicuramente un incentivo alla lettura,un modo per sentirmi ancora vicino a quel qualcuno di cui sopra.
Infine,il titolo mi ha da subito incuriosito non poco.
In 4 parole, ha riassunto la mia personale esperienza:
applaudire al nulla ed entusiasmarsi per una presenza che,di fatto,presente non è.
O,almeno,questa è l'interpretazione che gli ho dato di primo acchito,ancora prima di cominciare il romanzo.
La narrazione si sviluppa su 2 punti di vista:
da una parte quello di Dova'le che,sul palco,fra uno sketch e una battuta,diventa lui stesso una barzelletta;
ironizza sulla sua goffaggine,sulle sue stranezze e diversità che lo hanno reso un emarginato zimbello dei compagni di scuola e racconta la propria vita,soffermandosi soprattutto sul triste evento della morte di uno dei suoi genitori.
Dall'altra il giudice,suo amico d'infanzia, Avishai Lazar, che,su richiesta dello stesso Dova'le, deve assistere allo spettacolo per poi riferirgli le sue impressioni.
Un pò come succede in "Che tu sia per me il coltello",quindi,Lazar diventa simbolicamente il "coltello" con cui Dova'le scandaglierà tutta la sua esistenza.
Un padre sempre in qualche faccenda affaccendato,che alterna momenti di tenerezza ad altri di inaudita violenza.
Una madre,scampata ai Lager nazisti ma con mente e anima completamente ottenebrati dalle barbarie subite in quel periodo.
All'improvviso uno dei 2 muore,proprio mentre il protagonista,all'epoca quattordicenne,si trova in un campeggio paramilitare.
Ma chi dei 2?
Per crudeltà,o forse solo per negligenza e distrazione,non gli viene detto.
E Dova'le deve affrontare il viaggio di ritorno a casa,per assistere al funerale,con questo tarlo.
La mamma? Il babbo?
Il babbo? La mamma?
La mamma o il babbo?
Il babbo o la mamma?
Come una pallina da ping pong impazzita,questo interrogativo gli rimbomba senza sosta nel cervello.
Allora,forse,ciò che veramente distrugge,non è soltanto il dolore per la certezza di aver perso una persona cara,ma anche e soprattutto, il non sapere,l'attesa di conoscere la verità,quella sorta di limbo in cui è stato,contro la sua volontà,costretto.
"A chi vuoi più bene,alla mamma o al papà?" è la domanda (idiota) che spesso viene posta ai bambini.
Allo stesso modo,il piccolo Dova'le si sente obbligato,dentro di sè,all'ingrato e atroce compito di scegliere chi,fra i suoi genitori,preferirebbe fosse morto.
Scelta,con conseguente senso di colpa,che da quel momento non lo abbandonerà più per il resto della sua vita e che lo porterà,una volta giunto a destinazione,a credere (ovviamente a torto) che il genitore superstite abbia intuito i suoi pensieri e gliene faccia una colpa.
"In un secondo ha capito tutto quello che avevo fatto durante il viaggio,tutti i miei calcoli schifosi.Me li ha letti in faccia e sono sicuro che mi ha abbia maledetto perchè ha lanciato un urlo come non ho mai sentito da nessun altro essere umano".
Anche in questo romanzo si riscontrano i temi ricorrenti di quasi tutte le opere di Grossman:
la guerra,la questione palestinese,la Shoah ,la morte di una persona amata,il senso di solitudine e alienazione,l'analisi interiore e l'attenzione al dettaglio...
Il tutto narrato con quel tocco poetico e a tratti onirico che lo contraddistingue e che arriva dritto al cuore di chi lo sa comprendere.
Però,a differenza,ad esempio, di "Caduto fuori dal tempo",
dove ogni singola parola trasuda disperazione e angoscia,
qui il doloroso racconto è intervallato da freddure e barzellette...il che,se da un lato rende tutto abbastanza grottesco,dall'altro enfatizza ancora di più la sofferenza provata dal protagonista.
L'umorismo di Dova'le è un umorismo amaro,cinico,crudo,sarcastico e dissacrante.
Lui si rende benissimo conto del tipo di pubblico che ha di fronte:
un pubblico superficiale,approssimativo e frivolo,
che ricerca solo la leggerezza e la battuta fine a se stessa e che non è assolutamente interessato a conoscere i tristi risvolti della sua vita,se non quel tanto che è dato dalla tentazione di "sbirciare nell'inferno di qualcuno".
"Vogliamo ridere con le barzellette!Dove sono le barzellette? Che sono 'ste fregnacce?"
"Ne ho abbastanza!La sopportazione ha un limite!Uno viene qui per divertirsi,per dimenticare i guai durante il fine settimana e si ritrova in pieno Yom Kippur!"
E in molti,sdegnati,abbandonano la sala prima del termine dello spettacolo.
Ma Dova'le non se ne cura...anzi,a suo modo li prende anche in giro,tracciando un segno,su una lavagnetta presente al centro del palco,per ogni persona che se ne va.
Solo in pochi rimangono fino alla fine.
E solo a loro,che hanno saputo vedere oltre il personaggio, è riservato l'onore di scoprire il vero volto del Dova'le uomo.
Anche io,a suo tempo,sono stata più interessata a conoscere la persona piuttosto che il personaggio,ma nel mio caso,evidentemente,la cosa non era gradita.
Dova'le,invece,gravemente malato e ormai vicino alla fine,nel suo intimo sa che quello sarà il suo ultimo spettacolo,in tutti i sensi:
"E' tutto quello che ho da darvi,gente.Niente più Dova'le per oggi.E nemmeno per domani.Lo spettacolo è finito".
Per questo ci tiene che "rimanga qualcosa di lui,come la segatura dopo il taglio di un albero"...
e che rimanga alle persone giuste,quelle in grado di apprezzare e capire.
A differenza di altri autori,che sono capaci di scrivere un romanzo in poche settimane,
Grossman ha impiegato quasi un anno e mezzo per completare la stesura di "Applausi a scena vuota".
Mi sembra di vederlo,chino alla scrivania,davanti al pc,che lima la sua opera,
soppesa ogni parola,cura ogni dettaglio,se la culla come se fosse un figlio...
quel figlio che la guerra in Libano,troppo presto gli ha portato via.
Mi chiedo cosa aspettino a candidarlo,ma soprattutto a ossequiarlo,con un Nobel per la Letteratura.
Se non a lui...a chi?
IL MIO VOTO:
Ironico e dissacrante
Crudo e intenso.
Straziante e poetico.
Cinico e sensibile.
Grossman è questo e molto altro ancora.
Consigliato,stra-consigliato....ma solo a chi ama analizzare i dettagli e tutto in profondità.
* MOLTO BUONO *
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