lunedì 1 giugno 2020

La settimana dell'autore: Tommaso Occhiogrosso







Nome 
Tommaso Occhiogrosso

Data di nascita
21 Luglio 1978

Città di nascita
Bari

Città di residenza
Bitetto (Ba)


Come è nata la tua passione per la scrittura?
Sin da piccolo scarabocchiavo quaderni con storie o recite da proporre in casa ai miei genitori.
Era un gioco, è vero, ma con il passare degli anni è diventata una sana curiosità, voglia di mettermi in discussione.
Così è nato il mio primo romanzo “Ad un passo da me”: una sfida con me stesso in cui ho messo a confronto gli aspetti coerenti e contraddittori del mio “universo”. 
Da quel momento in poi ho capito che tutto ciò mi faceva bene. 
Sì, una sorta di terapia: guardarmi dentro e dar forma ai personaggi ha prodotto inevitabili percorsi di vita, situazioni parallele e metaforiche in cui i protagonisti esprimevano i miei reali bisogni e desideri.

Un autore che è un po' il tuo mentore, il tuo maestro?
Ammiro tanti autori e preferisco leggerli senza una particolare lente d’ingrandimento: ho sempre il timore di accostarmi troppo al loro stile e snaturare il mio. 
Piuttosto cerco di leggere oltre le righe e imparare i segreti del mestiere.


Primo libro letto
Le avventure di Tom Sawyer, regalo di Natale, credo a sei anni. 
Avere tra le mani quel libro illustrato dai caratteri enormi, mi sembrava un tesoro. 
Il fatto che il protagonista avesse il mio nome, scatenò una reazione insolita in me: m’immedesimai nel piccolo orfanello sino a fantasticare nuove avventure e nuovi giochi.

Scrittore preferito
Più che scrittore, ci sono stati periodi in cui ho letto più opere dello stesso autore. 
Kerouac, Palahniuk, Bukowski, David F. Wallace, per il periodo “americano”; 
i classici greci e latini ai tempi del liceo; 
Doyle, Woolf, Sterne per il periodo inglese; 
Pirandello, Erri De Luca, Eco, Dario Fo, De Filippo, Vitale, De Silvia per l’intenso periodo “italiano”.
E chissà quanti me ne sfuggono ora... come si può facilmente intuire, il genere fantasy non mi appassiona particolarmente: prediligo storie, romanzi di formazione, novelle e tanto teatro.

Libro preferito
La saga di Sherlock Holmes. Il romanzare di Conan Doyle credo abbia pochi eguali.

Un film tratto da un libro che ti è piaciuto più del libro?
Il codice Da Vinci

Cosa consigli a chi vorrebbe avvicinarsi alla scrittura?
L’esperienza mi ha portato ad essere paziente con la scrittura.
Mi accadeva di avere un’idea, qualcosa che in quel momento mi sembrava geniale. 
Correvo a buttar giù righe e righe, ma dopo due ore di intensa scrittura, mi accorgevo ahimè, di aver riempito solo cinque pagine del mio file word. 
Tornavo a leggere e rileggere la “genialata”, e mio malgrado, dovevo riconoscere a me stesso di aver esaurito l’intuizione in poche pagine. 
Non avevo più nulla da raccontare. 
La storia era inevitabilmente bruciata. 
Solo più tardi, dopo svariati tentativi, capii che un’idea “geniale” diventa una storia da raccontare solo se piantata e lasciata germogliare, crescere. 
Ci vuole tempo: l’idea deve prender forma da sé, essere alimentata dalla fantasia e dal bisogno concreto di volerla raccontare. 
Poi tutto viene di conseguenza, la trama si fa più chiara e gli sviluppi quasi si accavallano sino a renderti conto che devi addirittura tagliare parti che appesantisco il corpo della storia. 
Dunque, pazienza e perseveranza.

Cosa significa per te leggere?
Leggere ha sempre significato andare oltre me stesso, immaginare realtà a cui di certo non avrei mai pensato e tentare di scoprirle per farle mie.

Cosa significa per te scrivere?
Come ovvio, scrivere mi obbliga ad un percorso inverso rispetto alla lettura: è scavare, scendere nelle zone buie ed evidenti, illuminare i miei “perché” per dare un motivo alle evoluzioni interiori. 
È il mio mondo.

Chi ti ha fatto scoprire il piacere della lettura?
Le insegnanti prima di tutto.
Ho avuto la fortuna di incontrare straordinarie maestre di vita, docenti che mi hanno fatto amare la letteratura e gli autori. 
L’idea di “arte” significava e significa tuttora bellezza, come dice il mio ultimo personaggio Carmine in Nessuno ti chiama per nome: “Fare belle tutte le cose, così come dovevano essere in origine, senza il superfluo che ci mettiamo intorno”.

Da bambino sognavo di diventare...
Tante cose e nessuna.
Avevo una fantasia sfrenata. 
Ora che sono un po’ più grande, sogno ancora tante cose e questo forse, è l’unico segreto che mi permette di “sopravvivere” e raggiungere i miei piccoli e grandi traguardi.

Cosa bevi durante le tue sessioni di scrittura?
Nulla, piuttosto produco grossi nuvoloni con la mia sigaretta elettronica!

Un personaggio letterario che ti porti nel cuore?
Tristam Shandy di Laurence Sterne. Provo grande invidia nella genialità del suo creatore.

Quanti libri leggi all'anno?
In media uno al mese, o forse qualcuno in più… ma come ovvio dipende da diversi fattori. 
Ad essere sincero non ho mai fatto una stima delle mie letture perché leggere è un’azione così naturale che mi sembra superfluo portarne la conta.

Cartaceo o digitale?
Entrambi.
Non è stato destabilizzante leggere il mio primo libro su tablet. 
Certo il cartaceo conserva il suo fascino, ma trovo comodo anche acquistare e avere immediatamente sul Kindle un libro che altrimenti potrei avere tra le mani chissà quando.

Dove preferisci leggere?
Sul divano. È la mia nicchia. Ultimamente anche in treno, nonostante il vociare dei vicini.

Da cosa nascono i tuoi romanzi?
Come dicevo prima, le mie storie nascono da domande a cui necessariamente devo dare risposta. Prima di procedere con la stesura, lascio sedimentare l’intuizione, aspetto che prenda corpo per capire se è un capriccio o qualcosa di più serio. 
Durante questa gestazione, le idee mi rimbalzano nella testa una dopo l’altra e discernere le “buone intuizioni” dalle cose già lette e rilette non è facile, perché dal punto di vista di uno scrittore, ogni idea è nuova, unica. 
Ci vuole coerenza e onestà intellettuale. 
Tante idee sono finite nel cestino perché non dicevano nulla di nuovo e dunque non meritavano di essere raccontate. 
Altre invece persistevano e ho dovuto quindi approfondirle, era necessario documentarmi, fare sopralluoghi: bisogna dare concretezza ad una storia, perché di sola forma non ha mai retto nessun romanzo. 
Questi sono in estrema sintesi i parametri che metto in campo quando decido di scrivere: la scrittura deve essere necessaria, altrimenti è solo aria fritta.

Scrivi a penna o sul computer?
Le fasi preliminari nascono sui miei taccuini: appunti e scalette, struttura e intrecci.
Quando ritengo che tutto abbia un senso, procedo con la vera e propria stesura. 
E diventa un fiume in piena. 
Senza i miei appunti, tutto ciò non sarebbe possibile.

Ha qualche gesto scaramantico legato alla scrittura?
Solitamente preferisco tenere tutto all’oscuro, anche di mia moglie. 
Sono maniaco della perfezione, della parola, della virgola. 
Persino dello spazio in bianco e del capoverso.

Preferisci leggere/scrivere in silenzio o con un sottofondo musicale?
Il silenzio crea la giusta atmosfera, ma se dovesse partire l’aspirapolvere, non ne faccio una tragedia!

Il libro che non avresti mai voluto leggere?
“Il vincitore è solo”. Comprai quel libro perché Coelho faceva figo… forse per questo l’ho mal digerito. Non era il memento giusto.

Cosa c'è di te nei protagonisti dei tuoi romanzi?
Direi proprio tutto, non saprei fare altrimenti. 
Con parallelismi e metafore, non faccio altro che mostrarmi per quel che sono. 
Ho già detto che la scrittura è per me scavare, sì?!

Qual è il personaggio dei romanzi a cui sei più affezionato?
Hektor. “Metà carne, metà ricordo”.
È il personaggio a cui ho lavorato di più, forse perché è il più complesso: non potevo lasciare nulla al caso, non potevo sbagliare.

Scrivere è la tua principale attività o ti occupi anche di qualcos'altro?
Mi occupo di logistica di magazzino da quasi vent’anni.
Amo il mio lavoro per tutto ciò che comporta.
La scrittura non è una valvola di sfoga, è semplicemente la parte che completa il mio essere.


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