venerdì 21 dicembre 2012

Frasi dal libro "E' una vita che ti aspetto" di Fabio Volo

Cosa c’è di meglio che essere curiosi di se stessi?
Pagina bianca come la vita...le amo entrambe xchè sono curioso di vedere come va a finire.


Avevo paura.
Avevo paura e non sapevo di cosa.
Semplicemente provavo una sensazione di paura senza conoscerne il motivo.
Mi sentivo angosciato,pieno di ansie.
Desideravo solo un po’ di quiete.
Non chiedevo molto:volevo solo stare bene.
A volte mi succedeva anche durante la giornata,mentre ero seduto alla scrivania,
o magari quando ero solo in macchina.
Guidavo e mi veniva come da piangere,mi assaliva questa sensazione e non capivo cos’era.
Non sapevo come gestirla,non aveva maniglie,non potevo afferrarla,controllarla,non c’era via d’uscita.
Qualcosa dentro di me era in disordine.


In quella notti di panico mi assalivano ricordi vestiti di malinconia e le scene nella memoria si svolgevano lentamente,quasi al rallentatore,come in un film.
Si iniziava a proiettare “Nuovo Cinema Paranoie”


Per sentir parlare così bene di sé bisogna morire.
Pazzesco.
Non ho mai capito xchè ci sia + rispetto x i morti che x i vivi.


“Ma che paura di morire?Il tuo problema è proprio l’opposto.
Il tuo problema non è aver paura di morire,ma aver paura di vivere.
E’ il contrario.
Hai quella maledettissima malattia molto diffusa del “non vivere”.
Sei malato di non vita.
Ti ricordi quando mi hai chiesto se avevo le pastiglie x la felicità?
La pastiglia è la vita.
Vivi,buttati,apriti,ascoltati.
Le tue paure,le tue ansie sono dovute al fatto che tu esisti ma non vivi.
Se vuoi essere felice,se vuoi essere libero,impara ad amare.
Ad amare e a lasciarti amare!”


Io non sapevo veramente cosa volesse dire vivere.
E neppure come si facesse a vivere.
Al massimo sapevo come si faceva a morire.
Conosco un sacco di modi x morire,ma non x vivere.
Pazzesco.
Pazzesco scoprire che sai come si muore ma non sai come si vive.


Avevo acceso la luce di quella stanza che tenevo spenta x non vedere.
Il problema era che da quel momento,anche se la rispegnevo,
ormai avevo visto com’era arredata la stanza.
Anche al buio sapevo cosa c’era dentro.


Ascolta il bambino dentro di te…ma mi sa che il bambino dentro di me è caduto dal seggiolone e non parlerà x un po’.


Vivevo nella paura.
E vivere nella paura è sempre stata la condizione di chi è sottomesso.
Paura del domani.
Paura di non essere pronto.
Di non essere all’altezza.
Forse uno degli errori + grandi che facevo era quello di prepararmi al peggio.
Era la paura di non essere in grado di reggere una situazione brutta,la paura di perdere il controllo,
o di trovarmi spiazzato e soffrire troppo,
che mi portava ad allenarmi costantemente al pensiero di una catastrofe in arrivo.
Per quello mi concentravo su cose brutte che potevano succedere.
Qualche disgrazia,qualche tragedia.
Io alla fine non dovevo trovarmi impreparato.
Costruivo delle barriere,delle difese,dei cuscinetti x attutire l’eventuale botta,l’eventuale scontro con la realtà.
Ecco xchè alla domanda:”Sei felice?”,rispondevo:”Non lo so ma non mi lamento”.
Perché,visto che mi aspettavo sempre la catastrofe,il fatto che non fosse ancora successa doveva rendermi felice.
Quindi x me il significato della parola felicità era:mancanza di dolore.


Io aspettavo la tragedia.
E mentre mi concentravo sul male,probabilmente il bene,il meglio,il bello mi passavano a fianco e io non me ne accorgevo.
Ero troppo concentrato sul peggio,sul male,sul brutto.
E anche se la vita mi regalava una cosa bella,io non la sapevo gestire,non ero pronto e mi faceva paura.
Non ero capace di stare bene fino in fondo.
Non ero in grado di gioire.


Ci ho messo un po’ a capire che è + importante che una donna sia felice che fedele.
Perché una donna felice non tradisce.
Una donna felice è sempre fedele.
Non ha bisogno di nient’altro.


Comunque io,con il mio stupido modo di fare,rovinavo tutto.
Diventavo simbolicamente come Dio e Adamo insieme.
Mi cacciavo da solo dal paradiso.
Questo atteggiamento d’attesa del peggio fra l’altro non è mai servito a niente.
Non si è mai preparati abbastanza alle cattive notizie e pensarci non serve a nulla.


Quando c’è di mezzo lui dovrei farmi legare a un palo come Ulisse con le sirene.
Nella mia vita è sempre stato così.
Più ero deciso a non farmi tentare,+ forti si presentavano le tentazioni.


La grande trappola del domani mi aveva fatto ancora prigioniero.
Quante volte c’ero cascato.
Domani farò,domani sarò,domani cambierò,domani dirò…domani,domani,domani.
E di domani in domani mi sono trovato alla mia età.


Non dovevo farmi + distrarre da niente e da nessuno.
Dovevo imparare a dire NO agli altri e concentrarmi un po’ su me stesso.


Correvo e arrancavo da anni alla ricerca di un po’ di felicità,ma in realtà continuavo a inseguire il piacere.
Avevo sempre confuso le 2 cose.
Felicità e piacere.


Avrei voluto tirare una riga e ricominciare veramente da capo.
Ero pronto a salpare,ma in quale direzione?
Da dove potevo iniziare la mia nuova vita?


Io non so nemmeno se esiste la felicità.
Intendo dire come condizione perpetua.
Credo che la felicità siano picchi che durano attimi,secondi.


Tornavo a casa e ,quando ero lì a letto da solo,non riuscivo a prendere sonno.
Mi veniva in mente una serie di domande.
Mi chiedevo:onestamente,ti sei divertito questa sera?
Questa è la vita che vuoi vivere?
Stai davvero facendo ciò che vuoi o lo fai xchè segui il flusso dei tuoi amici?
Ero confuso.
Ma non capivo se erano le situazioni che non mi andavano + bene,oppure se ero io che non ero + capace di divertirmi.
Forse ero diventato + esigente.
Non potevo fare a meno di chiedermi:”Cazzo,ma la vita è tutta qui?”
Mi veniva da pensare che doveva esserci qualcosa di +.
Qualcosa che avesse + senso.
Non riuscivo a togliermi di dosso quella sensazione di inutilità della vita.
Volevo delle risposte.R-spo-ste.
Probabilmente una parte di me,quella + intima,quella + profonda,stava premendo nella mia vita.
Non so.So solo che sono stato molto strano x un po’.
Almeno così mi dicevano.
Oppure liquidavano certi miei comportamenti con la frase:”Pensi troppo”.
Insomma,tornavo a casa e non sapevo dare una risposta alle domande che mi assillavano.
Qualcosa spingeva.
Ero come incinto.
Si stavano rompendo le acque.
Il bambino dentro di me stava premendo x uscire.
Ma + che rompere le acque,stavo iniziando a rompere le scatole.
Con le mie solite fissazioni.
Ma è colpa mia se torno a casa e sento che così non mi va +?
Del resto,i miei ragionamenti non erano cause.
Erano effetti.
Effetti di un qualcosa.
Di una noia,di una crisi,di una sensazione,di un vuoto,di paure.
Di quelle maledettissime ansie.


Ognuno di noi nella propria vita crea sapori diversi,come i profumi che cambiano in base alla pelle.
Tutto è neutro.
Sei tu che dai il sapore alle cose,incontrandole.


Forse è vero che penso troppo.
Ma non è che penso troppo,mi fisso è diverso.


I ricordi sulla giostra sono una metafora perfetta della nostra vita in quel periodo.
Eravamo anche noi su una giostra.
Quella che quando parte fai fatica a scendere.
Vivevamo con l’unica ambizione di riuscire a strappare qualche codino x avere il nostro momento di gloria e un ennesimo giro sulla giostra.
Quella giostra,però,non è vita,ma ne mette in scena la parodia.
La parodia della vita.
Mentre la vita,la vita vera era giù.
Più vicino di quanto potessi pensare.
A un passo.
Ma quel passo spettava a noi.
Bisogna avere coraggio.
Il coraggio di scendere.
Il coraggio di fermare quell’esistenza.
Il coraggio di essere liberi.
Ma scendere dalla giostra voleva dire fermarsi.
E io,ad esempio,non ne ero capace.
Era una vita che scappavo,che correvo,che fuggivo,dalle mie paure,da una continua malinconia,
da una specie di depressione.
Comunque il problema era che bisognava in qualche modo saltare giù da quella giostra e il primo passo da fare era proprio non muoversi.
Fermarsi.



Per me cambiamento voleva dire dolore,quindi ho sempre fatto molta fatica a cambiare.


Crescendo mi sono convinto sempre di +,
che nella vita ci sia solo un vero grande amore.
Che esista un principe azzurro x le donne e una principessa x gli uomini.
L’anima gemella.
E che gli altri alla fine siano soltanto comparse.


Non è meraviglioso sapere che x una persona al mondo tu sei “il più”?
Non è incredibile tutto questo?



Forse bisogna anche un po’ imparare a stare con le persone,
e non aspettarsi gli incastri perfetti.


Quel pomeriggio sono rimasto nella realtà solo qualche minuto.
Mi sono trasferito nel mio mondo quasi tutto il giorno.
Traslocato.



In quella donna riponevo la mia felività.
Quella dipendenza mi metteva paura.
Sapevo che sarebbe stato meglio x me lasciarla,ma non ci riuscivo.
Non volevo la donna giusta x me,volevo lei.
Con lei soffrivo troppo,senza di lei anche.
Ero in trappola.
Non vedendola,fra l’altro,non solo non stavo meglio,ma addirittura la idealizzavo e finivo x desiderarla ancora di +.
Allora mi dicevo:”Piuttosto che niente,meglio piuttosto”.
Cioè prendevo quello che poteva darmi e cercavo di accontentarmi.
Se mi fossi amato non glielo avrei permesso.
Il problema era sempre quello.
La soluzione era arrivare alla nausea.
Continuare finchè mi fossi nauseato non tanto di lei quanto della mia umiliazione e mancanza di amore x me stesso.


Poi mi sono guardato dritto negli occhi e a un certo punto mi sono detto:
“Ti voglio bene…e a te da adesso in poi ci penso io,non ti preoccupare”.
La cosa strana è che x un attimo ho provato un po’ d’imbarazzo.
Alla fine,però,mi ero simpatico.
Mi ero simpatico xchè io,quello lì nello specchio,lo sapevo cosa aveva passato nella vita.
Sofferenze,dolori,pianti,silenzi,gioie,risate.
E anche se non era perfetto,non potevo che volergli bene,tutto sommato.


La mia compagnia mi piaceva.
Il viaggio alla scoperta di me stesso era diventato un gioco divertente.
Incontrarmi veramente x la prima volta.
Mi ascoltavo e mi parlavo.
Più giocavo dentro di me,più avevo l’impressione che quel gioco fosse infinito.
Mi sentivo infinito.
Un pozzo senza fondo.Un universo.
Questo amico ritrovato non mi faceva + sentire solo.


Quella voce dentro di me,che ero io,voleva essere ascoltata e voleva che i suoi desideri e bisogni fossero soddisfatti.
Voleva essere amata.Amata da me.Voleva semplicemente vivere.


Inseguivo quello che credevo di volere e non quello di cui avevo veramente bisogno.
Così,mi sono trovato ad avere quasi tutto tranne ciò che mi serviva x stare bene.


Avevo imparato che non potevo + fare a meno di me stesso se volevo veramente incontrare gli altri.
Incontrare la vita.
Avevo capito che rinunciare a se stessi,non amarsi,è come sbagliare a chiudere il primo bottone della camicia.
Tutti gli altri poi sono sbagliati di conseguenza.
Amarsi è l’unica certezza x riuscire ad amare davvero gli altri.
Ma come potevo incontrare qualcuno e conoscerlo davvero se non sapevo neppure chi ero io?
Come potevo donarmi a un’altra persona se non sapevo nulla di me?
Sarebbe stato come regalare un libro che non avevo letto.
Che senso ha?
Per anni avevo tenuto un piede su ciò che ero e uno su ciò che pensavo di essere.


Sentivo che non volevo scendere a patti con il mondo.
Con la sua imperfezione.
Come se io non ne facessi parte.
Volevo solo uscire da quel modo di vivere che mi dava un senso di inutilità.
E mi disturbava il fatto che,senza di me,questo mondo sarebbe andato avanti ugualmente.



Non c’era niente di peggio che una vita senza vita.
Speravo che il tempo passasse velocemente.
Proprio come un carcerato.
Mentre se fossi stato una persona sana,avrei dovuto vivere sperando che il tempo passasse lentamente e mi facesse invecchiare il + tardi possibile.
Quanto è assurdo tutto ciò?
Come si può pensare a una cosa così tremenda?
Quanto dovevo stare male x sperare in questo?



Volevo una persona che voleva me.
Una persona x la quale io non potevo essere sostituito da un giorno con l’altro.
Una persona che mi facesse sentire speciale.
Diverso da tutti.Un individuo.Una persona.
Una persona a cui,se morivo,dispiaceva.



Perché io il mondo non lo amavo,lo subivo.



Spesso dicevo che la vita era uno schifo.
Anche quella frase mi stava fregando,xchè avrei dovuto dire:”La mia vita è uno schifo”.
Allora,magari avrei iniziato a chiedermi se potevo fare qualcosa x cambiarla.
Se era tutta colpa del destino,del caso,della sfortuna,o se invece anch’io ne ero colpevole.
Xchè dire che la vita fa schifo è come dire che non c’è niente che si possa fare.
Che bisogna accettarlo come un dato di fatto imprescindibile.
Fortuna che ho capito che la mia vita ha un valore e quel valore glielo do io con le mie scelte e con il coraggio delle mie decisioni.
Ho imparato a pormi una domanda ogni sera prima di addormentarmi:
“Cosa hai fatto oggi x realizzare il tuo sogno,la tua libertà?”
Alla seconda sera in cui mi sono risposto:”Niente”,
ho capito quanto in fondo una parte del problema fossi io.
Quindi,o smettevo di lamentarmi o iniziavo a darmi da fare.


Ma io dovevo relazionarmi alla mia di vita.
Alla mia realtà.
Anche se avevo una casa,un lavoro,una famiglia,una macchina,non ero felice.
Sarò stato un ingrato,uno incapace di star bene,un insensibile,ma di fatto non ero felice.
Cazzo,non erano colpi di testa,erano colpi di lucidità.


Nel senso che il mio lavoro non lo amavo e lo sapevo,ma era anche vero,però,che grazie allo stipendio alla fine del mese mi compravo quello che volevo.
“…e non è poco…”mi sono sempre ripetuto.
Questo era sicuramente uno dei motivi x cui non era facile mollare.
Non era facile cambiare.


C’erano anche dei giorni in cui mi sentivo felice.
Anzi,posso dire che lo sono stato.
Passavo improvvisamente da un umore triste,brutto,a uno euforico,di gioia.
C’erano giorni in cui mi svegliavo felice,poi magari diventavo triste poi,dopo un po’,ero ancora felice.
Ero lunatico,meteoropatico.
Era come se passassi dal bagno con il mal di pancia a un salone da ballo bellissimo con luci stupende e iniziassi a danzare.
Il problema era che sia il bagno che il salone da ballo erano sul Titanic.
Felice,triste,felice,triste.
Ma il risultato non cambiava.
Ridendo e piangendo,sprofondavo comunque nell’esistenza giorno dopo giorno.
E quando qualcuno cercava di svegliarmi,rispondevo:”Ma cosa dici?Tutto sommato posso uscire a guardare il mare o posso stare al bar a bere o andarmene in cabina a dormire…di cosa devo lamentarmi?”
TI-TA-NIC!


Il mondo fuori è sempre stato la proiezione del mio mondo dentro.
Volevo dare delle carezze,ma siccome non le davo con la giusta velocità diventavano schiaffi.



Le donne sono come fiori:
se cerchi di aprirli con forza,i petali ti restano in mano e il fiore muore.
Perché solamente con il calore si schiudono.
E l’amore e la tenerezza insieme sono il sole x una donna.
Devo dire che nella vita le donne le ho trattate spesso come fiori,ma + che come il sole sono intervenuto nella loro crescita come il concime.



Non significa niente amare tanto o amare poco.
Si può solo amare o non amare.
La frase “L’ho amato tanto” è priva di senso come “è morto tanto”,attribuita a una persona che non c’è +.



L’amore quando è distruttivo non è amore.



Ci sono cose che non puoi spiegare,sono cose che puoi capire solo vivendole.


Tutto tornava sempre lì:l’incontro con me stesso.
Quel patto d’amore.
Il bottone giusto della camicia.
Mi ha convinto il fatto che non ero + solo.
Non potevo + ragionare come prima.
Dentro di me viveva un’altra persona con cui avevo finalmente instaurato in rapporto d’amore.
Una persona di cui io avevo la responsabilità.
Come fosse un bambino che mi avevano affidato.
E io,a questo bambino che avevo dentro,volevo far conoscere le cose belle del mondo.
Volevo fargli scoprire la vita.
Come potevo proporgli tutto quello schifo?
Se non avevo mai avuto la forza di farlo x me,da quel momento dovevo farlo x lui.


Se un oggetto a tiratura limitata acquista valore e lo si tratta con cura x paura di rovinarlo o danneggiarlo,una persona come dovrebbe trattarsi?
Unica al mondo da sempre e x sempre,nello spazio e nel tempo.


Guarito dalle ansie,guarito dalla paura di vivere,a braccetto con me stesso,non potevo che essere a favore della vita.


La mia vocina interiore mi diceva:
“Finchè sei in vita,provaci!”


Non sembravamo 2 persone che si erano incontrate,ma che si erano ritrovate.


Ormai avevo imparato che davanti alla morte non potevo fare niente ma davanti alla vita sì.
Finchè una persona c’è,voglio cercare di darle tutto ciò che ho,tutto ciò che mi è possibile.


Ho pensato che quando si incontra una persona,quell’incontro crea cose nuove.
Dà vita a pensieri,riflessioni,sentimenti,azioni,che appartengono solo alle 2 persone che si sono incontrate.


Devo vivere fino in fondo.
Amare fino in fondo.
Con tutte le forze che ho.
X non avere un giorno il peso di cose non vissute,non fatte e non dette.
Devo fare la mia parte.


E’ sempre stato così:
incontri qualcuno che non conosci e quel qualcuno,a differenza dei tuoi amici,ti conosce x ciò che sei.
X ciò che sei in quel momento.
Questa persona non è condizionata da chi eri o da cosa avevi fatto in passato.


Lei mi piaceva molto,ma soprattutto con lei mi piacevo molto.



Ogni istante era speciale.
Non aspettavo + giornate speciali e colorate,ma ero io a renderle speciali,ero io a colorarle.


Da questo momento mi tolgo ogni armatura,ogni protezione.
Con questo non ti sto dicendo “viviamo insieme”.
Ti sto dicendo “viviamo”.
Punto.
Mi piaci un casino e vorrei vedere se è vero.
Viviamola.
Punto.

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