mercoledì 3 ottobre 2018

Frasi dal libro "Le case del malcontento" di Sacha Naspini

Lì ci trovo la Graziella,che mi fa stare bene.
Mi dà un po'di latte.
Dopo mi mangia il pisello senza denti.
Nel frattempo io penso a qualche bella pancia bianca che magari ho spiato di recente alla finestra della Nardini.
Poi la Graziellina ingoia,mentre io picchio i calcagni per terra dal godimento.
Lei ci mette un'eternità per tirarsi su.
Ha il vizio di dire:"Tutte vitamine!"

Mi guarda in un modo che per una volta mi fa pensare al domani come a una cosa bella.

La cosa più brutta era questa:le lacrime sarebbero anche cessate,ma quegli scossoni interiori sarebbero durati per sempre.

I manicomi li avranno anche chiusi,ma inviterei lo stesso qualche dottore bravo a farsi una passeggiata da queste parti: troverebbe di che andare avanti a suon di ricette.

Le Case è un posto che ti chiude l'anima.
Le Case è un cuore nero piantato in mezzo al pancione di Maremma,che si traveste piena di sogni e dopo te lo ficca nel didietro a brutto muso.

Nelle stanze dei sordi c'è un silenzio diverso.
Quello che se la prende un po'a male, perché inascoltato.
Allora si sfila di più,com c un bimbo bizzoso.

Il silenzio è una mano che ti scava.

"Sono i disegni di Dio",dice.
Sarà!
Per me,se davvero c'è un signore dell'universo,il bozzetto che ha fatto sul cucuzzolo di questo colle è più simile agli scarabocchi di uno che si annoia e fa andare la penna a zonzo,per poi scordarsene.

"Il premio vero ve lo daranno là,nell'altra vita".
Quindi continua con la tiritera degli ultimi che saranno i primi,eccetera eccetera.
Alla fine passa il cestino delle offerte e tutti lì a frugarsi nelle tasche.
Perché sarebbe da scemi farsi dei nemici in paradiso, dopo i patemi di questa fogna.
Per quanto mi riguarda dovrebbe essere il contrario:un giorno ti presenti al cancello di Pietro e quello ti stacca subito un bell'assegno come rimborso.
Con le scuse dell'azienda.

Dare fiato alle parole che uno cova in pancia e come aprire le gabbie a cento cagnaccio latranti.
Ti togli il peso,ma è un momento.
Poi quelle bestie tornano a massacrarti lo stomaco da capo.

Nella pancia c'è un burrone che se non lo tappo subito va a finire che ci volo dentro.

"E la tua costituzione.Prendere o lasciare".
E io prendo.
Kilo, soprattutto.

Tra cercare marito e grattare il fondo del barile c'è una bella differenza.

Mario rientra dalla pausa pranzo e Eleonora non c'è più.
E ogni volta che vedo la sua fotografia sul giornale mi dico:
"Bimba,o hai avuto coraggio o hai avuto sfortuna".

Ma certi squarci non si chiudono mai...

Non c'è cattiveria più grande del far vivere la bellezza a qualcuno per poi togliergliela in poco tempo e a brutto muso.

Più di tutto,a fermarmi il sangue,era la sua risata.
Ci sentivo tutte le risposte del mondo,in quella risata.

Finché successe qualcosa.
Un giorno il dolore cambiò forse in peggio,ma almeno tornavo a riprendere fiato.
Solo che adesso ero diventata cattiva.

Fatti vedere attrezzato bene e il nemico abbassa subito la cresta, andando ai pazzi a forza di rimuginare.

Sono diverso. Specie da te.

E poi ognuno ha i suoi fantasmi con cui fare i conti a mezzanotte.

Coppie sposate da un'eternità che si danno appuntamento di nascosto, chiedendo di trovare una bella bottiglia di spumante sul comodino.
Dico io:non potrebbero darsi una frugarsi in casa loro,senza spendere in eccesso?
Si vede che il brivido del quattrino versato alza la bandiera dal mattino e alla moglie ravviva la marmotta...

Ecco cosa significa gestire un alberghetto in provincia di Maremma,dove i puttanoni fioriscono senza tregua,uomini o donne vch siano.
A volte ci tocca chiamare la pubblica assistenza perché a qualche ometto il cuore passa dai coglioni alla gola in un momento.

Le Case è un posto pieno di trappole e la piu grande resta il cervello bacato di quelli che ci abitano dentro.

Giovanotti che sì,conosceranno 3 parole di italiano in croce,ma l'alfabeto del bordarlo nel profondo come si deve lo sanno a memoria.

Gli abitanti di questo buco non aspettano che di veder passare un forestiero, tanto per rifilargli addosso un bel cappottino di insulti.
Si salvano in questo modo ai loro stessi occhi,dandosi per un momento quel minimo d'importanza che la vita gli ha negato da sempre.

Almeno prendessero fuoco tutti.
Proprio ora, mentre parlo.

"C'e chi se la passa peggio" diventa una scusa e alla fine ci credono tutti.

Rovinarsi per un amore è da deficienti.
Ma rovesciare la vita nel secchio per una tenerezza mai ricambiata è da maledetti.
Ed è quello che è capitato a me.

Un passo davanti all'altro.
È così che ti dicono di fare.
Ma all'orizzonte neanche l'ombra di un traguardo.

Chi è stato bello vive la vecchiaia come un furto due volte cattivo.

La gente della servitù ha la lingua lunga ed è con quella che cura la ferita della miseria:sparlando dei crucci del padrone.

Ci sono persone che puoi imbellettarle all'infinito ma l'aria del miserabile resta appiccicata alla pelle come la tigna.

Uno non dovrebbe sperimentare un'altezza di quel tipo.
Anche se dura mezzo minuto poi non fai che volerlo un'altra volta.
Diventa un chiodo fisso.

Alla fine ci si sposa e si invecchia insieme per farci quel po'di compagnia che serve per non sentirsi adsassinati dal vivere senza rimedio.

Vivere nel silenzio non significa non ascoltare.

Le parole puoi fingere di non sentirle ma quelle esistono lo stesso e ti si appiccicano alla pelle come fango lurido.

Fare un funerale senza un morto è come fare al dolore un fondo buio che ti macella, perché oltre allo strazio della mancanza,si aggiunge un senso di rapina,di dispersione, senza neanche il conforto di una spoglia maltrattata dalla vita,ma comunque messa al sicuro.

Ecco cosa capita alla gente che mangia pane e ignoranza.
Ti danno un tesoro e lo usi per sciacquarti il culo,buttandolo via con l'acqua sporca.

Se entri nelle grazie sbagliate,in questa terra non si muotm una volta sola: te lo fanno digerire giorno dopo giorno.

Ogni giorno che passava era un giorno sciupato nell'immobilità e nel logorio della solitudine che cominciava a diventare un'altra pelle.

La gente di Maremma ha la pelle dura, specie dal didentro,dove a volte si ispessisce come la cotenna delle bestie.

Troppo comodo sparirgli di sotto gli occhi,finendo per diventare una favoletta.
Io ci sono e gli sbatto il viso in faccia!

Se ti azzardi a crepare vengo e ti levo dal mondo!

Tutto il fuori dice tutto il dentro.

Su questo corpo è passato tutto e non è passato niente.
Ma piu sotto c'è stata la guerra vera.

La miseria è una peste che a volte ti lascia fare qualche passo,dandoti il contentino.
Poi eccola di nuovo a stringere lo strozzo del collare.

Chi ha bisogno di tanta disciplina nasconde qualcosa di brutto.

Le bimbe cattive si prendono il carbone.
Quelle tremende il carbonaio.

La miseria ti ha fatto vedere la passera d'oro per un minuto e subito ha riabbassato la gonnella.

Ti sei abituato a vivere nell'ombra di te e quell'ombra ci mangia tutti.

Si era stufata di buttare tanto sentimento nella cassetta dei maiali.
Si sprecava l'anima a guardarlo come un angelo e lui neanche si accorgeva di lei.

Per molti la guerra vera comincia con il ritorno alla normalità.

Chiuso il gioco c'è chi torna a vivere e chi resta un poverino.

Ovunque mi trovassi c'era sempre la vena di una sensazione uggiosa che mi impediva la pienezza.

Al paese sanno toglierti il buongiorno per un'occhiata storta.

Samuele aveva questo suo modo di maltrattarmi:con l'indifferenza.
Una settimana fa me lo sono trovato davanti all'uscita della bottega.
Ci siamo trovati faccia a faccia.
I nostri sguardi fissi.
Ma il suo sembrava di ghiaccio,senza espressione.
Avrei voluto,eppure non riuscivo a spiccicare mezza parola.
Morivo lì,nel suo pallore senz'anima.
Poi ha abbassato la testa e si è mosso di lato,come scavalcando uno sconosciuto.
Sono rimasto fermo in quel punto qualche minuto,a prendermi il gelo.
Non sentivo niente.
L'ultimo calore che conservavo se lo era appena preso lui.
Forse è impazzito.
Il Samuele che conosco io non ha niente a che vedere con quegli occhi,identici a buchi neri privi di un'emozione.
Il mio Samuele è una creatura scura,sì,tuttavia ha nelle mani tanto sentimento,che un tempo sapeva rovesciare nei centimetri di poche caselle.
E'con lui che negli ultimi anni ho giocato le mie partite silenziose-
Ed è con lui che continuo a farlo adesso.
Così raggiungo il tavolo e mi siedo dalla parte dei neri.
Guardo dritto davanti a me,nel niente e dico: "Sta a te".
Poi giro la scacchiera.

Andava in giro con le pupille piene di uno sconcerto da far accapponare la pelle.
Nel viso aveva pieghe nuove,come strapiombi dove pareva tenersi in bilico a stento.
Passavano i mesi e vedevo un uomo incurvarsi dentro,in un posto che neanche sapevo che c'era.
"Guarda com'è fondo", mi dicevo.
Il fatto è che se ne accorge anche lui giorno dopo giorno e sparisce in quel burrone che ha dentro senza che si fossa fare un che.

A volte per nascondersi bene conviene piazzarsi sotto gli occhi di tutti.

Aveva scontato il patimento e ora rifioriva a tutto spiano.

Mi innamoro di una cosa non mia e anzi perdo l'affetto per le nostre,che sono ben poche ma fino a ieri ci sono bastate.
Non mi fa bene!

Appena si nasce si comincia a morire un pò per volta già dal primo giorno.

Era circondato da persone che avevano un solo talento:lamentarsi.

Ti ritrovi con un mare di rabbia addosso.
E ti convinci che senza quella neanche sapresti tenerti in piedi.

Ecco perchè ti ignoravo:perchè mi tenevi in ostaggio.

Anni fa pensavo che essere l'ultima possibilità di qualcuno mi investisse di un potere.
Avevo l'arroganza dell'età e se un intervento non andava a buon fine alzavo il lenzuolo sulla faccia del malato con noncuranza,scendendo al bar dell'ospedale per farmi un caffettino.
Poi è successo qualcosa.
Ma non da un giorno all'altro.
Un colore si è infiltrato a poco a poco.
All'inizio era appena una venatura,neanche mi accorgevo di essere invaso dal nero.
Finchè mi ci sono trovato dentro e basta e allora ho capito: non prendevo le anime,prendevo il dolore.
Vivevo sulla soglia del non ritorno.
Me ne stavo lì in piedi,inutile come un moscerino nella tormenta,mentre il mondo si riversava nell'oblio dopo l'immane sfogo della vita.
Un giorno arrivò Samantha.
Ero già infettato fino al midollo,ma gli occhi di quella ragazzina mi scuotevano più sotto,dove forse ancora covavo una luce.
Dopo l'operazione finii perfino sui giornali,osannato come un santo.
In molti facevano carte false per avere una mia consulenza.
Tuttavia sapevo bene che la degenerazione dei tessuti cardiaci avrebbe portato la piccola a un triste destino.
Era solo questione di tempo.
Fu allora che vidi il senso di tutto,stampato a lettere cubitali, e di una banalità che mi spezzò il cuore:
il mio lavoro non consisteva nel salvare vite.
Ritardavo l'ineluttabile,semmai.
Regalavo giorni. Ore. Solo questo.
Mi veniva dato il privilegio del tentativo,ma al più mi affaccendavo per trattenere qualche anima sul ciglio del baratro.
Il resto era puro declino della carne.
Nascita e morte.
Allora perchè tanto affanno?
La risposta a questa domanda mi uccise e fu proprio la piccola Samantha a darmela:
nonostante la malattia aveva trascorso sei settimane bellissime con la sua famiglia.
Amata e coccolata all'inverosimile.
Alla fine dell'intervento d'urgenza,quando coprii il volto di quella ragazzina,mi ritrovai al collo le braccia della madre.
"Grazie di tutto" disse,baciandomi davvero come il sasso di un tempio.
Poi rientrai nella mia casa vuota.
Apparecchiai per uno,come sempre.
C'era tanto silenzio.
Ero come un grande concerto suonato a una platea assente.
Ogni mio respiro precipitava per terra,facendo il rumore di una monetina.
Perchè non avevo nessuno con cui condividerlo.

Se lo chiude dentro e basta,vivendo le settimane dopo con tanti sorrisi e la morte nel cuore.
Porta avanti una faccia,anche con le macerie che si ammucchiano.

La presenza di quel ragazzo mi faceva battere il cuore tanto che diventavo una scema,incapace di spiccicare mezza parola.
Tutto di lui sembrava raccontarmi.
Solo a vederci nello stesso posto scatenavamo i temporali.
L'aria cambiava,riempiendosi di elettricità.
Anche se non ci dicevamo nemmeno "ciao".

Se tutti sono unici,lei lo era di più.

Temeva il mondo e riversava tutte le sue fissazioni sulle persone che amava.

Bisognava difenderlo proprio là dove avrebe dovuto essere sbuzzato come le bestie.
E nel frattempo mi sbuzzavo per me.

Ogni passo via da casa era una rinascita.
Nelle vene c'era rabbia ed euforia e quella benzina bastava a tutto.
Mettevo giù falcate solide con l'impressione di uscire dalla nebbia per la prima volta in assoluto,per entrare in un altro posto di me.

Per evitare i magoni avevo fatto morire i fragori belli dell'adolescenza,trattando le cotte come maledizioni e lasciandole là,ad appassire.
In qualche parte di me esisteva una casa spettrale,infestata dai fantasmi degli amori mancati.

Non lo avrei toccato nemmeno con la passera di un'altra.

Ora lo vedo chiaro:tutto era destinato a questo momento qui.
Ecco cosa era dovuto succedere perchè quel giorno preciso mi trovassi lì,al bancone di una bottega,nel cuore di un paesino sperduto in Maremma.

Un sasso nel deserto.
Proprio ora ce n'è certamente uno,da qualche parte.
Sta lì a fare il sasso e basta,senza che nessuno gli dia mezza occhiata.
Eppure c'è.
E se c'è vuol dire che qualcuno ce l'ha messo per un motivo.

Così andavo avanti e basta,come camminando su un filo.
Le giornate si rincorrevano veloci ma insieme montava un'angoscia da spaccarmi il respiro.

Samuele mi buttava in un mondo bello,solo col fatto di esistere a pochi metri da me.
Di lui conservavo l'immagine:mi restava l'idea,come l'impronta del sole,quando lo fissi per un momento.
Finchè sfuma e se ne va.
Ma il calore sulla pelle lo ricordi bene.

Mi sentivo in bilico su qualcosa di grosso che prima o poi sarebbe accaduto.

"Non hai paura di me?"mi chiese a bruciapelo.
Scossi la testa.
Su quello scalino con lui ci avrei passato la vita.
D'un tratto,l'unico terrore che avevo era di non rivederlo il giorno dopo.

Stare con lui era come accoccolarmi al centro delle cose perfette:non me ne fregava niente di come il mondo aveva dovuto muoversi per portarci lì.
Ci raccoglievamo l'un l'altra,cancellando il brutto che c'era stato e che ora ci splendeva negli occhi.
Restavamo a guardarci per tanto tempo con quel misto di impaccio e felicità.
Io lo accarezzavo e di tanto in tanto tornavo a cercargli le labbra,perchè ora mi sembrava di affogare a stare senza.
Quando arrivava l'ora di rientrare,mi avviavo a pugni chiusi.
Ma d'un tratto cedevo e tornavo di corsa a prendere altri baci,che comunque non mi sarebbero mai bastati fino al giorno dopo.
Ero innamorata di lui anche dieci anni fa.
Solo che ancora non lo sapevo.

Sentivo forte il rumore della vita che ci strillava dentro in ogni fibra.
Ora il modo era più giusto,senza due ombre buttate allo sbando nella corrente.

E' un male bello che voglio addosso per sempre,fino all'ultimo giorno e anche di più.

...quei suoi occhi fondi di strapiombo,dove ho continuato a precipitare per tanti giorni,fregandomene di quanto sarebbe stato duro lo schianto.

D'un tratto ringraziavo tutte le fatiche del vivere perchè in qualche modo mi avevano instradato lì,in quell'istante preciso,con lei.

Puoi avere le più belle intenzioni,ma il passato non finisce mai di perseguitarti.

Ci sfinivamo in qualsiasi momento.
Bstava un niente per ritrovarci con la carne in fiamme.
Le giornate erano fatte di poco e ai nostri occhi sembravano il succo del mondo.
Il solo fatto di averla accanto era qualcosa che mi faceva sentire baciato da Dio come capita a pochi.

Era la bambola di cristallo che avevo sempre sognato,ma viveva di continuo sul punto di andare in pezzi al primo colpo di vento.
Mandando in frantumi me,sopratutto.

Esistevo ma del tutto estraniato da me.
Non ero più una persona.
Ero uno strappo.

Mi era bastato ipotizzare l'idea che stessi perdendo tutto e in un attimo ero diventato baratro.
Ingoiato altrove,da un buio mai conosciuto.
Ora ridevo e scherzav con lei legata addosso,felice di avermi lì.
Dentro mi leccavo le ferite,come se fossi scampato di un soffio alla distruzione totale.
Che comunque restava dietro l'angolo.
La domanda che continuava a galleggiare nell'aria era spietata:ero sicuro di voler vivere così?
Del tutto sdraiato,vincolato,sottomesso a quel sentimento?

Ora che era entrata nella mia vita,le possibilità erano due:o lei o lei.
Potevo scalciare quanto volevo,ma era nei suoi occhi che trovavo tutte le conferme di me.
Prima ero uno tra tanti,falciato come chiunque dal grigio della normalità.
Adesso accecavo di luce ogni tizio che incontravo per strada.


Dissi di me.
Di dove venivo.
Quale silenzio porta addosso il figlio di una madre che passa la vita ad abbracciare gli alberi e le nuvole.
Va a finire che di nuvola ti senti anche tu,con i bordi del corpo che sfumano nel niente.
Eppure giri in mezzo alle persone,cercando di fare come loro:andare avanti.
Il viaggio continua,anche se ti rannicchi in un angolo a guardarti i piedi per 100 anni.

I nostri sguardi si incrociavano,tra un fritto misto e  un polpo con patate da portare al tavolo 7.
E sorridevamo all'unisono.

Due punti lontani si erano cercato da sempre,arrivando all'impatto,malgrado tutto.
Contro tutto.

Era un'ondata che non potevo comandare:che la combattessi o meno mi portava con sè.

Quello era l'unico luogo in cui dovevo essere:con lei accanto.

Se davvero questa è la realtà,non ci voglio stare più.

Vivendo con la fissa di essere colmata,sei andata in giro per una vita come un sacco vuoto.

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