giovedì 26 dicembre 2024

"La tentazione di essere felici" Lorenzo Marone (2015)


 LA TRAMA:
Cesare Annunziata è vedovo, ha settantasette anni e nessuna voglia di essere un vecchietto come si deve. Cinico e irriverente, trascorre le giornate fra le bevute in compagnia del mite amico Marino e le chiacchiere stentate con Eleonora, la gattara che abita sul suo stesso pianerottolo. A queste si aggiungono il tedio di una figlia in carriera, il tiro alla fune con un figlio che gli tiene nascosta un’omosessualità che lui ha indovinato da tempo e gli appuntamenti con Rossana, la matura infermiera che soddisfa gli anziani del quartiere per denaro. Questo equilibrio si spezza quando una giovane coppia si trasferisce nell’appartamento accanto a quello di Cesare. Inizialmente poco interessato ai nuovi vicini, l’uomo comincia a poco a poco a notare fatti e particolari strani, che alimentano la sua curiosità nei confronti di Emma, ragazza enigmatica e triste che porta negli occhi una richiesta d’aiuto. Quello sguardo obbligherà Cesare a scoprirsi ancora capace di compassione e di atti di generosità e di coraggio, e lo spingerà a navigare i segreti della coppia e a mettere in discussione tutto ciò che crede di sapere su se stesso. A osare, forse per la prima volta, vivere davvero.


IL MIO GIUDIZIO:
Conoscevo Lorenzo Marone per fama: quando uscì, "La tentazione di essere felici", fu un successo editoriale.
Il libro lo avevo preso circa un paio di anni fa nella bancarella di un book crossing, un po' perché ne avevo sentito parlare bene, un po' attratta dal titolo. Per diverso tempo l'ho tenuto nello scaffale dei romanzi in attesa di essere letti e poi, una decina di giorni fa, ho "sentito" che mi chiamava, tanto da indurmi ad accantonare quello che già avevo in mano, per iniziare questo. 

Devo dire che non me ne sono pentita...anzi, ho avuto modo di fare la conoscenza con un personaggio che mi ha ricordato l'altro mio favorito, ovvero Pete Marino, della saga di Kay Scarpetta.

Cesare Annunziata, un burbero dal cuore tenero, è un ragioniere in pensione di 77 anni che vive a Napoli, al Vomero. Vedovo da 5 anni di una donna che non ha mai realmente amato, padre di 2 figli ormai adulti, conduce una vita da lupo solitario, al limite della sociopatia, evitando qualsiasi contatto umano e frequentando esclusivamente Rossana, una prostituta con cui intrattiene una pseudo relazione, e i suoi due vicini di casa, Marino e la gattara Eleonora. 

Cesare si definisce cinico, scorbutico, egoista e burbero in realtà è altruista e generoso, sempre pronto ad aiutare il prossimo cercando soluzioni ai loro problemi, probabilmente per ovviare all'insoddisfazione e al senso di inutilità che sente dentro. Egli si reputa un fallito e un inconcludente perché non ha vissuto la vita che avrebbe voluto; non ha saputo cambiare il corso delle cose, restando accanto a una donna che lo ha costretto a condurre un'esistenza che non gli apparteneva. Proprio per questo motivo, sfoga la sua insoddisfazione, divertendosi a creare identità alternative, fingendosi ora maresciallo dei carabinieri ora detective per indagare nei fatti altrui.

Annunziata, pur reputandosi anziano e fisicamente un po' malconcio, non teme la vecchiaia, anzi la reputa un bel periodo perché si può fare ciò che si vuole senza rimpianti, tanto non ci sarà più tempo per pentirsi e scontare gli errori di scelte sbagliate come succede quando si è più giovani.
E, proprio in riferimento alla sua gioventù, ama divagare sul suo passato, fra rievocazione di amori i corrisposti,  perdite, sogni infranti e speranze disattese.

Un giorno, ad abitare nel suo stesso condominio, arriva una coppia di giovani sposi e, proprio a causa della sua predisposizione all'osservazione, Cesare si rende conto che la donna viene maltrattata e malmenata dal marito così, con il suo buon cuore, cerca in ogni modo di aiutarla.
Ma...ed è uno degli insegnamenti che quest'opera vuole darci, nessuno può aiutare né salvare nessuno, soprattutto chi non vuole essere salvato: in questo mondo, gli altri possono essere un supporto ma, di fatto, ci si aiuta e ci si salva da soli.

L'altro messaggio che Lorenzo Marone, per mezzo di Cesare Annunziata, vuole farci arrivare è che, se vogliamo avere "la tentazione di essere felici", bisogna saper scegliere anche quando è difficile, perché ci si incatena a qualcosa o a qualcuno ogni volta che non si sceglie. E ci si rovina la vita o quel che ne resta, visto che a nessuno è dato sapere quanto tempo c'è ancora a disposizione.




IL MIO VOTO:
Un libro semplice ma ben scritto, avvincente e delicato, a tratti poetico (ho amato in particolar modo il finale, con tutta la lista delle cose per cui vale la pena vivere), a tratti divertente ma ricco di spunti di riflessione. Consigliato!


LO SCRITTORE: 



Frasi dal libro "La tentazione di essere felici" di Lorenzo Marone

Nel letto, il cervello compie viaggi mentali allucinanti.

Chi si lamenta della vecchiaia è un demente. Anzi no, cieco mi sembra più azzeccato. Perché l'alternativa è una sola e non mi sembra auspicabile. Perciò già essere arrivato fin qui è un gran colpo di fortuna.

L'esperienza serve proprio a non commettere le stesse idiozie per una vita intera. Io non ho imparato nulla dal passato e continuo imperterrito ad agire d'istinto.

Una delle cose belle della terza età è che puoi fare ciò che vuoi, tanto non ci sarà una quarta nella quale pentirsi.

La verità è che ha sbagliato troppe scelte: studi, lavoro e marito. Con tutti questi errori sulle spalle non si può sorridere e fare finta di niente.

Non capisco come si possa decidere di propria iniziativa di trascorrere le giornate fra beghe inutili, come se la vita non fosse già piena di litigi, senza doverci aggiungere quelli degli altri.

Lei sapeva trarre il lato positivo da ogni esperienza. Io, invece, non mi sono mai accontentato di scovare un avanzo di bello nel brutto.


Alla loro età ogni scusa è buona per festeggiare e il compleanno è ancora visto come un traguardo da mettersi subito alle spalle per inseguire il successivo. Alla loro età non si è ancora capito che non si deve battere alcun record. Meglio arrivare fino in fondo a passo lento, gustarsi il paesaggio, mantenere un ritmo cadenzato e un respiro regolare per l'intero tragitto, per poi chiudere la corsa il più tardi possibile. Perché non so se i giovani lo sanno, ma una volta tagliato il traguardo non c'è nessuno che ti viene a decorare il petto con una medaglia.

Egoista è qualcuno che persegue il proprio benessere a ogni costo. Io il benessere non l'ho mai raggiunto. Anche come egoista sono un fallito.

Forse è vero che la vita gira in tondo e alla fine torna al punto di partenza: in un vecchio di 80 anni e in un neonato, se guardi con attenzione, riesci a scorgere le stesse paure.

Datti una mossa, non marcire in casa, fai qualcosa di folle, cerca di rimediare a tutto il non fatto della tua misera vita...ecco, appunto, il non fatto. Io sono lì, nel non fatto. La mia vera essenza, i desideri, l'energia e l'istinto sono conservati in tutto ciò che avrei voluto fare.

Agisco d'istinto: in alcuni casi o ci si lascia guidare da lui o non si combina nulla.

Se c'è da morire, ebbene, voglio farlo da vivo.

Tanto, se mi buttassero sulla Terra altre 10 volte, compirei sempre il medesimo percorso e cozzerei di continuo contro gli stessi scogli.

Se desideri qualcosa, l'attesa si trasforma in speranza e rende il tempo degno di essere vissuto.

È proprio vero che le cose che custodiamo con passione non muoiono mai, un po' come la casa dei nonni, che se chiudo gli occhi riesco ancora a visitare.

Ci sono tante persone sole al mondo che potrebbero incontrarsi, amarsi, essere felici, invece molti perdono tempo a inseguire china stento si accorge della loro esistenza.

Le persone accigliate, scontrose e sfiduciate, non sono cattive, è solo che, a differenza di altri, non sono state in grado di reggere la verità e cioè che il mondo non è un posto per i buoni.

La vita terrena dovrebbe essere come un viaggio in Oriente, un'esperienza che ci apre la mente e ci rende esseri speciali. Invece accade l'esatto contrario: ci tirano fuori dal buco nero che siamo candidi e ci infilano in una cassa dopo che ne abbiamo combinate di tutti i colori. Mi sa che qualcosa, nel lasso di tempo che restiamo quaggiù, non funziona a dovere.

Ho smesso di credere che dalla buca delle lettere possa uscire qualcosa di buono. Si sa, le belle notizie non vengono a cercarti fino a casa.

La pace è molto sottovalutata. Sì pensa che sia uno stato naturale dal quale ogni tanto ci si distacca, invece è l'esatto contrario: nella vita, la pace viene a farci visita solo in alcuni rari momenti e spesso neanche ce ne accorgiamo.

Brava, sorridi lo stesso, anche se fa male.

Nulla può essere controllato e l'unica cosa che ci è data di fare è vivere.

Ci si abitua anche ai silenzi e, alla fine, si conversa con loro.

Cosa c'è mai di tanto spassoso nel conoscere un nuovo individuo? Tanto siamo tutti uguali, chi più chi meno: un mucchio di difetti che passeggia per strada e incontra altri mucchi simili.

Ho paura che per alcuni, il bello incontrato da adulti non serva a cancellare il marciume che si portano dietro dall'infanzia.

Non so se i miei figli pensino che  io sia così rimbambito da non stare in piedi o se, al contrario, sono loro ad avere bisogno di un sostegno.

Se si è poco sinceri con se stessi si accumula repressione e rabbia. E c'è poco da fare, la rabbia, per l'organismo, è come le feci: un residuo che non serve e deve essere espulso. E io, per lei, sono un ottimo lassativo.

"Per te è sempre tutto facile. Sei infelice? Cambia lavoro, marito e figli. Le cose non sono così semplici come le dipingi"
"Perché sei giovane, quando invecchia e capisci che tempo ne rimane poco, hai voglia se diventa semplice cambiare".

Ci sono vite lineari e altre più tortuose. La mia, di sicuro, appartiene alla seconda categoria. Poche volte ho saputo davvero ciò che desideravo e come raggiungerlo, per il resto ho navigato sempre a vista.

Era accogliente, sapeva accogliere, e io sono sempre stato attratto da chi mi permetteva di succhiare amore senza pretendere altrettanto.

Non avrei commesso molte delle stupidaggini con le quali tentavo di dare un senso all'esistenza se avessi avuto un lavoro avvincente.

Una passione non ti serve a scrollarti di dosso la polvere che ti porti dietro dall'infanzia, ma almeno ti aiuta a chiudere gli occhi la sera e a non annaspare nei tormenti.

Vivere nella paura costante di un pericolo non serve a scongiurarlo, ma solo a gettare via un altro giorno della propria esistenza.

Quella donna ha bisogno di attenzioni e di un po' di umanità.

Può anche sorridere, fare battute, parlare in un italiano impeccabile, concludere la serata in modo brillante, ma non può cancellare dagli occhi il senso di inadeguatezza che si porta appresso. È una delle tante persone che vive per chiedere scusa, come se la sua esistenza potesse infastidire qualcuno.

Se dovessi aprire bocca solo quando sono certo di essere ascoltato, rimarrei muto per il resto dei miei giorni.

È una donna infelice che non si ferma un attimo per non rendersi conto di esserlo.

Crediamo che la vita non finisca mai e dietro l'angolo ci sia sempre la novità che cambierà tutto. È una specie di raggiro che facciamo a noi stessi, così da non prendercela troppo per un fallimento, un'opportunità svanita, un treno perso.

Non smettere di desiderare una vita diversa, continuare a rincorrere i sogni, non scendere alla prima fermata, anche se sembra la più comoda.

L'amore col tempo sfuma, come i colori di una fotografia, però per fortuna restano i contorni a ricordarti l'attimo che fu.

Grazie a lei avevo potuto osservare me stesso da una prospettiva nuova: la sua. I libri possono anche questo.

È vero, i sogni qualche volta suonano alla tua porta, ma solo se ti sei preso la briga di invitarli. Altrimenti puoi stare certo che la serata la trascorri da solo.

Si crede di non aver bisogno di nessuno finché ci si accorge di non avere più nessuno.

Non sono proprio il tipo che si affeziona alle cose, già ho qualche problema con gli umani.

È strano sentire qualcuno che mi esprime gratitudine, non ci sono granché abituato. Se ti dicono ripetutamente che sei stato un buono a nulla, alla fine ti convinci di non poter essere altro che un buono a nulla.

Solo di poche persone ci è concesso osservare la gioia, la disperazione, la rabbia, la sofferenza, il godimento o l'euforia dipinti sul viso. Per tutti gli altri bisogna accontentarsi dell' unica maschera a noi visibile.

Siamo due anime slegate che cercano di affrontare la mareggiata come possono.

Bisogna imparare presto a osservare le vite altrui così da non vomitare ingiustamente sulla propria.

Più persone ami, meno dolori eviti

Ti illudi per una vita di aver cambiato direzione, salvo poi accorgerti che alla fine la scorciatoia ti ha riportato sulla via dalla quale provieni.

È troppo arrabbiata con la vita per gustarne le mille sfaccettature.

La paura è una rompiscatole, una vocina insistente e fastidiosa che più la scacci e più ritorna. Eppure sai che cosa ho capito? Che in realtà quella vocina sta facendo solo il suo lavoro, tenta di salvarti da te stesso: ti vuole avvertire che, se non ti muovi, ben presto le cose dentro di te inizieranno a marcire.

Vivere d'istinti. Finirla di mettere inutili paletti mentali. Se segui l'istinto, non sbagli mai. Gli uccelli ogni anno migrano senza chiedersi il perché. Ecco, anche noi dovremmo fare altrettanto: muoverci di continuo e non porci troppe domande. Io ne me sono fatte tante negli anni e sono rimasto immobile. Ora voglio migrare ogni giorno un po'.

I vecchi non possono commuoversi: già se la fanno sotto, se si mettono anche a frignare è come frequentare un neonato.

Continuare a masticare rabbia è più faticoso che metterci una pietra sopra.

Nella vita, a volte, avverti un piccolo scampanellio accanto all' orecchio e quando lo senti, solleva il capo e drizza le orecchie perché sei di fronte a uno di quegli snodi invisibili e ti assicuro che a sbagliare rotta è un attimo.

Come i bambini era pieno di entusiasmo, generosità e slancio, ma come i bambini, al contempo, era insicuro, fragile, pauroso.

"E comunque ci si abitua a tutto nella vita, no?"
Non ci si abitua, si rinuncia a cambiare le cose, è ben diverso.

La vita non è stata gentile con lui, eppure ha continuato a non toglierle il saluto. Il tempo gli è servito per farsi amico il dolore.

Fino a che non vivi in prima persona in dolore, non lo puoi capire. Eppure quanta gente usa impropriamente le parole "ti capisco". 

Fatevi pure tutto il male del mondo tu e tuo marito, ma tenete fuori il bambino. Fatelo crescere lontano dal vostro odio, riparatelo dai vostri rimpianti, nascondetelo ai vostri sguardi privi di amore. E se proprio non ne siete capaci, lasciatevi. Un bambino che cresce senza uno dei due genitori sarà forse un adulto incompleto e insicuro, ma chi cresce nell'odio e nella violenza non saprà mai amare. E non c'è torto peggiore che un genitore possa fare.

Non sono i legami di sangue a creare l'intimità, è la convivenza. Anche una madre, con il tempo e la lontananza, diventa un'estranea.

Era capace di starsene zitta per ore, giorni e settimane, in attesa che il risentimento volasse via. Non vorrei dire fesserie, ma credo che la malattia si sia nutrita di energia repressa, di quel rancore ingoiato, per svilupparsi.

Le vie di mezzo servono a non prendere la strada giusta, quella che ti porta dritto dove vuoi e devi andare. L'essere umano è un maestro nel girare a vuoto pur di non raggiungere l'obiettivo che lo terrorizza.

Decidi di scegliere, non fare come me e come il resto del mondo. Non sai quante coppie sono unite dalla non scelta.

Ci si abitua alla solitudine e si dimentica di come la notte faccia meno paura se c'è qualcuno che ti respira accanto.

Io sono come la corda di una chitarra: in pace con me stesso finché qualcuno non mi pizzica. Da quel momento, inizio a vibrare all'infinito.

La vista di quel luogo mi aveva fatto tornare indietro nel tempo e, alla mia età, è molto pericoloso procedere a ritroso.

"Lasci stare".
È proprio perché tutti lasciano stare che qui la gente continua a essere insolente.

Bisogna sempre concedersi il meno possibile affinché negli altri non si creino eccessive aspettative.

Ho paura, quella vera, che si prova solo poche volte nella vita e ti paralizza i muscoli e il pensiero. E se le si dà troppo ascolto si finisce su una poltrona, a scrutare il mondo da lontano.

Non si impara mai come affrontare il dolore, si vive e basta.

Non faccio domande perché non voglio sentire risposte.

Anche nella vita di un povero pesce rosso conta la fortuna. Lui si è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. A nessuno è dato di scegliere dove sarà collocata la sua boccia di vetro, se nella tranquilla cucina di un vecchio pensionato o sul mobile del corridoio di una casa nella quale si consumerà una tragedia. È il caso, così si dice, a decidere. E a volte può stabilire che il nostro mondo debba andare in mille pezzi e a noni non resti che boccheggiare nella speranza che qualche anima pia passi da lì e ci raccolga.

Cerchiamo di circondarci di persone nell'illusione di sentirci meno esposti, ma la verità è che in sala operatoria si entra da soli. Noi e il nostro corpo. Nulla più.

Purtroppo la vita mi ha insegnato che nessuno può aiutare nessuno. Ci si salva da soli, se si vuole.

Gli ospedali sono posti strani, dove le gioiesi contengono per non dare troppo fastidio ai dolori.

A volte bisognerebbe spegnere il cervello, un'altra delle cose sulle quali non abbiamo potere.

Come si fa ad abolire lo stress? L'ansia, per l'uomo, è uno stato fisiologico e, per abbatterla, sarebbe necessario eliminare la consapevolezza. L'intelligenza è un bene prezioso ma non ci aiuta a capire il perché della nostra presenza sulla Terra. Non fornisce risposte, anzi, crea nuove domande. E troppe domande aumentano l'infelicità. Non so se in natura esistano esseri viventi, a parte l'uomo, che si tolgono la vita, ma anche se così fosse, noi siamo gli unici a farlo per il male di vivere. Perché? Perché chi ci ha plasmato ha sbagliato la miscela degli ingredienti, ecco perché.

Siamo come formiche e, ciononostante, c'è ancora chi perde tempo a sentirsi più importante della formica a suo fianco.

Ci insegnano le equazioni, il 5 Maggio a memoria, i nomi dei 7 re di Roma e nessuno ci chiarisce come affrontare le paure, in che modo accettare le delusioni, dove trovare il coraggio per sostenere un dolore.

In desiderio, più è irrealizzabile, più arde incessante.

Per vivere una vita davvero degna, bisognerebbe prendere decisioni importanti ogni mattina. Purtroppo, per me, scegliere è logorante e non l'ho mai fatto. È per questo che sono stato un incompiuto.

Ti incatenò a qualcosa o a qualcuno ogni volta che non scegli.

Non basta intuire, bisogna fare. Solo che il fare richiede qualcosa non da tutti: il coraggio. Per cambiare una vita ci vuole proprio una bella scorta di audacia. È tutto qui il problema.

La vita va avanti e non si cura dei pezzi che lascia per strada.

I bastardi che picchiano le mogli lo fanno perché sanno di poterselo permettere. Lei non si amava e all' inizio quasi considerava normale essere malmenata.

Bisogna invecchiare per arrivare a ridere della vita.

Ci sono due modi per affrontare le cose: con disperazione o con ironia, e nessuna delle due cambia le carte in tavola. Il risultato finale non spetta a noi deciderlo, ma come trascorrere gli ultimi minuti di recupero, quello sì.

Mi piace il profumo di cucinato che arriva da una finestra aperta o la tenda che d'estate si scosta per fare passare il vento.
Mi piacciono i cani che per ascoltarti inclinano la testa o una casa appena imbiancata.
Mi piace quando un libro mi attende sul comodino.
Mi piacciono i barattoli di marmellata e la luce gialla dei lampioni.
Mi piace palpare pa carne e il pesce crudi.
Mi piace il rumore di una bottiglia stappata.
Mi piacciono i luoghi familiari, mi piacciono le guance rosse e il tremore della voce.
Mi piace l'odore dei bambini appena nati e il suo o di un pianoforte.
Mi piace il rumore della ghiaia calpestata e le strade chi si dipanano come torrenti fra i campi.
Mi piace infilare i piedi nella sabbia.
Mi piace l'odore di una saponetta nuova e il calcio la domenica pomeriggio, i vetri appannati nelle giornate fredde.
Mi piace quando una persona ti dice "ti amo" con gli occhi.
Mi piace lo scoppiettio delle castagne sulla brace.
Mi piace il silenzio delle sere d'estate e il rumore della risacca di notte.
Mi piace il cinguettio fuori dalla finestra, l'acqua che bagna i piedi e la corte vi fi un vecchio ulivo.
Mi piace l'odore di camino mentre passeggio fra i ciottoli di un paese di montagna.
Mi piace la pasta fatta in casa e le scritte sui muri.
Mi piace l'odore di sterco in un campo e i mestolo di legno. 
Mi piace il cactus che sa adattarsi e il rumore di un ruscello nascosto.
Mi piace il cuoppo di alici fritte.
Mi piace il profumo dei capelli.
Mi piace il borbottio della caffettiera sul fuoco, i sassi levigati dal mare e il suono delle stoviglie al ristorante.
Mi piace il rumore di un gatto che si aggira furtivo fra le auto e il cigolio di un vecchio mobile.
Mi piace il saluto da lontano e lo sguardo curioso del turista che osserva la città.
Mi piacciono i viali alberati.
Mi piace l'odore delle salumerie.
Mi piace chi suona per strada.
Mi piace il colore dei pomodori e l'odore della crema sul corpo.
Mi piacciono i pomeriggi estivi accompagnati dal canto dei grilli.
Mi piace sfilare uno spaghetto dall'acqua bollente e addentarlo.
Mi piace l'odore di pesce di un vecchio peschereccio incrostato di ruggine e la luna che dipinge in acqua la scia.
Mi piacciono le fotografie che permettono di viaggiare nel tempo.
Mi piace lo scricchiolio del pavimento di legno.
Mi piacciono i difetti.
Mi piace un vecchio rudere in mezzo a un campo di grano.
Mi piace guardare dall'alto una spiaggia tappezzata di ombrelloni colorati.
Mi piacciono le vecchie canzoni che ti bloccano il respiro.
Mi piace il granchio che fugge nell'incavo dello scoglio.
Mi piace la porta di calcio dipinta su un muro senza intonaco.
Mi piace sentire la mano della persona che amo dietro la nuca.
Mi piacciono gli uccelli che si ripara o sotto in cornicione e attendono che spiova.
Mi piace la città che dorme e la vista di un secchiello e una paletta adagiati sulla sabbia.
Mi piace la lumaca che si trascina verso un riparo.
Mi piace lo scampanellio di una bici.
Mi piacciono le lucertole che invece di scappare restano immobili.
Mi piacciono le croci sui picchi delle montagne.
Mi piace il bianco delle case di mare e i vecchi cortili con i panni ad asciugare.
Mi piace quando un ricordo mi viene a trovare.
Mi piace il vento e i frutti maturi che abbandonano il ramo.
Mi piacciono le formiche che bevono da una goccia di rugiada.
Mi piace un campetto di periferia.
Mi piacciono le strade che raggiungo il mare.
Mi piace camminare scalzo d'estate.
Mi piacciono i volti increspati dalla vita.
Mi piace un uomo che lavora nei campi.
Mi piace chi ama un figlio non suo.
Mi piace l'odore di limone che si attacca alle dita.
Mi piace l'aroma dei pini e il profumo del bucato appena steso.
Mi piace il picchiettio della grandine sui vetri e la consistenza del tufo.
Mi piace il sapore del caffè e quello della cioccolata.
Mi piacciono le travi di legno al soffitto, le briciole di pane e gli oggetti che nessuno usa più.
Mi piace incrociare lo sguardo di uno sconosciuto.
Mi piacciono i movimenti sicuri di un pizzaiolo, l'abbraccio di quando si esulta, la mano del neonato che afferra il vuoto.
Mi piace l'edera che si arrampica sulla facciata di un edificio.
Mi piace il pesce che spilluzzica sulla superficie dell'acqua e fugge via.
Mi piace chi legge alla fermata dell'sutobus.
Mi piace chi non progetta troppo e chi sa stare da solo.
Mi piace una cucina in una veranda.
Mi piace chi vede il bicchiere sempre mezzo pieno.
Mi piacciono i capelli bianchi e la bilancia di ferro che usavano un tempo i fruttivendoli.
Mi piace lo schiocco delle labbra sulla pelle.
Mi piace chi ama per primo.
Mi piace la luce del cielo quando non c'è più il sole.
Mi piace l'erba che vince sull'asfalto.
Mi piace chi non coltiva rancori.
Mi piace una libreria.
Mi piace l'istante prima del bacio.
Mi piace scrutare i palazzi di una città sconosciuta.
Mi piace la donna che ama il cibo.
Mi piace leggere un libro all'ombra.
Mi piace chi ha la forza di credere con tutto se stesso in qualcosa.
Mi piacciono i nidi delle rondini.
Mi piace chi ancora si stupisce davanti alle stelle.
Mi piace l'odore della brace e i muretti che accolgono gli amori di un'estate.
Mi piacciono i ragazzi che si baciano su una panchina e le lenzuola stropicciate dopo una notte d'amore.
Mi piace il ronzio di un ventilatore in sottofondo.
Mi piacciono le balle nei campi.
Mi piace chi sa chiedere scusa.
Mi piace chi non ha ancora capito come raccapezzarsi su questa Terra.
Mi piace chi sa chiedere.
Mi piace chi sa amarsi.
Mi piace chi combatte ogni giorno per essere felice.


giovedì 21 novembre 2024

"Tutta la vita che resta" Roberta Recchia (2024)


 

LA TRAMA:
Marisa e Stelvio Ansaldo, nella Roma degli anni Cinquanta si innamorano nella bottega del sor Ettore, il padre di lei. La loro è una di quelle famiglie dei film d'amore in bianco e nero, fino a quando, anni dopo, l'adorata figlia sedicenne Betta - bellissima e intraprendente - viene uccisa sul litorale laziale, e tutti perdono il proprio centro. Quell'affetto e quella complicità reciproca non ci sono più, solo la pena per la figlia persa per sempre. Nessuno sa, però, che insieme a Betta sulla spiaggia c'era sua cugina Miriam, al contrario timida e introversa, anche lei vittima di un'indicibile violenza. Sullo sfondo di un'indagine rallentata da omissioni e pregiudizi verso un'adolescente che affrontava la vita con tutta l'esuberanza della sua età, Marisa e Miriam devono confrontarsi con il peso quotidiano della propria tragedia. Il segreto di quella notte diventa un macigno per Miriam fin quando - ormai al limite - l'incontro con Leo, un giovane di borgata, porta una luce inaspettata: l'inizio di un amore che fa breccia dove nessuno ha osato guardare.


IL MIO GIUDIZIO:
"Tutta la vita che resta", opera prima dell'autrice Roberta Recchia, uscito in Italia nel Marzo del 2024 e già pubblicato anche in altri 15 paesi, è il successo editoriale del momento. Un po' per spocchia, un po' per partito preso, non amo leggere best seller troppo commerciali ma, avendone sentito parlare così bene e con così tanto entusiasmo in un gruppo su cui sono iscritta su Facebook, ho deciso di fare uno strappo alla regola e direi di aver fatto bene. 

Questo romanzo ammalia e avvince sin dalle prime pagine. È una storia dolcissima ma dura e straziante allo stesso tempo, suddivisa in un prima e in un dopo. Il prima va dal 1956 al 1980 e racconta dell'amore semplice e pulito fra Marisa Balestrieri, figlia di un rinomato bottegaio di Roma, e Stelvio Ansaldo. Un rapporto che, inizialmente, doveva essere di convenienza ma che, in poco tempo, si trasforma in un sentimento sincero e profondo. La seconda parte, invece , comincia il 10 Agosto del 1980, giusto una settimana dopo la strage di Bologna quando, durante la notte delle stelle cadenti, sulle spiagge del litorale laziale, perde la vita Betta, la bellissima figlia sedicenne di Marisa e Stelvio, aggredita, stuprata e uccisa da un gruppo di balordi, mentre si sta recando, di nascosto dai genitori, al falò di San Lorenzo.
Questa tragica notizia sconquassa gli animi di tutto il paese, soprattutto, quelli di Marisa e Stelvio che affrontano la sofferenza ognuno a modo proprio ma, di fatto, allontanandosi l'uno dall'altro.

Il dolore più atroce, però, è costretta a provarlo Miriam, cugina di Betta e sua coetanea, figlia di Emma, l'altezzosa e algida sorella di Marisa. Nessuno lo sa ma, quella notte, in spiaggia c'era anche lei e, come la cugina, aveva subito un abuso, pur avendo salva la vita. Alle prime luci dell'alba aveva fatto rientro a casa e si era rimessa a letto, facendo finta di nulla ma portandosi dentro un orrore che avrebbe rivissuto senza soluzione di continuità per le ore, i giorni, le settimane e gli anni a venire e che avrebbe stravolto il suo carattere e il suo aspetto fisico. 
"Un fragile equilibrio fra vivere e morire", la definisce l'autrice, anche se Miriam, più che morire, vorrebbe semplicemente dissolversi, sparire. Perché teme che anche nella morte vi sia dolore e lei, di dolore, non ne vuole provare più. 

Fino all'incontro con due meravigliosi angeli dall'animo buono e dal cuore grande che, con il loro amore e il loro affetto, cercheranno di farla riemergere dall'abisso in cui è sprofondata.

Cosa vuole trasmetterci questo libro? Innanzitutto che, talvolta, la seppur giustificata sofferenza per la morte di una persona cara, può distoglierci da quella che sta provando chi è ancora vivo (nessuno nota il disagio di Miriam perché tutti troppo incentrati sulla pena per la scomparsa di Betta).

L'altro messaggio, invece, è un inno alla positività: in questa vita, tutto ciò che accade, persino gli eventi più brutti, hanno un loro senso, il quale fa parte di un disegno divino che, da esseri umani, non ci è dato comprendere, o non almeno nell' immediato. Ciò che possiamo fare per andare avanti, è fare i conti con le proprie ferite, accettarsi per quello che si è e, soprattutto, amare. Perché è soltanto l'amore che può salvarci dalle brutture del mondo. 
Il passato, ciò che è stato, non può essere in nessun modo modificato, ma si può forgiare un nuovo futuro, riempiendolo di fiducia e di speranza per poter vivere al meglio, appunto, tutta la vita che resta.

Riguardo al finale, avevo letto pareri discordanti: per quanto il libro in sé sia stato apprezzato, in molti avevano criticato all'autrice un finale un po'  "cinematografico" oppure frettoloso. In ogni caso non all'altezza del resto della narrazione. Si sa che, in un romanzo, il finale è quasi sempre la parte più difficile e un finale rabberciato può compromettere anche la storia più appassionante. In realtà a me non è sembrato male: ho trovato originale la specularità con l'inizio del libro, in una sorta di "continuità generazionale". Mi è dispiaciuto solo per la sorte che ha riservato a uno dei personaggi. Onestamente non ho compreso il motivo per cui abbia assegnato un così triste destino a una delle figure più dolci di tutta l'opera.


IL MIO VOTO:
Romanzo avvincente e ben scritto, a tratti duro, a tratti toccante, che appassiona sin dalle prime pagine. Un debutto letterario di tutto rispetto. Consigliato!


LA SCRITTRICE:




Frasi dal libro "Tutta la vita che resta" di Roberta Recchia

 "Questa casa così sola mi mette tristezza"
"Non è sola, è piena di ricordi"

Sentì dentro, all' improvviso, una grande tranquillità. Aveva smesso di sentirsi sola, alla deriva: lui le offriva un approdo.

Quel lavoro gli stava costruendo il futuro ma intanto gli mangiava il presente.

Esplorava il mondo senza falsi pudori, quella figlia priva di ipocrisia a cui piaceva essere esattamente ciò che era: bella, sveglia, amata e felice. Perché non avrebbe dovuto essere felice, visto che la vita a lei, proprio a lei, aveva deciso di dare tutto?

Sì era svegliata sentendosi un recipiente vuoto, in cui ciò che le accadeva intorno rimbombava e la lasciava indifferente. Sembrava che la sofferenza le avesse lavorato dentro, instancabile, per scarnificare ogni sentimento. L'aveva uccisa senza che lei se ne accorgesse. Era quieta, lontana dalle cose della vita.

Aiutami, perché la mia fede vacilla e senza la mia fede ho votato l'esistenza al niente.

Chi le stava accanto non percepiva che un'assenza minima del pensiero, un momentaneo disinteresse. Lei invece l'ottava per non soccombere ai suoi demoni, ogni volta.

Restava viva perché persino la morte le faceva terrore. Avrebbe voluto sparire, non morire. E se la morte non fosse stata solo niente? Non si fidava più neppure dell'idea della morte. Non c'era rifugio. Questo era diventata: un equilibrio fragile fra vivere e morire.

Il suo bisogno di tregua, a un certo punto, sarebbe diventato più forte della paura di quello che potesse significare morire. L'avrebbe spinta giù dalla corda su cui stava in equilibrio, come il repentino tocco di un dito sulla spalla.

Lei era così: la sofferenza degli altri se la sentiva tutta addosso, anche se non gliela raccontavano. Forse perché ne aveva provata tanta.

La dolcezza, anziché confortarla, la puniva con il ricordo delle cose finite per sempre.

"Io sono così"
"Così come?"
"Così", ripeté rassegnata.

Si può essere disperatamente soli in tanti modi, in ogni momento.

Era una donna in trappola, condannata a vivere una vita a metà in cui aveva portato comunque tutta la sua incomparabile bellezza.

Aveva deciso che alle brutture della vita non voleva arrendersi. Sì era scoperta forte: più la schiacciavano, più tirava su la testa. Era convinta che, nella vita, anche le cose brutte, alla fine, un senso ce l'avessero. Perché altrimenti c'era da impazzire di disperazione e lasciarsi seccare come le piantine senza acqua.

Gli erano bastati 2 notti per convincersi che per ragioni che non comprendeva, erano giusti l'uno per l'altra. Giusti e decisamente male assortiti.

Lui riusciva a essere giusto e sbagliato nello stesso tempo.

Non sapeva alleggerire il dolore ma poteva ascoltare, comprendere.

Era convinto che lei una vita neppure ce l'avesse. Se ne stava in un buco profondo: se ti affacciavi la intravedevi, magari lasciava anche che la tirassi su un po', per respirare quanto le bastava per restare viva. Poi ripiombava nella voragine e il peggio era che rischiavi di cadere dietro, se non stavi attento.

Quando due ci tengono affrontano insieme pure i problemi. Per le brutte cose c'è un rimedio e dal male si può guarire solo stando accanto a qualcuno che ci tenga.

Prendersi cura di lei lo metteva in contatto con la parte migliore di sé stesso, lo faceva sentire vulnerabile e forte allo stesso tempo.

Lo aveva messo al centro di quel suo mondo senza punti di riferimento e restava in equilibrio solo per lui, si nutriva perché lui la nutriva.

Un adulto il dolore non lo può subire: ne deve affrontare le conseguenze, decidere, fare scelte. Fare qualcosa. E lui si sentiva morire perché era un adulto ma non sapeva cosa fare.

Devi capire com'è andata. Se non lo capisci, non la puoi aiutare.

Le cose bisogna dirsele, quando sono belle. Ma pure quando sono brutte. Perché se due scelgono di stare e, è necessario.

Non è finito niente. È che bisogna crescere. Che vuoi cancellare? Non c'è soluzione. Quello che è successo è successo. Però insieme ce la facciamo. Ci prendiamo il tempo che serve: un anno, dieci, cento...io sto qui.

Nonostante tutto, ancora una volta non l'aveva lasciata andare.

Ormai mangiavano senza piacere, senza quella complicità degli eccessi che avevano ammorbidito loro il corpo negli anni passati: il piatto di pastasciutta colmo, il pane in abbondanza sulla tavola, il dolcetto insieme al caffè dopo pranzo, gustato tra una chiacchiera e l'altra. Non lo sapevano, eppure il segno di quanto fossero felici stava in quei dettagli insignificanti che erano svaniti con la vita di prima.

I maschi sono così: il cervello, prima di migrargli nella testa, staziona a lungo nei testicoli e quando arriva alla testa è quasi sempre tardi.

Si sentì insignificante e inutile davanti alla potenza di un male così, che marca il passaggio tra una vita e un'altra, tra un prima e un dopo e poi svanisce senza lasciare alcun danno apparente.

In lui c'era un candore che le brutture della vita non avevano scalfito. Lui non era corrotto, credeva sul serio che una giornata di sole potesse farti fare pace con l'esistenza, che la pizza con la mortadella alleviasse ogni sofferenza, che essere fragili fosse bello perché la vulnerabilità rende l'amore indispensabile. Lui di amore traboccava e per stare bene a sua volta gliene serviva tanto, come se fosse tenuto in vita da quel semplice circolo virtuoso. Ma era affamato d'amore anche perché, per qualche ragione, era convinto di non meritarselo, di non essere mai all' altezza. Lui la bellezza del suo cuore non la vedeva, la tenerezza delle sue stesse parole non sapeva ascoltarla, perciò chiedeva perdono di continuo: sentiva di meritare molto meno di quel poco che riceveva.

Avrebbe voluto un consiglio, un' idea che fosse giusta, non frutto di quella testa confusa.

Avevano vissuto immersi in un'insospettata bellezza che si sarebbe rivelata solo dopo, nel tempo della nostalgia.

Stagli sempre vicino, a quelli che gli vuoi bene. Stagli vicino, non li lasciare soli. Tutto s'aggiusta, basta volersi bene e la forza si trova.

Sì era spezzata, tanto era fragile.

Sì concedeva l'illusione di lenire il freddo dell' anima con il calore del vino, perché non poteva dire al mondo che era troppo debole per sopportarlo, quel dolore. Doveva puntellarsi con quella bottiglia che era come una gruccia.

Se ne stava con la testa china, in silenzio, a scontare una pena che gli aveva inflitto per qualcosa di cui non aveva colpa. Solo perché se ferirlo poteva alleviare un minimo la sua sofferenza, per lui andava bene, si prendeva la solitudine, l'indifferenza e il rifiuto.

Cercava di dormire per avere meno tempo da occupare con gli occhi aperti.

Era necessario scavare, accettarsi con le proprie ferite, anche le più inguaribili, poi ricostruirsi e trovare la forza di guardare avanti. Il segreto è l'amore, che ti salva, sostiene con te il dolore affinché non ti schiacci, ti cura.

In fondo non era detto che la tristezza dovesse essere sempre amara.

Il dolore che li accomunava li aveva resi inadeguati a qualsiasi mondo che non fosse il loro.

Ci aveva messo il cuore, anche quando la vita glielo aveva straziato.

Possiamo chiuderci nel dolore o decidere di prendere il buono che abbiamo intorno. È difficile. Ma ho bisogno di credere che in tutto quello che è stato ci sia un senso che ora non possiamo comprendere. Che un giorno tutto sarà chiaro, che quanto è stato non è che il dettaglio di un disegno che ancora non abbiamo occhi per vedere. Arriverà mai il momento in cui sapremo che tutta l'ingiustizia, la sofferenza, non sono state che un insignificante granello nel perfetto equilibrio delle cose?

Non hai votato la tua vita al niente, l'hai votata alla speranza. Perché cosa ne è, di noi, senza la speranza?








giovedì 5 settembre 2024

"Niente di vero" Veronica Raimo (2022)



LA TRAMA:
La lingua batte dove il dente duole, e il dente che duole alla fin fine è sempre lo stesso. L'unica rivoluzione possibile è smettere di piangerci su. In questo romanzo esilarante e feroce, Veronica Raimo apre una strada nuova. Racconta del sesso, dei legami, delle perdite, del diventare grandi. E nella sua voce buffa, caustica, disincantata, esplode il ritratto finalmente sincero e libero di una giovane donna di oggi. "Niente di vero" è la scommessa, riuscita, rarissima, di curare le ferite ridendo.


IL MIO GIUDIZIO:
Mi sento un po' in difficoltà, in quanto, solitamente, recensisco solo libri che mi abbiano appassionato veramente, mentre quelli che non mi coinvolgono fino in fondo, li abbandono al loro destino e mi dedico ad altre letture. Quest'opera non è che mi abbia annoiata, anzi... è scritta in maniera scorrevole e con uno stile ironico, solo che dice tanto ma, di fatto, non racconta niente; è molto fumo e poco arrosto...giunta all'ultima pagina mi sono trovata a domandarmi:"E quindi?". 
Mi ha lasciato in bocca un senso di incompiuto...vengono narrati una serie di eventi senza un apparente filo logico che danno un senso di caotico e di inconcludenza. 

Sono sincera: non conoscevo né l'autrice né l'opera. Me ne aveva parlato un'ospite che ha soggiornato nella struttura dove lavoro e che, dopo aver letto i miei libri, mi aveva confessato che i miei racconti di vita vissuta le avevano ricordato questo romanzo, vincitore del Premio Strega 2022. La cosa mi ha incuriosito e ho deciso di leggerlo. 
È vero, stilisticamente e per i contenuti autobiografici, forse un po' ci assomigliamo ma, per tutto il resto, mi sento di dissentire. Io, nella mia esposizione, sono assai ironica e autoironica, a tratti dissacrante, a tratti esilarante ma tendo sempre a sdrammatizzare ogni situazione per fare scaturire un sorriso in chi legge; la Raimo, invece, nello sviscerare le ossessioni della sua famiglia disfunzionale tende al parossismo, lasciandoti addosso una sensazione di malessere e disagio: un petulante fratello maggiore genio incompreso, due nonni un po' naif, dei genitori ansiosi, apprensivi,iperprotettivi, oltremodo assillanti e ipercontrollanti che stanno insieme tutta la vita senza amore né passione, tediandole l'esistenza tanto che, la stessa autrice, sembra vivere in un mondo tutto suo, disconnessa dalla realtà. 

Come si evince anche dal titolo "Niente di vero", ciò che viene narrato in queste pagine, non si sa nemmeno se corrisponda alla realtà oppure no: quando era bambina, Veronica scriveva un diario segreto, inventando di sana pianta per depistare sua madre, che sapeva che lo avrebbe letto. In quei diari non c'era, appunto, "niente di vero". Ma anche in tutta la sua famiglia, come ci spiega, c'è sempre stata l'abitudine ad inventare, ad alterare una realtà non gradita, a proprio piacimento, tanto è vero che i ricordi comuni sono tutti differenti, in quanto ognuno di loro si è creato la propria versione dei fatti nella sua testa. Quindi, c'è da chiedersi se le pagine di questo libro siano realmente autobiografiche o se siano una sorta di fiction. 

Onestamente e senza falsa modestia, penso che se quest'opera si è aggiudicata il Premio Strega, allora potrei benissimo vincerlo pure io. Non dico "Ho sbloggato" che è ancora un po' "immaturo" ma gli altri due non vedo cosa possano avere in meno di "Niente di vero", se non che lei pubblica con Einaudi e io mi devo arrabattare ad autopromuoverni con Youcanprint.

Al di là di tutto, comunque, mi sento di consigliarne la lettura: da scrittrice so quanto lavoro, passione e fatica ci siano dietro la stesura di un libro e ciò va sempre rispettati: il fatto che non sia "arrivato" a me non significa che sia un'opera mediocre, ma semplicemente che non si confà ai miei gusti che sono strettamente personali. A me non ha entusiasmato ma ciò non vuole dire che, invece, non possa piacere e pure molto, ad altre persone.




IL MIO VOTO:
L'intento è quello di fare sorridere, portando al parossismo le ossessioni di una famiglia un po' disfunzionale ma, in realtà, ciò che mi ha trasmesso è una sensazione di disagio e, soprattutto, di inconcluso. Scritto bene ma, personalmente non mi ha entusiasmato (ovviamente è il mio modesto parere, non certo un imperativo categorico!)


LA SCRITTRICE: