venerdì 30 dicembre 2022

"La storia di un vecchio partigiano" Aroldo Colombini (2014)


 

LA TRAMA:
Opera inedita che contiene le memorie di Aroldo Colombini, classe 1925, partigiano nella brigata del tenente Gino, nei boschi della Maremma toscana, durante la Seconda Guerra Mondiale.




IL GIUDIZIO:
Il libro di cui vado a parlarvi oggi, purtroppo, almeno per il momento, non è acquistabile, in quanto si tratta di un'opera unica e inedita, non presente in commercio. È la storia dello zio del mio amico Maicol (o meglio, prozio, in quanto zio di sua madre) che ha combattuto da partigiano nei boschi maremmani durante la Seconda Guerra Mondiale, quando era poco più che diciottenne.

La narrazione ha uno stile molto colloquiale, ci sono parecchi termini toscani (ad esempio "brindellone" che significa "uomo alto e allampanato", "cami" che sarebbe il plurale di "camion", oppure "chiuchiurulaia" che sinceramente non so cosa significhi, seppur sia toscana anche io); 
vi sono alcuni errori ortografici e una consecutio temporum non lineare ma, tutto sommato, è scritto in maniera più che distinta.

Partendo dalla sua nascita, inizialmente figlio illegittimo e solo in un secondo momento riconosciuto dal padre, obbligato dal suo, di padre, a sposare la ragazza che aveva messo incinta, racconta l'infanzia travagliata, con un genitore che gli preferiva i fratelli nati successivamente;  i chilometri macinati sotto il sole e la pioggia per frequentare le scuole; i pomeriggi trascorsi a pascolare le pecore con addosso un maglione di lana che gli faceva pizzicare le pelle; il lavoro nella miniera di carbone per guadagnare qualche soldino, fino ad arrivare ai sabati in cui, a causa di una legge ideata da Mussolini, si trova a dover fare il premilitare, ovvero essere istruito a fare il soldato. Stanco di "allenarsi" indossando duri zoccoli di legno, fa domanda per poter ottenere scarponi e divisa, senza sapere che quella "domanda" corrisponde a una richiesta per entrare volontario nella milizia nazionale. 
Così, per evitare di essere spedito nella campagna di Russia e ripugnando l'ideologia fascista, insieme al suo fedele amico Dino, si dà alla macchia, unendosi a un gruppo di partigiani capitanati dal tenente Gino. Per mesi, con i compagni, vaga per i boschi della Maremma, scampando più volte alla morte e, talvolta aiutato da qualche anima buona che li rifocilla di cibo (perlopiù la famosa "acquacotta maremmana"), racconta come, alla fine, lui e il suo gruppo siano riusciti a liberare il suo paese, Cana, (piccolo borgo situato nei pressi di Roccalbegna, in provincia di Grosseto) dal dominio delle camicie nere.

Ripeto, nonostante non sia in commercio, ho letto con piacere, e con altrettanto piacere lo recensisco, questo libro dove il buon Aroldo, ormai anziano, rievoca i momenti della sua prima giovinezza, rendendoci partecipi di un pezzo importante della nostra Storia. 
Nonostante si sia trovato, poco più che ragazzo, a vivere situazioni drammatiche, a fare i conti con il freddo, la fame, la sofferenza e la morte; in poche parole a vivere la guerra in prima persona, vedendo cadere i compagni davanti ai suoi occhi, non perde mai la speranza e l'ottimismo ma, anzi, narra queste scene dolorose condendole con un pizzico di umorismo ed ironia, per alleggerirne un po' la tragicità.

Già in passato avevo recensito una raccolta di lettere inedite, inviate da un lontano parente di un mio collega alla madre e alla sorella, mentre si trovava al fronte, prima di venire ucciso in un combattimento. È un peccato che questi piccoli gioielli narrativi, così semplici da un punto di vista stilistico eppure così densi nel contenuto, non siano mai stati pubblicati. 
Spero che, in questo caso, Maicol e sua mamma, decidano di dare alle stampe l'opera, in quanto sarebbe bello se queste memorie venissero trasmesse a più persone possibili. 
Perché Aroldo ci ha fatto un piccolo grande dono: ci ha regalo un pezzo della sua vita e uno scorcio su un periodo tanto difficile quanto importante del nostro passato.

Di seguito riporto la prefazione in rima che lui stesso ha scritto: 
"È successo qui in Toscana, per la via della Dogana, che due bravi partigiani furono uccisi come cani. Io fui più fortunato, il Signore mi ha guardato. Se non mi inganna la memoria vi racconto la mia storia.
Io fui richiamato ma non mi sono presentato e non furono cose belle, mi hanno preso per un ribelle. Nella macchia di Pomonte era un mondo tanto brutto, senza pane e senza fonte, per fortuna c'era il frutto. Si mangiavano le bacche, si dormiva con le vacche; si faceva in bivacco nell'attesa dell'attacco. Era una notte mezza brulla, si sentivano gli spari, era la nostra pattuglia che si scontrava con i sicari. Lì morì il tenente Gino, con Giovanni l'attendente e lì nacque un gran casino che non si capì niente. Sì scappò verso Saturnia con una corsa forsennata, non si suonava la zampogna ma la vita fu salvata. Qui cesso la mia storia che per un piccolo ideale vi resti alla memoria: non fatevi del male. Con affetto e con amore ve lo dico con cuore, senza trucchi e senza inganni io vi dico a tutti quanti che dovete guardare avanti".


IL MIO VOTO:
Piccolo gioiello inedito di narrativa, semplice a livello stilistico ma denso nel contenuto. In queste poche pagine, Aroldo ci fa dono, con candore, della sua storia di partigiano che ha rischiato la vita per la sua patria, riportandoci indietro a uno dei periodi più dolorosi e importanti della nostra Storia.
Tutti dovremmo leggerlo. Niente è importante come la memoria.



LO SCRITTORE:




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