giovedì 3 gennaio 2019

"Shantaram" Gregory David Roberts (2003)




LA TRAMA:
Greg è un uomo in fuga.
Dopo la separazione dalla moglie e l'allontanamento dalla sua bambina, 
la vita si è trasformata per lui in un abisso senza fine.
Giovane studente di filosofia e attivista politico, viene condannato a 19 anni di carcere per rapina a mano armata ma riesce ad evadere e diventa uno dei "most wanted men" australiani.
Eccolo ora a Bombay, con i documenti di un certo Linsday.
Qui diventerà uno Shantaram, un "uomo della pace di Dio".
Allestirà un ospedale per i mendicanti, reciterà nei film di Bollywood, stringerà relazioni pericolose con la mafia indiana.
Da Bombay partirà per due guerre, in Afghanistan e in Pakistan, tra le file dei combattenti islamici.
Tornerà poi in Australia e sconterà la sua pena.
E racconterà la sua vita in un romanzo epico di più di mille pagine.

IL MIO GIUDIZIO:
"Shantaram" è il romanzo con cui sono entrata nel 2019 e, di conseguenza, il primo libro dell'anno.
Oltre a ciò, ha il primato di essere, con le sue mille e rotte pagine, il libro più lungo in assoluto che abbia mai letto.
Generalmente divoro un libro a settimana mentre questo mi ha tenuta impegnata quasi un mese e mezzo.
Un record, per me.

Mi era stato consigliato la scorsa estate da un'ospite dell'agriturismo dove ho prestato servizio,
che lo definì "illuminante".
Ho aspettato qualche mese per decidermi a leggerlo: 
da una parte la storia mi incuriosiva ma dall'altra,vista anche la mole, 
avevo paura che fosse un "mappazzone".
Però...non so come spiegarlo, c'era qualcosa, già nel titolo, che mi ispirava.
Qualcosa di evocativo...e alla fine mi sono lasciata convincere e mi sono addentrata nella lettura di questa biografia tanto avventurosa e cruda, quanto spirituale.

Ambientato per lo più nella Bombay di inizio anni '80, 
"Shantaram" è un romanzo assai descrittivo, fin nei minimi dettagli, tanto che, 
come in una sorta di realtà virtuale, sembra di essere lì con l'autore a vivere insieme a lui le varie situazioni che si presentano.
E, pur non essendo mai stati in India (o, almeno io, non ci sono mai stata) ce la tratteggia con una tale intensità che è come se la città si materializzasse, in quel preciso istante, sotto i nostri occhi.

Gregory (che nella storia viene chiamato Linbaba) inizia raccontandoci la vita negli "slum", 
le misere baraccopoli dei bassifondi indiani.
Una vita poverissima, oltre il limite del degrado, ma piena di dignità e dove regnano la bontà, la generosità, l'altruismo, il rispetto e l'onestà.
Perchè, come spiega l'autore stesso, riferendosi un pò agli slum ma un pò anche a tutta l'India, 
senza questa bontà, senza questo cuore grande, tutte questa moltitudine di persone non riuscirebbe a convivere in spazi così ristretti. 

In "Shantaram" ogni pagina è un'avventura.
Si incontrano incantatori di serpenti, orsi danzanti travestiti da elefanti (!!!), standing baba (una sorta di guru ascetici che trascorrono tutta la loro vita stando in piedi), maitresse di bordello tanto inquietanti quanto grottesche, perfidi eunuchi, capi della mafia dall'indole filosofica, prostitute eroiomani in cerca di riscatto, omosessuali naif dalla battuta sempre pronta.
Viviamo la miseria degli slum, impariamo come si contrabbandano i passaporti, come si combatte, come ci si disintossica dalla droga.
Proviamo l'estasi dell'innamoranto e della passione.
E poi, ancora, subiamo le torture del carcere e le privazioni della vita in guerra.
Sentiamo dentro di noi il terrore che si prova quando ti esplode un ordigno davanti agli occhi o quando vedi il tuo compagno, che camminava accanto a te, cadere a terra trivellato da colpi di fucile.

Tutto ciò che viene narrato non è fantasia ma è ciò che è realmente capitato a Roberts e che poi lui, nel corso degli anni (13 ne ha impiegati per portare l'opera a compimento) ha fedelmente trascritto,
limitandosi soltanto, per privacy, a modificare i nomi dei vari personaggi.

In questo epico romanzo si alternano passaggi divertenti ed esilaranti ad altri carichi di violenza e dolore.
A tratti brutale, a tratti filosofico, sicuramente sempre emozionante, ci si commuove, si ride, ci si indigna e si piange insieme a Linbaba.
E'impossibile non affezionarsi a lui così come a molti degli altri protagonisti che vengono descritti con minuziosa introspezione.
Alcuni di loro, come ad esempio il simpatico Prabaker o Johnny Cigar, sono pura poesia.

Lo stesso autore è avvolto da qualcosa di magico.
Personaggio all'apparenza duro e cinico, condannato per rapina a mano armata e poi evaso da un carcere di massima sicurezza, non esita ad aggredire, a colpire forte e, se necessario, anche ad uccidere, ma nasconde dentro di sè un cuore buono e puro, che lo spinge alla generosità, all'altruismo e, soprattutto, all'amore, alla compassione e al perdono.
Anche quando ci sarebbe ben poco da perdonare.
Attanagliato da una solitudine dilaniante per gli affetti lasciati e persi in Nuova Zelanda,
che lo segue ovunque egli si trovi e che non riesce ad attenuare nonostante in India si sia fatto tanti nuovi amici,
sembra che abbia una sorta di "manto protettivo" che lo salvi da ogni pericolo:
benchè si trovi spesso in situazioni assurde, benchè sfiori la morte più di una volta, la fortuna, alla fine, è sempre dalla sua parte e ogni volta riesce a riportare a casa la pelle.

Nonostante l'estrema lunghezza dell'opera, il racconto scorre bene.
I paragrafi sono brevi e distanziati l'uno dall'altro e questo agevola non poco la lettura.
Lo stile, pur essendo molto dettagliato, descrittivo e introspettivo, è accattivante e coinvolgente.
Ammetto (mea culpa!) di aver saltato ogni tanto qualche pagina ma non l'ho fatto per noia.
Ho semplicemente eluso le parti troppo cruente relative alle torture in carcere e i combattimenti di guerra perchè, per un mio limite personale, le scene di violenza non riesco a tollerarle.

Vero è, però, che le stesse cose, a mio avviso, si sarebbero potute raccontare anche in maniera più concisa, senza far perdere senso al racconto.
Ho visto che anche il sequel di "Shantaram" ("L'ombra della montagna") è lungo più di mille pagine...ma quante ne ha da raccontare quest'uomo???!!!
Che il dono della sintesi non sia nelle sue corde è appurato ma, molto più probabilmente, questo scrivere compulsivo è anche un modo per esorcizzare tutti gli orrori che ha dovuto sperimentare nella sua travagliata esistenza.




IL MIO VOTO:
Romanzo assolutamente impegnativo, sotto tanti punti di vista, ma intenso.
Per quanto tempo ci si possa impiegare a portarlo a termine, MERITA DI ESSERE LETTO.
La persona che me lo ha consigliato lo definì "illuminante".
Io, più che "illuminante", direi "istruttivo" e "spiritualmente ed emotivamente formativo".
Un'opera che porterò nel cuore.



LO SCRITTORE:






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