venerdì 14 aprile 2017

"Io non mi chiamo Miriam" - Jag heter inte Miriam - Majgull Axelsson (2016)






LA TRAMA:
"Io non mi chiamo Miriam",dice di colpo un'elegante signora svedese il giorno del suo 85°compleanno,di fronte al bracciale con il nome inciso,che le regala la famiglia.
Quella che le sfugge è una verità tenuta nascosta per 70 anni,ma che ora sente il bisogno e il dovere di confessare alla sua giovane nipote:
la storia di una ragazzina rom di nome Malika che sopravvisse ai campi di concentramento fingendosi ebrea.infilando i vestiti di una coetanea morta durante il viaggio da Auschwitz a Ravensbruck.
Così Malika diventò Miriam,e per paura di essere esclusa,abbandonata a se stessa,o per un disperato desiderio di appartenenza,continuò sempre a mentire,anche quando fu accolta calorosamente nella Svezia del dopoguerra,dove i rom,malgrado tutto,erano ancora perseguitati.
Dando voce e corpo a una donna non ebrea che ha vissuto sulla propria pelle l'Olocausto,Majgull Axelsson affronta con rara delicatezza e profonda empatia uno dei capitoli più dolorosi della storia d'Europa e il destino poco noto del fiero popolo rom,che osò ribellarsi con ogni mezzo alle SS di Auschwitz.
"Io non mi chiamo Miriam" parla ai nostri giorni di crescente sospetto verso l'altro,interrogandosi sull'identità etnica,culturale ma soprattutto personale e riuscendo a trasmettere la paura e la forza di una persona sola al mondo,costretta nel lager come per il resto della vita a tacere,fingere e stare all'erta,a soppesare ogni sguardo senza mai potersi fidare di nessuno.


IL MIO GIUDIZIO:
"Rom san?Romengi san?" (Sei rom?)
"Mi scusi,non ho capito.Cosa ha detto?"
Rinnegare se stessi,la propria identità e il proprio popolo solo per poter sopravvivere a un mondo razzista e intollerante.

Miriam è una signora ottantacinquenne,un pò fiaccata nel fisico ma non certo nello spirito.
E'vedova ormai da diversi anni di uno stimato dentista e vive in Svezia,in una villetta,insieme al figliastro Thomas (il figlio di primo letto del suo defunto marito),alla di lui arcigna e petulante moglie e ogni tanto riceve la visita dell'amata nipote Camilla e del suo bisnipotino,il piccolo Sixten.

Però,ogni volta che chiude gli occhi,Miriam rivive l'orrore dei campi di concentramento in cui è stata deportata quando era poco più che una bambina.
Ogni cane che abbaia le riporta alla mente i famelici pastori tedeschi delle SS.
Odia gli abiti con le fantasie a righe,perchè le ricordano le divise che doveva indossare durante la prigionia.
Tutte le mattine,fra il sogno e la veglia,la vengono a trovare gli affetti che le sono stati strappati dalla follia umana:
la cuginetta Anusha,freddata da un colpo di pistola alla testa,perchè si era rifiutata di spogliarsi,come le era stato comandato,appena arrivata ad Auschwitz;
Else,l'amica che le aveva fatto un pò da madre,infondendole fiducia e coraggio,durante la prigionia a Ravensbruck e morta di tifo esantematico pochi giorni prima della liberazione;
ma soprattutto l'amatissimo fratellino Didi,vittima degli esperimenti scientifici del dottor Mengele e ucciso dalla cancrena.
E tutte le mattine,prima di alzarsi dal letto,immagina di recarsi al ruscello vicino casa,di immergere il suo cervello nell'acqua fresca e limpida,per liberarlo dai brutti pensieri e dai cattivi ricordi.
Perchè solo così,solo dimenticando e non ricordando,è riuscita a sopravvivere al dramma dell'Olocausto.

Ma Miriam,da oltre 60 anni,vive un dramma del dramma.
Perchè Miriam in realtà non è Miriam,ebrea di buona famiglia,deportata nei lager e poi profuga in Svezia...come tutti credono che sia.
Miriam è Malika,zingara di etnia rom,popolo odiato dai nazisti anche più degli ebrei.
E non solo dai nazisti:
all'interno dei campi di concentramento gli zingari erano malvisti e considerati delinquenti anche dagli altri prigionieri;quindi erano perseguitati fra i perseguitati.

Durante il trasferimento in treno da Auschwitz a Ravensbruck,a causa di una rissa scoppiata per un pezzo di pane,Malika si ritrova con l'abito ridotto a brandelli,motivo che potrebbe costarle la vita e,vedendo a terra una coetanea morta,senza pensarci su,indossa il suo abito e,da quel momento in poi e per sempre,anche la sua identità:Miriam Goldberg.
Perchè,una volta finita la guerra,Malika si rende conto che,nella pur pacifica Svezia dove è arrivata come rifugiata e dove decide di stabilirsi a vivere,i profughi sono i benvenuti.
Tutti,tranne gli zingari.
Quindi,deve continuare a fingere,a mentire per essere accolta ed accettata.

E fingendo e mentendo,è diventata estranea persino a se stessa.
Per tutta la sua esistenza,è proprio il caso di dirlo "per quieto vivere",ha dovuto reprimere le sue emozioni,le sue paure,i suoi ricordi,mostrandosi sempre accondiscendente,tranquilla e serena.

Il giorno in cui compie 85 anni,dopo aver ricevuto dalla famiglia un braccialetto con inciso il suo nome,le scappa detto:
"Io non mi chiamo Miriam" e,su insistenza della nipote,durante una passeggiata che fanno insieme in riva al lago,si lascia finalmente andare e le racconta la sua storia.

Un libro crudo (come può non esserlo quando si parla di argomento così terribile?),
che colpisce come un pugno allo stomaco e,pagina dopo pagina,ci porta a chiederci come sia possibile che degli uomini abbiano fatto tutto ciò a dei loro simili,
come ci si possa ancora definire "umani" dopo un abominio del genere.

L'orrore è però stemperato da alcuni passaggi di estrema dolcezza e da altri in cui si riesce persino a sorridere (un sorriso amaro,ahinoi!),
come ad esempio quando le rifugiate,arrivate in treno in Svezia,trovano ad accoglierle gli abitanti del paese,fra cui alcuni operai con la divisa dell'azienda per cui lavorano,la "Swensk Stalull".
Le ex detenute,però,vedendo incise sulla maglia le sole iniziali della ditta,li scambiano per degli ufficiali delle SS e si rifiutano,fra lo stupore generale,di scendere dai vagoni,fino a quando i malcapitati non vengono allontanati.

Un libro che si focalizza,oltre che sulle barbarie compiute nei lager,anche sul popolo dei rom.
Su come,facendo fronte comune,cerchino in tutti i modi di opporsi allo sterminio della loro razza e di come furono costretti a soccombere,fra il 2 e il 3 Agosto 1944,durante quella che fu definita "la notte degli zingari".
E di come,a conflitto terminato,siano stati ulteriolmente beffati in quanto,ai superstiti,non sia stato nemmeno concesso un risarcimento:
a detta delle autorità tedesche,non erano stati sterminati ingiustamente ma solo "perchè criminali"

Un romanzo che,inoltre,fa riflettere su quanto sia alienante e doloroso rinnegare se stessi e la propria etnia solo per sopravvivere in un mondo pieno di pregiudizi,con il timore che la verità venga a galla da un momento all'altro,facendoci perdere tutto quello che siamo riusciti a guadagnarci.

Come ha scritto anche Bjorn Larrson nella sua postfazione,è raro trovare un romanzo sull'Olocausto:
in realtà,quelli sull'argomento,sono delle vere e proprie testimonianze,scritte dai sopravvissuti.
E,da un certo punto di vista,è anche giusto che sia così:
solo chi ha vissuto in prima persona quella tragedia,può raccontarla.
Nessun altro,per quanto possa immedesimarsi,potrà mai provare lo stesso terrore e la stessa disperazione.

Per troppo tempo, dopo la fine della 2°guerra mondiale,gli ex deportati dei campi di concentramento volevano solo dimenticare e non parlare di quello che avevano vissuto e,allo stesso modo,i "non deportati" non avevano poi tutta questa voglia di sapere le brutalità a cui erano scampati.
C'era,quindi,una sorta di tabù,sull'argomento che poi,col tempo,è stato abbattuto,perchè il dovere di far sapere è andato oltre al dolore di ricordare.
Però,al momento in cui anche l'ultimo dei sopravvisuti sarà scomparso,
è imperativo che si continui a scrivere sull'argomento,a farlo conoscere alle nuove generazione,affinchè un orrore simile non venga nè dimenticato nè riproposto.

E,da questo punto di vista,l'autrice ha fatto davvero un ottimo lavoro.

IL MIO VOTO:
Sempre nella sua postfazione,Bjorn Larsson dice che:
"un romanzo valido offre più domande che risposte".
E,da questo punto di vista, "Io non mi chiamo Miriam" è un romanzo più che valido.
Un romanzo che offre tanti spunti di riflessione.
Un romanzo che ci costringe a metterci in discussione (chi di noi,almeno una volta nella vita,non ha storto il naso,alla vista di un rom?) e a guardare le cose da un altro punto di vista.
Un romanzo da leggere,assolutamente.



LA SCRITTRICE:



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