martedì 7 giugno 2016

Dal racconto "Il peso delle cose non dette" di Paola Giannelli

Era ferma al semaforo.
Dondolava il capo,ascoltando musica e picchiettava sul volante seguendo il ritmo.
Voltando lo sguardo a sinistra,aveva notato un bambino di circa 10 anni che la osservava.
Era appoggiato al finestrino abbassato come a un davanzale,
il capo sulle braccia conserte,
la guardava incuriosito dal movimento.
Non sorrideva.
Le labbra erano serrate e gli occhi neri la fissavano.
Due occhi collegati ad un budello che l'aveva scaraventata in un tempo remoto che appena ricordava,
in cui guardava il mondo senza sorrisi.
Silenziosa,si muoveva lungo gli spazi e badava a se stessa.
Ricacciava indietro la rabbia.
Non conosceva la leggerezza.
Era una bambina invisibile.
Lungo quei ricordi muti,ogni tanto,una voce senza volto,un uomo,una donna:
"Va tutto bene? Che hai? Sei triste? Racconta!"
Sempre le stesse frasi.
Se provava a spiegare,le voci si allontanavano,ascoltando appena e pronunciando rassicurazioni generiche.
Aveva iniziato a mentire per essere lasciata in pace.
Per tranquillizzare ed essere convincente,aveva imparato a sorridere a comando.
"Sì,sto bene"
Distendeva la labbra e disegnava un ampio sorriso.
A volte inventava un evento di fantasia per rafforzare l'idea che non poteva che essere felice.
I pensieri,negli anni,si erano stratificati,moltiplicati,congiunti.
E aveva iniziato a scrivere biblioteche di menzogne,serie,inattaccabili.
Al semaforo le mancò il fiato e temette di soffocare.
I polmoni erano vuoti e la respirazione bloccata.
Pensò che la morte per soffocamento doveva essere atroce e sperò che non le accadesse in quella luminosa mattina di Aprile.










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